Sentenza n. 240 Anno 2020: resa dei conti tra il Governo e la Regione Lazio in materia di paesaggio di Lorenzo De Poli

Sentenza n. 240 Anno 2020:

  resa dei conti tra il Governo e la Regione Lazio in materia di paesaggio

 Sentenza n. 240 del 2020;

  1. Con la sentenza n. 240 del 2020 la Corte Costituzionale ha annullato il Piano paesaggistico della Regione Lazio del 2 agosto 2019, affermando che nel procedimento di formazione del piano regionale è necessaria una intesa di carattere generale tra Regione e Stato, che assicuri una tutela unitaria del paesaggio. L’approvazione del piano paesistico da parte della Regione senza un accordo con il Mibact viola infatti il principio di leale collaborazione, oltre che il Codice dei Beni culturali e del paesaggio.

 

  1. La vicenda[1] ruota attorno al mancato coinvolgimento del Ministero dei Beni Culturali nel procedimento seguito dal Consiglio Regionale del Lazio nell’approvazione del Piano territoriale paesistico regionale (in seguito PTPR). Nella ricostruzione della ricorrente si lamenta il fatto che il Consiglio regionale, contraddicendo il percorso di condivisione con il Ministero svolto fino al 2016, abbia approvato «un “proprio” PTPR, diverso sia dal Piano adottato nel 2007 sia dai documenti concordati nel verbale del 2015».

Diametralmente opposta è la difesa della Regione, la quale sostiene che il percorso di condivisione precedentemente avviato non sia stato contraddetto, «trattandosi nel caso di specie, non dell’approvazione di un nuovo PTPR, ma dell’adeguamento dei piani paesaggistici provinciali già esistenti prima del d.Lgs. n. 42/2004, dei quali il PTPR sarebbe la naturale continuazione e in qualche modo il compendio».

In definitiva, da un lato la ricorrente afferma che la Regione abbia approvato un piano nuovo, contravvenendo all’obbligo di copianificazione di cui all’art. 142 del Codice, dall’altro la resistente sostiene che il PTPR censurato abbia provveduto alla unificazione e omogeneizzazione dei preesistenti 29 PTP in unico piano esteso all’intero territorio regionale, giustificando dunque l’applicazione dell’art. 156 del Codice invece del 142.

Pertanto, alla base dell’iter logico che ha condotto alla decisione, la Corte ha ritenuto dirimente stabilire se, nel caso in questione, si fosse in presenza di una operazione di verifica e adeguamento di piani paesaggistici preesistenti (art. 156) o dell’approvazione di un nuovo piano (art. 143).

Come noto, la disposizione contenuta nell’art. 156 del Codice e rubricata «Verifica ed adeguamento dei piani paesaggistici» si inserisce nel Capo V relativo alle «disposizioni di prima applicazioni e transitorie». La ratio della norma è quella di addivenire, in fase di prima applicazione, all’omogeneizzazione della pianificazione effettuata ai sensi del T.U. del 1999 con i nuovi piani paesaggistici, la cui disciplina di riferimento è contenuta negli artt. 135 e 143 del Codice.[2]  Il primo comma dell’art. 156 individua il termine entro cui le regioni devono procedere a tale verifica ed adeguamento dei piani già redatti: entro il 31 dicembre 2009. La Corte nota come il termine è da intendersi come un limite temporale oltre il quale il meccanismo di adeguamento non è destinato più ad operare, rigettando in questo modo l’argomento della difesa regionale secondo il quale si tratterebbe di una disposizione che non ha ancora esaurito la sua efficacia. Vieppiù, la disposizione afferma che proprio in caso di inutile decorso il Ministero esercita le potestà di indirizzo e vigilanza ed il potere sostitutivo. Se questo primo argomento può essere facilmente accolto, suggerendo velatamente al Ministero l’esercizio del potere sostitutivo al perdurare dell’inerzia regionale, il secondo argomento avanzato dai Giudici costituzionali resta sottoponibile a qualche critica. Tale argomento infatti muove dalla lettura della deliberazione contestata nel conflitto, nella cui premessa risultano citati il contenuto dell’art. 143, comma 2, «in base al quale le singole Regioni e il Ministero stipulano intese per l’elaborazione congiunta dei piani paesaggistici […]», nonché dell’art. 156 nella parte in cui si dice che «l’elaborazione del piano è stata finalizzata, ai sensi dell’articolo 156 del Codice, anche alla verifica e all’adeguamento dei PTP vigenti che saranno sostituiti dal PTPR approvato, ad esclusione del PTP di Roma ambito 15/12 “Caffarella, Appia Antica e Acquedotti”»; che, «successivamente all’approvazione del PTPR, quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 2, comma 2, della l.r. 2/2018, verrà adeguato di intesa con il Ministero competente sulla base della Carta dell’uso del suolo aggiornata e nel rispetto degli articoli 135 e 143 del Codice»; che, «a seguito del completamento della fase pubblicistica dei sopracitati beni paesaggistici, il PTPR approvato dovrà essere aggiornato ed integrato, di intesa con il Ministero competente nel rispetto degli articoli 135 e 143 del Codice». Da quanto riportato, la Consulta deduce che «il contestuale riferimento all’art. 143 e all’art. 156 dimostra che il contenuto del piano non si esaurisce nella sola verifica e adeguamento dei piani preesistenti ma presenta un significativo quid novi non riconducibile alle attività di cui all’art. 156.». Sebbene non si voglia contestare l’autorevolezza della Corte, sul punto si rileva qualche perplessità rispetto alla soluzione adottata, che pur non alterando le conclusioni ottenute con il primo argomento, finisce per inferire dal mero riferimento agli articoli 143 e 156 la presenza di novità non concordati, senza valutare, di fatto, l’effettiva presenza di novità nel piano oggetto di contestazione.

 

  1. Una volta escluso che il procedimento di approvazione del piano in contestazione potesse svolgersi senza il coinvolgimento del Mibact a norma dell’art 156, la Corte passa alla disamina dell’ulteriore motivo di censura avanzato dalla ricorrente, vale a dire, la violazione o meno del principio di leale collaborazione. Trovando applicazione al caso di specie la disposizione contenuta nell’art. 143, si ricorda che i contenuti oggetto di co-pianificazione sono limitati ai sensi della disciplina ex art. 135 e 143, comma 1, b), c), e d) del Codice perlopiù agli immobili e alle aree dichiarate di notevole interesse pubblico ai sensi dell’art. 136, nonché alle aree tutelate direttamente dalla legge come i territori costieri, i fiumi, torrenti e parchi. In questo senso, la difesa avanzata dalla Regione circa il carattere puntuale ed isolate delle modifiche apportate al piano, non è bastata a evitare la scure della Consulta, la quale, nel citare la giurisprudenza costituzionale, ha ribadito la non ammissibilità di una generale esclusione o di una mera partecipazione degli organi ministeriali.[3] Da ciò deriva l’impossibilità di scindere il procedimento di pianificazione paesaggistici in subprocedimenti che escludano l’intervento dell’amministrazione statale. Questo perché, come più volte ribadito, il ruolo della disciplina statale posta a tutela dell’ambiente e del paesaggio è quello di atteggiarsi a limite alla disciplina dettata dalle Regioni e dalle Province autonome nelle materie di loro spettanza.[4] Pertanto, come la stessa Corte afferma, autocitandosi, è necessario «una strategia istituzionale ad ampio raggio, che si esplica in un’attività pianificatoria estesa sull’intero territorio nazionale […] affidata congiuntamente allo Stato e alle Regioni».[5] In questo senso, ne discende un obbligo di pianificazione congiunta da intendersi come principio inderogabile della legislazione. Conseguentemente, gli interventi della Regioni volti a modificare unilateralmente la disciplina di un’area protetta ovvero a dettare deroghe ai limiti per la realizzazione di interventi di ampliamento del patrimonio edilizio esistente sono da intendersi in contrasto non solo con gli impegni assunti con il Ministero, ma anche con le prescrizioni contenute nel Codice dei Beni culturali e del paesaggio.

Come si apprende dalla decisione, la ricostruzione della Regione Lazio risulta quindi inconsistente, laddove afferma di aver coinvolto il Mibact, salvo poi procedere ad una approvazione unilaterale del piano con conseguente rinvio ad una successiva determinazione di quanto nel frattempo concordato.

Proprio la consapevolezza del Consiglio Regionale di dover procedere ad un nuovo accordo con gli organi del Ministero, rende palese la mancanza della Regione e la conseguente violazione del principio di leale collaborazione: in altre parole, l’accordo avrebbe dovuto precedere e non seguire la definitiva approvazione e pubblicazione del piano nel BUR.

 

  1. Se, come afferma la Corte, la vicenda in esame tratteggia il principio di leale collaborazione, come applicato al procedimento di pianificazione paesaggistica, nel senso di un canone ispirato alla elasticità e adattabilità, a cui si impogono «continue precisazioni e concretizzazioni», allora non si può non sottovalutare l’immobilismo che talvolta accompagna anche l’operato del Mibact in relazione ai compiti ed ai doveri che il Codice gli impone. Al netto di tale vicenda che vede come soccombente la Regione Lazio, va riconosciuto che neanche l’amministrazione statale può ritenersi del tutto esente da critiche.

Occorre interrogarsi, sempre in un’ottica di leale collaborazione, sulla necessità di un intervento da parte degli organi del Ministero, diretto a fornire alle Regioni, in via omogenea e su base nazionale, una strategia di indirizzo che tenga conto dei livelli di tutela da apporre sul paesaggio della nostra Penisola. Solo in base all’individuazione di queste linee fondamentali, prescritte dallo stesso art. 145 co. 1 del Codice, si può offrire alle Regioni un valido parametro a cui uniformare i propri livelli di tutela del paesaggio.[6]

Solleva inoltre qualche perplessità il ruolo che assume il Consiglio regionale nel procedimento di formazione del piano stesso. In effetti, come fatto presente dalla difesa regionale, il Consiglio non può essere relegato a mero organo di ratifica di una decisione assunta dalla Giunta regionale, pur se d’intesa con il Mibact. Sebbene la circostanza che il Consiglio non fosse concorde sulla proposta della Giunta, non lo legittimava di per sé ad approvare unilateralmente un piano non condiviso con l’amministrazione statale, di fatto, si comprende come il Consiglio possa esercitare un semplice potere di veto sulla proposta, lasciando la fase di negoziazione con lo Stato alla sola Giunta.

Questa decisione inevitabilmente aprirà degli scenari complessi, soprattutto in riferimento alla gestione dei provvedimenti di autorizzazione del paesaggio ed alla conseguente parziale paralisi dell’attività edilizia. L’annullamento del Piano territoriale paesistico regionale potrebbe richiedere l’attivazione della disposizione contenuta nel comma 9 dell’art. 143 del Codice e nell’art. 21 della l.regionale n. 24/1998.[7]  Non è da escludersi la reviviscenza dei PTP già approvati, che a norma dell’art. 36 bis della l.regionale n. 24/1998 continuano ad avere efficacia fino alla data di approvazione del PTPR.

Si apprende infine da una nota dell’Ufficio Stampa della Regione Lazio che, nel frattempo, la Giunta ed il Ministero hanno già raggiunto un nuovo accordo sul PTPR, sottoscritto lo scorso luglio e già inviato all’esame del Consiglio. Alla luce di ciò, l’auspicio è che i soggetti pubblici interessati dalla vicenda possano finalmente completare, in ossequio al principio di leale collaborazione e soprattutto di tutela del paesaggio, la procedura di approvazione di un PTPR, oramai atteso nel Lazio da oltre 20 anni.

 

Lorenzo De Poli

 

[1] Per un approfondimento dell’iter processuale che ha condotto alla decisione in commento si rinvia a https://www.pausania.it/stato-vs-lazio-il-governo-impugna-il-pianto-territoriale-paesistico-regionale-di-lorenzo-de-poli/

[2] Così FERRO, Commento all’art. 156, in FAMIGLIETTI, PIGNATELLI (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Roma, p. 987.

[3]  Sent. N. 64/2015.

[4] Sent. N. 66/2018.

[5] Ibidem.

[6] In questo senso si veda IACOVONE, Vademecum per il PTPR approvato dalla Regione Lazio, su questa rivista https://www.pausania.it/a-proposito-del-ptpr-della-regione-lazio/ .

[7] Art. 21 (Approvazione del PTPR) 1. Entro il 14 febbraio 2020, la Regione procede all’approvazione del PTPR quale unico piano territoriale paesistico regionale redatto nel rispetto dei criteri di cui all’articolo 22. Decorso inutilmente tale termine, operano esclusivamente le norme di tutela di cui al Capo II e, nelle aree sottoposte a vincolo paesistico con provvedimento dell’amministrazione competente, sono consentiti esclusivamente interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, risanamento, recupero statico ed igienico e restauro conservativo. 2. Nelle more dell’adozione del PTPR possono essere approvati ulteriori PTP, nel rispetto dei criteri previsti nell’articolo 22 e secondo le procedure di cui all’articolo 23, qualora si manifesti l’esigenza di procedere con urgenza alla tutela paesistica di determinate zone del territorio regionale.