Sull’accatastamento e sul certificato di abitabilità, di Fabio Cusano

Con sentenza 20 novembre 2023, n. 17270, il TAR Roma, sez. II stralcio, ha ribadito che ai fini della regolarità edilizia e urbanistica, le risultanze catastali ed il certificato di abitabilità sono privi di rilievo dovendosi avere considerazione, al riguardo, esclusivamente per la verifica della corrispondenza tra lo stato di fatto ed il progetto presente presso gli archivi comunali. Ed infatti, da un lato, l’accatastamento rappresenta una classificazione di ordine tributario, che fa stato a quegli specifici fini, senza assurgere a strumento idoneo (al di là di un mero valore indiziario) per evidenziare la reale destinazione d’uso di singole porzioni immobiliari e della relativa regolarità urbanistico edilizia. D’altro lato, il rilascio del certificato di abitabilità previsto dall’art. 221 del R.D. 27/07/1934, n. 1265, presuppone l’accertamento dell’inesistenza di cause di insalubrità dell’edificio senza alcun collegamento col conseguimento di fini di carattere edilizio-urbanistico; pertanto, il rilascio di tale certificato non incide sul potere di reprimere gli abusi edilizi eventualmente commessi nella realizzazione del fabbricato dichiarato abitabile.

Quanto alla dichiarazione di abitabilità del fabbricato al cui interno è situato l’appartamento di proprietà della ricorrente e all’accatastamento dello stesso – asseritamente ritenuti conformi, dalla ricorrente, allo stato attuale dei luoghi – deve convenirsi con il comune resistente laddove esso sostiene che, ai fini della conformità urbanistica ed edilizia di un immobile, le risultanze catastali ed il certificato di abitabilità sono privi di rilievo dovendosi avere considerazione, al riguardo, esclusivamente per la verifica della corrispondenza tra lo stato di fatto ed il progetto presente presso gli archivi comunali, coerentemente del reso con il consolidato indirizzo pretorio sul punto (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 177 del 21.1.2015: “L’accatastamento rappresenta una classificazione di ordine tributario, che fa stato a quegli specifici fini, senza assurgere a strumento idoneo (al di là di un mero valore indiziario) per evidenziare la reale destinazione d’uso di singole porzioni immobiliari e della relativa regolarità urbanistico-edilizia”; ed inoltre, Cons. St., sez. VI, n. 8811 del 17.10.2022: “Il rilascio del certificato di abitabilità previsto dall’art. 221 del R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, presuppone l’accertamento dell’inesistenza di cause di insalubrità dell’edificio senza alcun collegamento col conseguimento di fini di carattere edilizio-urbanistico; pertanto, il rilascio ditale certificato non incide sul potere di reprimere gli abusi edilizi eventualmente commessi nella realizzazione del fabbricato dichiarato abitabile”).

Quanto sopra vale anche al fine di disattendere la domanda istruttoria avanzata, posto che nessuna incertezza meritevole di ulteriore approfondimento tecnico può sussistere sullo stato legittimo dei luoghi allorché, come sostenuto da parte ricorrente, ad indicare tale stato di perplessità venga dedotta solamente una situazione dell’immobile differente da quella desumibile dalle risultanze catastali o dal certificato di abitabilità, la cui valenza al fine di comprovare la legittima preesistenza dei locali è da escludersi per le ragioni anzidette.

Per quanto concerne, invece, l’estraneità della ricorrente dall’abuso commesso, anch’essa non dispiega alcuna incidenza in ordine alla legittimità del divieto di apportare modificazioni allo stato dell’immobile impartito con il provvedimento avversato, essendo noto che, in materia di abusi edilizi, i provvedimenti sanzionatori a contenuto ripristinatorio/demolitorio riferiti ad opere abusive hanno carattere reale e costituiscono illeciti permanenti, non essendo previsto l’accertamento del dolo o della colpa del soggetto cui si imputa la trasgressione, con la conseguenza che la loro adozione prescinde dalla responsabilità del proprietario o dell’occupante l’immobile, applicandosi gli stessi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res, come la sua materiale disponibilità, tale da assicurare la restaurazione dell’ordine giuridico violato(cfr., ex pluribus, T.A.R. Sicilia – Catania, sez. II, n. 2467 del 5.8.2023).

In definitiva, quindi, il ricorso proposto è stato respinto.