Sulla nozione di manufatto precario, di Fabio Cusano

Con sentenza 23 ottobre 2023, n. 9167, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che la natura precaria di un manufatto non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo. La precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. e.5), postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo.

La Società, concessionaria di un tratto di lido costiero del Comune ove è stata autorizzata a realizzare uno stabilimento balneare e una discoteca, impugnava innanzi al Tar l’ordinanza con la quale il Comune concedente aveva ordinato la demolizione di diversi manufatti realizzati all’interno del perimetro della concessione su un’area demaniale, compresa nei trecento metri dalla linea di costa, come tale soggetta al vincolo paesaggistico di cui all’art. 142 del d.lgs. n. 42/2004.

A sostegno del ricorso di primo grado, la Società lamentava in particolare che le opere contestate sarebbero amovibili, alcune assentite con permesso di costruire e dotate di autorizzazione paesaggistica, altre prive d’impatto visivo che non potrebbero essere considerate opere edilizie ai sensi dell’art. 3 del d.P.R n. 380/2001, in quanto meri elementi d’arredo, altre ancora già smantellate, in quanto adibite a ricovero invernale degli arredi estivi e altre, infine, necessarie per la raccolta differenziata dei rifiuti o per consentire ai disabili di fruire della struttura.

Il Tar con la sentenza impugnata respingeva il ricorso.

La sentenza veniva appellata dalla Società innanzi al Consiglio di Stato.

L’appello è infondato.

La lett. e.5) dell’art. 3 DPR 380/2001, nell’elencare tutte le opere definibili quali “nuove costruzioni”, testualmente recita “[sono comunque da considerarsi tali] l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”.

Come affermato dalla giurisprudenza, “la natura precaria di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo”. Nello stesso senso, viene chiarito che “la precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e. 5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (in tal senso: Consiglio di Stato, VI, 3 giugno 2014, n. 2842)” (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 31 ottobre 2022 n. 9389).

Nel caso di specie non può dirsi che i manufatti in questione siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee, posto che, nel periodo invernale, per stessa ammissione dell’appellante, il loro uso veniva convertito in ricovero attrezzi e quindi prolungato nel tempo.

Rientrando quindi nel concetto di nuova ingombro realizzato in area soggetta a vincolo paesaggistico, era necessario il previo rilascio del permesso di costruire.

In linea di diritto, occorre ribadire che in caso di vincolo paesaggistico sull’area, qualsiasi intervento edilizio che risulti idoneo ad alterare il pregresso stato dei luoghi deve essere preceduto da autorizzazione paesaggistica, in sua assenza della quale è soggetto a sanzione demolitoria (cfr. ad es. Consiglio di Stato, sez. VI, 08/11/2021, n. 7426), quale che sia la consistenza edilizia.

Pertanto, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello.