Sul divieto di incremento dei volumi esistenti a tutela del paesaggio di Paolo Urbani

CS_4181_2023

 

Con la sentenza n. 4181 del 26 aprile 2023, il Consiglio di Stato (sez. VI) ha ribadito che in tema di sanatoria di opere soggette a tutela paesaggistica, una volta che le amministrazioni abbiano confermato l’aumento di superfici e di volumi e la modifica della sagoma e dei prospetti, è irrilevante se tali opere abbiano fini abitativi o meno o siano pertinenziali. La norma di tutela non individua tale parametro discretivo, ma preclude all’Amministrazione la possibilità di procedere alla valutazione di un’istanza di cui all’art. 36 del D.P.R. 380/2001, incluso l’accertamento della compatibilità paesaggistica, alla luce del combinato disposto degli artt. 146 e 167, commi 4 e 5, del D.Lgs. 42/2004. Ed infatti il divieto di incremento dei volumi esistenti imposto ai fini di tutela del paesaggio preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume.

La presente controversia concerne alcuni interventi edilizi realizzati dalla controinteressata sul lastrico solare di un fabbricato posto a Perugia, area soggetta a vincolo ai sensi del d.lgs. n. 42/2004. Il Comune si esprimeva in maniera favorevole alla compatibilità paesaggistica delle opere, mentre la Soprintendenza sospendeva il parere in attesa della definizione del contenzioso, medio tempore istaurato dal vicino.

Il TAR Umbria ha disatteso le censure del ricorrente accertando la sussistenza dei presupposti urbanistici ed edilizi per la presentazione della SCIA, data la natura di volume tecnico delle opere contestate (come qualificate dalla Soprintendenza e dal Comune di Perugia) e la conseguente riconducibilità delle stesse nella casistica di cui all’art. 167, comma 4, lettere a) e c) del d.lgs. n. 42 del 2004. Avverso tale decisione è stato proposto appello.

Ad avviso del Consiglio, l’appello è fondato per l’accertamento in conformità paesaggistico.

Il TAR ha dedotto che l’opera, in quanto qualificabile come «vano tecnico», è assoggettabile alla sanatoria ex post. Il Collegio sottolinea tuttavia che bisogna distinguere il profilo urbanistico-edilizio da quello paesaggistico, proprio in ragione del dettato legislativo dell’art. 167 del d.lgs. 42/2004. Il comma 4 della predetta norma riconosce l’assentibilità ex post rigorosamente “per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati”, ma non contiene un richiamo ad un “vano tecnico”.

Non era quindi rilevante l’osservazione della Soprintendenza e del Comune, in base alla quale la mera tipologia, i contenuti, l’entità o la particolare ubicazione delle opere non incidono significativamente sull’assetto percettivo e panoramico riscontrabile dai principali punti di osservazione e dalle vie principali, in quanto l’ambito di applicazione per una valutazione successiva non risulta aperto. Tale apprezzamento avrebbe potuto avvenire solo ex ante. Una volta che le stesse amministrazioni hanno confermato l’aumento di superfici e di volumi e la modifica della sagoma e dei prospetti (la creazione di lucernai modifica i prospetti, i nuovi manufatti configurano ulteriori volumi, l’installazione di una pergola di significative dimensioni altera la sagoma), è irrilevante se tali opere abbiano fini abitativi o meno o siano pertinenziali. La norma di tutela non individua tale parametro discretivo, ma preclude all’Amministrazione la possibilità di procedere alla valutazione di un’istanza di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, incluso l’accertamento della compatibilità paesaggistica, alla luce del combinato disposto degli art. 146 e dell’art. 167, commi 4 e 5 del d.lgs. n. 42/2004.

Quando si è in presenza di un vincolo paesaggistico (o culturale), l’istituto dell’accertamento di conformità può essere solo l’eccezione, considerando rigorosamente le restrizioni previste dal legislatore, in base alla particolare rilevanza costituzionale attribuita da esso ai beni ambientali e paesaggistici, in quanto la garanzia degli stessi non è solo fine a sé stessa, ma anche strumentale alla preservazione di beni fondamentali come la salute e la vita. Nel confronto tra l’interesse pubblico all’utilizzazione controllata del territorio e l’interesse del privato alla sanatoria prevale l’interesse pubblico al ripristino della legalità. Si può quindi affermare che il paesaggio, come bene oggetto di tutela, non è suscettibile né di reintegrazioni, né di incrementi, e ciò giustifica una disciplina particolarmente rigorosa e rispettosa del disposto dell’art. 9 della Costituzione.

Questo si inserisce nella consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha espresso l’orientamento secondo il quale “l’art. 167, comma 4, d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, non consente il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica a sanatoria quando il manufatto realizzato in assenza di valutazione di compatibilità abbia determinato la creazione o l’aumento di superfici utili o di volumi” (Cons. Stato, sez. VI, n. 3373/2013). In un caso sovrapponibile a questo, è stato evidenziato che “la norma richiamata [l’art. 167 del d.lgs. 42/2004, n.d.r.], al comma 4 lett. a), ammette l’accertamento di compatibilità paesaggistica unicamente per lavori “che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati” e che siano configurabili, ai sensi della successiva lett. c), in termini di “manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”. Che a fini paesaggistici abbiano rilievo i volumi interrati e seminterrati, con conseguente insanabilità degli stessi ove realizzati senza titolo, è da tempo riconosciuto in giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. IV, 11 settembre 2013, n. 4503), così come è risalente l’orientamento per il quale la piscina integri una “struttura di tipo edilizio che incide con opere invasive sul sito in cui viene realizzata, tant’è che per la sua realizzazione occorre munirsi di relativo titolo ad aedificandum” (Cons. Stato, Sez. IV, 8 gennaio 2016, n. 35)” (Cons. Stato, sez. VII, n. 3309/2023).

In questo senso dev’essere confermato l’orientamento che ha ribadito che “per la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato hanno rilievo paesaggistico i volumi interrati e seminterrati: così come per essi è applicabile il divieto di sanatoria quando sono realizzati senza titolo (perché il comma 4 dell’art. 167 vieta il rilascio della sanatoria paesaggistica quando l’abuso abbia riguardato volumi di qualsiasi natura), così essi hanno una propria rilevanza paesaggistica per le opere da realizzare. Pertanto, per tali volumi (e per le relative superfici) si applicano i divieti di realizzare nuove opere, ovvero, in loro assenza, l’autorità competente può valutare se la modifica dello stato dei luoghi abbia una negativa incidenza dei valori paesaggistici coinvolti” (Cons. Stato, sez. VI, n. 2704/2023).

Proprio in un caso dove l’oggetto del contenzioso era pure un “vano tecnico”, la Sezione aveva sottolineato che “la creazione di nuovi volumi, infatti, preclude l’applicazione del quarto comma a prescindere dalla loro qualificazione come volumi tecnici o pertinenziali, per il solo fatto dell’alterazione significativa del paesaggio; la giurisprudenza ha infatti specificato che “Il divieto di incremento dei volumi esistenti imposto ai fini di tutela del paesaggio, preclude qualsiasi nuova edificazione comportante creazione di volume, senza che sia possibile distinguere tra volume tecnico ed altro tipo di volume” (Cons. Stato, sez. VI, n. 7584/2021).

Da questo discende l’illegittimità degli atti con i quali le Pubbliche Amministrazioni hanno ritenuto ammissibili l’istanza e l’intervento compatibile a livello paesaggistico.

Per tutte le ragioni sin qui esposte, l’appello è stato accolto.