Sulla discrezionalità del Comune in materia di pianificazione urbanistica, di Paolo Urbani

Con sentenza 21 settembre 2023, n. 8443, il Consiglio di Stato, sez. II, ha ribadito che la discrezionalità del Comune in materia di pianificazione urbanistica può essere esercitata anche prevedendo delle “sottozone” all’interno di quelle individuate dal d.m. n. 1444 del 1968 (secondo il modello della c.d. “microzonizzazione”) nel rispetto del principio di ragionevolezza e dunque, da un lato, in presenza di oggettive circostanze che differenzino tali aree e, dall’altro, assicurando l’omogeneità di disciplina tra parti del territorio aventi caratteristiche comuni.

L’appellante impugna la sentenza che ha respinto i ricorsi proposti avverso il diniego di sanatoria e la successiva ordinanza di demolizione emessi rispetto a un edificio di sua proprietà.

In linea generale, si deve ribadire che la discrezionalità del Comune in materia di pianificazione urbanistica può essere esercitata anche prevedendo delle “sottozone” all’interno di quelle individuate dal d.m. n. 1444 del 1968 (secondo il modello della c.d. “microzonizzazione”) nel rispetto del principio di ragionevolezza e dunque, da un lato, in presenza di oggettive circostanze che differenzino tali aree e, dall’altro, assicurando l’omogeneità di disciplina tra parti del territorio aventi caratteristiche comuni (in termini analoghi, si v. Cons. St., sez. IV, sent. n. 844 del 2016 e precedenti ivi citati).

Nel caso di specie, le Norme tecniche di attuazione-NTA del Piano regolatore esecutivo-PRE del Comune distinguono, all’interno della zona B (c.d. “zona di completamento”, che a norma l’art. 47 comprende «le porzioni di territorio urbanizzato ad esclusiva o prevalente destinazione residenziale»), diverse “sottozone”, ripartite tra quelle B1-Tessuti della città consolidata e quelle B2-Zone insediate suburbane.

Il minimo comune denominatore che il pianificatore ha ravvisato tra le sottozone B2 risiede dunque nell’esigenza di evitare un’ulteriore espansione dell’abitato.

Nella specie, dunque, il Comune ha esercitato la propria discrezionalità in maniera non irragionevole, perché ha consentito la nuova edificazione in parti del territorio a forte urbanizzazione e prevalente destinazione residenziale, così da permettere il completamento del tessuto esistente (fino alla sua effettiva e completa saturazione nonché nell’ambito dei parametri previsti), mentre l’ha vietata in aree che, per varie ragioni, ha ritenuto di conservare nell’attuale configurazione, con decisione di merito sottratta al sindacato giurisdizionale.

Le argomentazioni dell’appellante non sono condivisibili nemmeno laddove questi denuncia una presunta disparità di trattamento tra la disciplina delle zone B1, in cui è consentita la nuova edificazione, e quella delle zone B2, in cui è vietata.

Per giurisprudenza consolidata, infatti, in sede di pianificazione urbanistica la valutazione dell’idoneità delle aree a soddisfare specifici interessi urbanistici rientra nei limiti dell’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione, rispetto al quale, a meno che non siano riscontrabili errori di fatto o abnormi illogicità, non è neppure configurabile il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento basata sulla comparazione tra aree differenti (tra le tante, si v. Cons. St., sez. II, sent. n. 3806 del 2019).

Nella specie, l’illogicità non è dimostrata nemmeno ponendo in evidenza chela nuova costruzione è ammessa anche in zone B1 densamente urbanizzate o addirittura “sature”: il rilievo, se mai, potrebbe essere portato a sostegno di una critica alla disciplina di tali zone, ma non prova certo l’irragionevolezza della scelta di vietare l’edificazione nella zona B2.1, la quale trova una sua giustificazione nelle caratteristiche dell’area e nell’obiettivo di mantenimento del pianificatore.

In queste circostanze, la costruzione di un edificio come quello che è oggetto dei provvedimenti censurati costituisce un abuso “sostanziale”, perché realizzato in contrasto con lo strumento urbanistico: pertanto, sia il diniego di sanatoria, sia la successiva ordinanza di demolizione rappresentano atti doverosi a contenuto vincolato.

L’appello è quindi stato rigettato.