Sulla necessità di provvedimento espresso per la Scia in sanatoria di Fabio Cusano

CS_1708_2023

 

Con la sentenza n. 1708 del 20 febbraio 2023, il Consiglio di Stato (sez. II) ha ribadito che L’art. 37, D.P.R. 380/2001 non prevede esplicitamente un’ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell’art. 36 del medesimo D.P.R. 380/2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento. Dalla lettura della norma emerge infatti che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall’intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell’aumento di valore dell’immobile compiuta dall’Agenzia del Territorio. Ne deriva che il Comune deve pronunciarsi, con un provvedimento espresso, sulla SCIA in sanatoria, previa verifica dei relativi presupposti di natura urbanistico-edilizia di cui al citato art. 37, D.P.R. 380/2001.

Parte appellante impugna la sentenza del TAR Reggio Calabria, emessa nel giudizio di reclamo ex art. 117, comma 4, c.p.a., avverso e per l’annullamento del provvedimento di acquisizione al patrimonio del Comune di Bagnara Calabra delle unità immobiliari di proprietà dello stesso.

L’appello è fondato. Quello che appare dirimente al Collegio è l’avvenuta presentazione di un’istanza di SCIA in sanatoria successivamente presentata per le opere oggetto di ordine di demolizione.

Il Collegio rileva in primis che effettivamente la relazione del commissario ad acta, sulla base della quale lo stesso ha disposto l’acquisizione, non riporta l’intervenuta presentazione di tale istanza.

Il Comune stesso nell’ordinanza di demolizione ha indicato che le opere in questione erano sottoposte al regime della SCIA, contestando all’appellante l’assenza della stessa (non del permesso di costruire), unitamente al mancato rispetto della disciplina antisismica.

Corretta è quindi la scelta dell’appellante di presentare una SCIA in sanatoria ex art. 37, comma 4, D.P.R. n. 380 del 2001 e non una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del medesimo T.U.E., per cui non si può sostenere che la SCIA presentata non poteva conseguire, nemmeno in ipotesi, alcun effetto sanante.

Stante il differente carattere e natura della SCIA, anche se presentata in sanatoria, alla fattispecie non era neanche applicabile il cosiddetto silenzio rifiuto previsto sull’istanza di accertamenti di conformità dal già citato art. 36, secondo cui “la mancata pronuncia dell’amministrazione sulla relativa domanda entro sessanta giorni dal suo ricevimento ha il valore di diniego tacito della sanatoria”, con l’effetto che il procedimento di esecuzione dell’ordinanza di demolizione (momentaneamente sospesa) o quello di acquisizione gratuita dell’immobile possono riprendere il loro corso.

Più in particolare, infatti, l’art. 37, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001 contempla la SCIA in sanatoria a intervento concluso, che prevede che il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possano ottenere la sanatoria dell’intervento ove sussista la doppia conformità (l’intervento realizzato deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), versando una somma il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento (non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro).

Tuttavia, a differenza di quanto previsto per l’accertamento di conformità di cui all’art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001 per il quale, in caso inerzia a seguito della presentazione della domanda, è la stessa norma che qualifica espressamente l’eventuale silenzio dell’amministrazione come diniego, l’art. 37, D.P.R. n. 380 del 2001 nulla dispone sul punto.

In assenza di un chiaro dato normativo, la giurisprudenza ha adottato orientamenti non sempre univoci.

Secondo un primo filone giurisprudenziale il silenzio sull’istanza di sanatoria di cui agli artt. 36 e 37, comma 4, D.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe da qualificarsi come silenzio rigetto.

Pertanto, anche qualora la procedura dell’accertamento di conformità sia esperita in relazione a un intervento edilizio oggetto di SCIA, opererebbe il meccanismo del silenzio-rigetto previsto dall’art. 36 D.P.R. n. 380 del 2001 (T.A.R. Milano, Sez. I, 21.3.2017, n.676; TAR Campania, Sez. III, 18.5.2020, n.1824; T.A.R. Campania, Sez. II, 10.6.2019, n.3146), con il relativo onere di impugnazione, da parte del privato interessato, qualora, a fronte del decorso del termine, non vi sia una pronuncia espressa della P.A. procedente, onde evitare il consolidamento della posizione lesiva a proprio sfavore.

Un altro orientamento è nel senso di ritenere che il silenzio della PA debba qualificarsi come assenso (T.A.R. Campania, Salerno, sentenza n. 809/2022).

Il Collegio, tuttavia, ritiene di aderire a un diverso orientamento secondo cui il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell’amministrazione procedente, pena la sussistenza di un’ipotesi di silenzio inadempimento (T.A.R. Campania Salerno Sez. III, 14-10-2022, n. 2673; TAR Salerno, Sez. II, 23.8.2019, n.1480; TAR Napoli, Sez. III, 23.5.2019, n. 2755).

Innanzitutto, infatti, l’art. 37 non prevede esplicitamente un’ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell’art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento.

Dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall’intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell’aumento di valore dell’immobile compiuta dall’Agenzia del Territorio (T.A.R. Campania Salerno Sez. III, 14-10-2022, n. 2673; T.A.R. Roma, Sez. II quater, 9.4.2020, n. 3851).

Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell’amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della S.C.I.A., come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio.

Ne deriva che il Comune deve pronunciarsi, con un provvedimento espresso, sulla SCIA in sanatoria, previa verifica dei relativi presupposti di natura urbanistico-edilizia di cui al citato art. 37 D.P.R. n. 380 del 2001(T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 23/05/2019, n.2755; sez. II, 23/04/2019, n.2233).

Nel caso in esame, quindi, una volta presentata la SCIA in sanatoria, l’appellante non era onerato di alcuna impugnativa e poteva attendere gli esiti e, in particolare, la valutazione dell’Amministrazione sull’esistenza dei presupposti per la sanatoria o, eventualmente, l’esercizio del potere inibitorio o repressivo, qualora la stessa avesse ritenuto di applicare la disciplina della SCIA ordinaria.

In difetto deve applicarsi il principio secondo cui in pendenza di un’istanza volta alla sanatoria di abusi edilizi determina la temporanea inefficacia ed ineseguibilità dell’ordinanza di demolizione, fino all’adozione di un provvedimento, espresso o tacito, sulla predetta istanza.

In pendenza della domanda di sanatoria non può, quindi, essere eseguito l’ordine di demolizione, che resta sospeso, né a maggior ragione può disporsi l’acquisizione dell’opera abusiva.

Quest’ultima potrà essere disposta solo nell’eventualità del rigetto dell’istanza, senza necessità dell’adozione di una nuova ordinanza di demolizione.

Quanto alle ragioni di inidoneità della SCIA per la sua incompletezza o per l’assenza dei presupposti sostanziali per la sanatoria, dedotte dalla controinteressata, le stesse debbano infatti essere vagliate dall’Amministrazione, e per essa eventualmente dal Commissario ad acta, con una espressa pronuncia sul punto e non possono essere fatti valere direttamente in sede di giudizio di opposizione, che peraltro ha un oggetto del tutto diverso dagli effetti e valenza della presentata SCIA in sanatoria.

Per quanto indicato l’appello è stato accolto, nei termini e limiti di cui in motivazione.