Sulla doppia conformità e sulla fiscalizzazione dell’abuso edilizio, di Paolo Urbani

Con sentenza 25 ottobre 2023, n. 9243, il Consiglio di Stato, sez. II, ha ribadito che il rinvio effettuato dall’art. 38 del D.P.R. 380/2001 – concernente l’abuso dovuto all’annullamento, in via amministrativa o giurisdizionale, del permesso di costruire – all’art. 36 del D.P.R. 380/2001 è solo quoad effectum. Pertanto, non può esigersi, ai fini della c.d. fiscalizzazione dell’abuso, la c.d. doppia conformità prevista per la diversa fattispecie del permesso di costruire in sanatoria di cui al citato art. 36. Inoltre, il principio dell’one shot temperato, volto ad evitare che l’amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale, trova applicazione nei casi in cui, a seguito di giudicato di annullamento di un primo provvedimento sfavorevole, l’amministrazione adotti un nuovo provvedimento di identico contenuto. Il principio invece non si applica nel caso in cui, in ottemperanza al giudicato di annullamento del titolo edilizio, l’amministrazione adotti il diverso e succedaneo provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria in alternativa all’ordine di demolizione.

Gli odierni appellanti chiedono la riforma della sentenza del TAR che ha respinto i ricorsi proposti avverso i provvedimenti con cui il Comune di Parma ha irrogato la sanzione pecuniaria in luogo di quella demolitoria ai condomini di due edifici confinanti e alla ditta costruttrice.

Nel merito l’appello è infondato.

Nell’esercizio della propria discrezionalità, l’ente ha disposto l’applicazione della sanzione pecuniaria che, ai sensi dell’art. 38 d.p.r. 380/2001, si pone come alternativa a quella demolitoria, al ricorrere dei presupposti ivi indicati, condividendone il carattere reale e ripristinatorio dell’ordine giuridico violato (cfr. Cons. Stato, sez. II 5 novembre 2019 n. 7535).

La giurisprudenza ha, altresì, chiarito che “Alla base della possibilità, comunque rimessa alla valutazione discrezionale dell’Amministrazione operante, di emendare l’atto dal vizio che lo affligge, si colloca l’esigenza di tutelare l’affidamento del privato che ha realizzato un’opera nella convinzione di averne la prevista legittimazione, essendo peraltro indifferente che il vizio sia stato individuato in via di autotutela, ovvero rilevato all’esito di apposito giudizio” (Cons. Stato, sez. II, n. 8032 del 15 dicembre 2020; tra le più recenti cfr. anche Consiglio di Stato, sez. VI, 04/01/2023, n. 136).

È stato, inoltre, precisato che esiste un’ontologica diversità – non sul piano oggettivo ma sul piano soggettivo – tra la condizione del privato che costruisce senza alcun titolo abilitativo, o in difformità rispetto a quest’ultimo, e quella del privato che edifica un manufatto in conformità ad un titolo che, poi, venga riconosciuto illegittimo (Cons. Stato sez. IV 5 novembre 2018 n. 6246).

L’applicazione dell’art. 38 anche ai casi di annullamento giurisdizionale è conforme, quindi, sia al dato positivo che all’interpretazione giurisprudenziale.

Inoltre, l’equiparazione della fattispecie in esame al permesso di costruire in sanatoria – in forza del rinvio contenuto nel comma 2 del citato art. 38 all’art. 36 del medesimo decreto – è solo quoad effectum, costituendo un eccezionale temperamento al generale principio secondo il quale la costruzione abusiva deve essere sempre demolita. Si tratta di un temperamento che, come chiarito dall’Adunanza Plenaria n. 17/2020, si determina in ragione, non già della sostanziale conformità urbanistica (passata e presente) della stessa (oggetto della diversa fattispecie prevista dall’art. 36 cit.), ma della presenza di un permesso di costruire che ab origine ha giustificato l’edificazione e dato corpo all’affidamento del privato alla luce della generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi.

Giova ribadire che il rinvio è solo quoad effectum e non consente alcuna sovrapposizione tra la c.d. “fiscalizzazione” dell’abuso consentita dall’art. 38 e il permesso di costruire in sanatoria disciplinato dall’art. 36.

Le due fattispecie sopra citate, infatti, si diversificano completamente nei presupposti e nella finalità, potendo coincidere (esclusivamente) per gli effetti nel solo caso in cui l’Amministrazione non convalidi il titolo edilizio viziato e non sia possibile addivenire alla demolizione dell’opera. Le differenze ontologiche tra i due istituti sono ravvisabili perfino nella diversità delle relative conseguenze economiche, stante che nel primo caso (l’accertamento di conformità) è previsto il pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella predeterminata dalla medesima normativa; nel secondo, invece, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale, come accaduto nel caso di specie (Cons. Stato 8031/2020).

Del pari infondata è la censura afferente alla violazione del principio di one shot temperato, già respinta in primo grado e reiterata in grado di appello dagli appellanti. Tale principio è volto ad evitare che l’amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale; tanto comporta che è dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l’affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l’avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato (Cons. Stato sez. VI, 04/05/2022 n.3480). Il principio trova applicazione nei casi in cui, a seguito di giudicato di annullamento di un primo provvedimento sfavorevole, l’amministrazione adotti un nuovo provvedimento di identico contenuto.

Esso non si attaglia, invece, al caso di specie ove non si verte in tema di “rinnovazione” dello stesso provvedimento annullato in sede giurisdizionale, bensì dell’ottemperanza al giudicato di annullamento del titolo edilizio mediante l’adozione del diverso e succedaneo provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria in alternativa all’ordine di demolizione.

L’art. 38 d.p.r. 380/2001 non trova applicazione nel solo caso di impossibilità di rimozione dei vizi delle procedure amministrative, ma anche nel caso di impossibilità di riduzione in pristino del bene, laddove il titolo edilizio sia stato annullato non per vizi formali o procedurali, bensì sostanziali. Si tratta, infatti, di due condizioni eterogenee poiché la prima attiene alla sfera dell’amministrazione e presuppone che l’attività di convalida del provvedimento amministrativo (sub specie del permesso di costruire), ex art. 21 nonies comma 2, mediante rimozione del vizio della relativa procedura, non sia oggettivamente possibile; la seconda attiene alla sfera del privato e concerne la concreta possibilità di procedere alla restituzione in pristino dello stato dei luoghi (Ad. Plen. 17/2020 che si è occupata unicamente della prima delle due condizioni).

Da ultimo, la già citata Adunanza Plenaria n. 17/2020 ha pacificamente sancito che l’effetto della disposizione in commento è quello di tutelare, al ricorrere di determinati presupposti e condizioni, l’affidamento ingeneratosi in capo al titolare del permesso di costruire circa la legittimità della progettata e compiuta edificazione conseguente al rilascio del titolo, equiparando il pagamento della sanzione pecuniaria al rilascio del permesso in sanatoria. La composizione degli opposti interessi in rilievo – tutela del legittimo affidamento da una parte, tutela del corretto assetto urbanistico ed edilizio dall’altra – è realizzato dal legislatore per il tramite di una “compensazione” monetaria di valore pari “al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite” (cd fiscalizzazione dell’abuso).

In conclusione, l’appello è stato respinto.