Il TAR Lombardia, Milano, 29 luglio 2024, n. 2332 ha ribadito che le scelte urbanistiche costituiscono valutazioni di merito sottratte al sindacato giurisdizionale di legittimità, salvo che risultino inficiate da errori di fatto, abnormi illogicità, violazioni procedurali, ovvero che, per quanto riguarda la destinazione di specifiche aree, risultino confliggenti con particolari situazioni che abbiano ingenerato affidamenti e aspettative qualificate. La semplice reformatio in peius della disciplina urbanistica attraverso il ridimensionamento dell’attitudine edificatoria di un’area è interdetta solo da determinazioni vincolanti per l’amministrazione in ordine ad una diversa “zonizzazione” dell’area stessa, ovvero tali da fondare legittime aspettative, potendosi configurare un affidamento qualificato del privato esclusivamente in presenza di convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il Comune e i proprietari delle aree, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio-rifiuto su una domanda di concessione o ancora nella modificazione in zona agricola della destinazione di un’area limitata, interclusa da fondi edificati in modo non abusivo.
Le ricorrenti lamentano che la disciplina prevista per l’area non sia chiara e che, qualora si tratti di misura compensativa, la misura dell’indennità di esproprio prevista non costituisca un serio ristoro del bene.
L’area delle ricorrenti – su cui è edificato un complesso produttivo – è stata inserita nel nuovo Pgt tra quelle “verde della rigenerazione urbana e di ricomposizione paesaggistica”.
Per dette aree, l’art. 11 delle norme tecniche (Nt) del Piano dei servizi (Pds) prevede (comma 1) che siano «ammesse esclusivamente attività compatibili con le esigenze di protezione della natura e dell’ambiente e non è ammessa alcun tipo di edificazione» e che (comma 8) «nelle aree individuate sottoelencate, trova applicazione l’istituto della perequazione urbanistica di cui al comma 3 dell’art. 11 della L.R. 12/05: in luogo della corresponsione dell’indennità di esproprio, l’Amministrazione Comunale attribuisce, a fronte della demolizione di eventuali manufatti presenti, a fronte delle eventuali bonifiche da svolgere a carico dei proprietari, a fronte della cessione gratuita dell’area, un indice virtuale trasferibile su aree edificabili all’interno degli Ambiti di Trasformazione denominati “AT4 e AT 5”» secondo una tabella che indica la superficie lorda residenziale edificabile. Lo stesso comma prevede poi che «le quantità di SL residenziali sopra esposte sono valide entro 36 i mesi dalla pubblicazione sul BURL della Variante del PGT, superati i 36 mesi le quantità sopra esposte sono dimezzate».
Le società ricorrenti deducono l’incertezza della disciplina applicabile, se quella della perequazione (stante il riferimento letterale espresso a detto istituto) o quella della compensazione (stante l’espressa previsione di un’indennità di esproprio e il riferimento all’art. 11, comma 3, della L.R. n. 12/2005 disciplinante appunto la compensazione urbanistica).
A fronte dell’ambiguità terminologica in effetti contenuta nell’art. 11 delle Nt del Pds, al fine di individuare la disciplina applicabile e valutare la legittimità della disciplina posta dal Pgt per le aree delle ricorrenti, è necessario prendere avvio dalla distinzione tra gli istituti della perequazione e della compensazione.
Da un lato, la perequazione – disciplinata dall’art. 11, commi 1 e 2, L.R. n. 12/20015 – ha la precipua finalità di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica e, come tale, è esercitata discrezionalmente dall’amministrazione comunale.
Sul punto, è esaustivo il richiamo a quanto già osservato dalla Sezione in tema (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, 15 marzo 2021, n. 662; id., 21 gennaio 2019, n. 119; id., 3 ottobre 2022, n. 2169): “L’art. 11 della legge regionale 15 marzo 2005 n. 12 disciplina gli istituti della perequazione, della compensazione e della incentivazione urbanistica. La prima ha la finalità di eliminare le diseguaglianze che la pianificazione tradizionale produce fra proprietari di aree aventi caratteristiche simili. Tali diseguaglianze si creano in quanto, come noto, nell’ambito della pianificazione, accanto alle aree destinate ad ospitare la “città privata”, e cioè quella parte dell’edificato di pertinenza privata destinata ad ospitare edifici funzionali al soddisfacimento degli interessi della proprietà, si colloca la c.d. “città pubblica” cui vanno ascritte le aree destinate ad ospitare servizi pubblici. Queste ultime, nel modello di pianificazione tradizionale, sono private di ogni capacità edificatoria ed hanno, quindi, un valore di mercato molto basso se non nullo (a differenza delle aree che appartengono invece alla città privata le quali, proprio perché dotate di capacità edificatoria, hanno in genere valori di mercato molto alti). Al fine di ovviare a tale sperequazione, i Comuni italiani, in sede di pianificazione, adottano diverse soluzioni, perlopiù basate sull’attribuzione di un indice di edificabilità virtuale alle aree destinate alla città pubblica, non utilizzabile su tali aree ma trasferibile sui suoli suscettibili di sfruttamento edificatorio. Si assicura, in tal modo, la valorizzazione delle aree della città pubblica, atteso che esse assumono in tal modo un valore commerciabile generato appunto dal valore dei diritti edificatori che esse esprimono. I modelli di perequazione previsti dalla legislazione lombarda sono due, disciplinati rispettivamente dal primo e dal secondo comma del citato articolo 11. Il primo modello si identifica nella cosiddetta perequazione di comparto, in quanto incidente su aree limitate del territorio comunale inserite in un medesimo comparto. Stabilisce il primo comma dell’art. 11 che ‘sulla base dei criteri definiti dal documento di piano, i piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata con valenza territoriale possono ripartire tra tutti i proprietari degli immobili interessati dagli interventi i diritti edificatori e gli oneri derivanti dalla dotazione di aree per opere di urbanizzazione mediante l’attribuzione di un identico indice di edificabilità territoriale, confermate le volumetrie degli edifici esistenti, se mantenuti. Ai fini della realizzazione della volumetria complessiva derivante dall’indice di edificabilità attribuito, i predetti piani ed atti di programmazione individuano gli eventuali edifici esistenti, le aree ove è concentrata l’edificazione e le aree da cedersi gratuitamente al comune o da asservirsi, per la realizzazione di servizi ed infrastrutture, nonché per le compensazioni urbanistiche in permuta con aree di cui al comma 3’. In base a questo modello, alle aree inserite in uno stesso comparto viene attribuito un identico indice edificatorio (reale), a prescindere dal fatto che le stesse siano in concreto destinate allo sfruttamento ovvero alla cessione alla mano pubblica. Il piano attuativo individua poi i suoli ove concentrare l’edificazione e quelli destinati ad ospitare le opere di urbanizzazione. Anche queste ultime aree esprimono dunque capacità edificatoria; di conseguenza, i loro proprietari conseguono, comunque, un beneficio economico che rende indifferente, sotto il profilo economico appunto, la scelta dei siti ove verrà concentrata, in concreto, l’edificazione. Il secondo comma dell’art. 11 disciplina invece la perequazione c.d. ‘estesa’ in quanto riferita all’intero territorio comunale. Stabilisce tale norma che ‘sulla base dei criteri di cui al comma 1, nel piano delle regole i comuni, a fini di perequazione urbanistica, possono attribuire a tutte le aree del territorio comunale, ad eccezione delle aree destinate all’agricoltura e di quelle non soggette a trasformazione urbanistica, un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario, differenziato per parti del territorio comunale, disciplinandone altresì il rapporto con la volumetria degli edifici esistenti, in relazione ai vari tipi di intervento previsti. In caso di avvalimento di tale facoltà, nel piano delle regole è inoltre regolamentata la cessione gratuita al comune delle aree destinate nel piano stesso alla realizzazione di opere di urbanizzazione, ovvero di servizi ed attrezzature pubbliche o di interesse pubblico o generale, da effettuarsi all’atto della utilizzazione dei diritti edificatori, così come determinati in applicazione di detto criterio perequativo’. La norma prevede, quindi, l’individuazione di due indici: un indice territoriale che, con riferimento alle aree omogenee aventi caratteristiche similari collocate in specifiche parti del territorio comunale, deve essere identico; ed un indice minimo fondiario, di valore più elevato rispetto all’indice territoriale, che costituisce un valore soglia al di sotto del quale lo sfruttamento edificatorio dell’area non può avvenire. In questo modo i titolari delle aree suscettibili di sfruttamento sono costretti ad acquisire diritti edificatori dai proprietari delle aree destinate alla città pubblica, e a trasferire, dunque, a questi, parte del valore economico dei propri fondi. Ora, poiché, come detto, l’istituto della perequazione ha quale propria finalità quella di evitare ingiusti trattamenti differenziati, esso presuppone che le situazioni di fatto su cui va ad incidere presentino caratteristiche analoghe. Per questa ragione, i commi primo e secondo dell’articolo 11 della l.r. n. 12 del 2005 prevedono che la perequazione operi solo per gli ambiti soggetti a trasformazione (cfr., TAR per la Lombardia – sede di Milano, sez. II, 17 settembre 2009 n. 4671). Solamente quando le caratteristiche ontologiche dei suoli siano simili e tali da renderli tutti destinati all’edificazione, si rende necessario evitare che i diversi proprietari ricevano trattamenti differenziati. Non è invece possibile perequare aree che abbiano caratteristiche ontologiche diverse, giacché in tal caso si creerebbero surrettizie forme di diseguaglianza. Inoltre, la legge esclude, come detto, che possano essere oggetto di perequazione i suoli agricoli e quelli inseriti in ambiti non soggetti a trasformazione (esplicito in tal senso è, come visto, l’art. 11, comma 2, della l.r. n. 12 del 2005)”.
Dall’altro lato, l’istituto della compensazione – di cui all’art. 11, comma 3, L.R. n. 12/2005 – presuppone l’esistenza di un vincolo espropriativo e consiste in una procedura alternativa all’esproprio. A differenza della perequazione, la cessione compensativa si caratterizza per l’individuazione da parte del pianificatore di aree, destinate alla costruzione della città pubblica, rispetto ai quali l’amministrazione non può rinunciare a priori al vincolo ed alla facoltà imperativa ed unilaterale di acquisizione coattiva delle aree. In queste aree, il Comune appone il vincolo pre-espropriativo ed entro il termine di cinque anni deve fare ricorso all’espropriazione, con la possibilità di ristorare il proprietario mediante attribuzione di “crediti compensativi” o aree in permuta in luogo dell’usuale indennizzo pecuniario (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 luglio 2020, n. 1279; id., 17 settembre 2009, n. 4671). Ancora più esplicitamente, la Sezione ha chiarito che “l’istituto della compensazione, a differenza di quello della perequazione, non ha quale precipua finalità quella di mitigare le disuguaglianze che si producono con la pianificazione urbanistica: esso semplicemente mira ad individuare una forma di remunerazione alternativa a quella pecuniaria per i proprietari dei suoli destinati all’espropriazione, consistente nell’attribuzione di diritti edificatori che potranno essere trasferiti, anche mediante cessione onerosa […], ai proprietari delle aree destinate all’edificazione” (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 luglio 2020, n. 1279; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 29 giugno 2020, n. 1234; altresì, 21 gennaio 2019, n. 119; 30 giugno 2017, n. 1468; 2 marzo 2015, n. 596; 11 giugno 2014, n. 1542).
Nel caso di specie, non è anzitutto chiaro se la disciplina applicata dal Comune all’area sottintenda un vincolo espropriativo. Ciò sembra in effetti ricavabile dall’espressa previsione di una «indennità di esproprio» parametrata in diritti edificatori.
Tuttavia, va tenuto presente che risultano estranei allo schema ablatorio-espropriativo, con le connesse garanzie costituzionali, i vincoli che importano una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, i quali non comportino l’espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica (cfr. Corte costituzionale, sentenza 20 maggio 1999, n. 179; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 3 luglio 2020, n. 1279; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 13 febbraio 2020, n. 305; 6 maggio 2019, n. 1021; 3 dicembre 2018, n. 2724).
Nel caso di specie, la disciplina dell’area (art. 11 delle Nt del Pds) non chiarisce se gli interventi di ricomposizione a verde dell’area dovranno essere realizzati esclusivamente dal Comune, e in che tempi, oppure se possono essere ricondotti pure all’iniziativa privata. Inoltre, non sono chiariti i tempi della cessione delle aree private, che dovranno comunque tenere conto della validità quinquennale del vincolo preordinato all’esproprio.
Ancora, la disciplina non ha una connotazione esplicitamente “espulsiva”, non essendo previsto un obbligo di demolizione delle edificazioni esistenti né il divieto di mantenimento (e manutenzione) dell’esistente, ma solo l’incompatibilità di nuove realizzazioni edilizie.
In altre parole, nella fattispecie la disciplina non chiarisce se il privato sia tenuto ad addivenire all’acquisizione coattiva del bene a favore del Comune e in quali tempi, oppure se possa decidere di rimanere proprietario dell’area. In assenza di diversa previsione e nell’ambiguità delle espressioni usate, l’art. 11 delle Nt deve essere interpretato in tale ultimo senso, come già anticipato nell’ordinanza cautelare n. 641/2021 del Tar.
Tuttavia non può essere ignorata la previsione contenuta nell’art. 11 delle Nt del Pds che introduce, in luogo dell’indennità di esproprio, misure compensative consistenti in cessione di diritti edificatori, già dimezzatisi per il decorso di 36 mesi dall’approvazione del piano.
Tale previsione rende poco chiara la destinazione impressa all’area, impedisce di fatto la cessione dell’area al Comune e comporta comunque il rischio che, in caso di ritenuta presenza del vincolo espropriativo e di reiterazione dello stesso, le società ricorrenti vengano private del bene in assenza di equo indennizzo.
Da questo punto di vista, la censura delle ricorrenti è quindi fondata, considerato che i meccanismi compensativi previsti nelle norme di attuazione sono tali da vanificare la possibilità di cessione al Comune con previsione di un “serio ristoro”.
Poiché la censura concerne in realtà l’intero meccanismo compensativo e non esclusivamente la misura dell’indennizzo – comunque non adeguato, soprattutto con riferimento all’assenza di meccanismi che impongano l’acquisto dei diritti edificatori spettanti agli espropriati da parte di terzi e a fronte del dimezzamento dei diritti riconosciuti dopo 36 mesi – è infondata l’eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa comunale.
Il meccanismo della compensazione, per le modalità con cui esso opera, non può che essere valutato complessivamente dall’amministrazione nella spendita del suo potere che è ad un tempo pianificatorio ed espropriativo e, in quanto tale, è soggetto alla giurisdizione del giudice amministrativo.
A quanto sopra consegue l’annullamento del Pgt del Comune nella parte in cui disciplina l’area di proprietà delle società ricorrenti.
Quale effetto conformativo della presente pronuncia, il Comune sarà tenuto alla ripianificazione ex novo dell’area, esplicitando tra l’altro – qualora la stessa sia nuovamente destinata a verde, destinazione in astratto ammissibile – se sulla stessa sia apposto un vincolo preordinato all’esproprio, con le doverose conseguenze anche in termini di adeguatezza delle misure di compensazione previste, o invece dando un contenuto conformativo alla disciplina dell’area.