Stato vs. Lazio: il Governo impugna il Piano territoriale paesistico regionale, di Lorenzo De Poli

1. Era stato annunciato[1] e, infine, è accaduto: la Presidenza del Consiglio ha presentato ricorso alla Corte Costituzionale avverso la deliberazione del Consiglio regionale Lazio n. 5 del 2 agosto 2019 che ha approvato il Piano territoriale paesistico regionale (PTPR).

Tra i motivi di impugnazione si lamenta il conflitto di attribuzione tra lo Stato e la Regione per violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma, s) e 118 della Costituzione, nonché la violazione ed erronea applicazione degli articoli del Codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano il procedimento di pianificazione congiunta dei beni paesaggistici tra ciascuna Regione e lo Stato. Pertanto se ne richiede per l’effetto l’annullamento, previa sospensiva.

2. Per meglio comprenderne le ragioni, occorre muovere dalla ricostruzione dell’iter che ha condotto all’approvazione del PTPR di cui si discute. Il primo passaggio risale al febbraio del 1999 con l’accordo di collaborazione tra il Ministero, la Regione e l’Università di Roma Tre, a seguito del quale viene istituito un Comitato tecnico scientifico per la redazione del Piano. Con l’entrata in vigore del Codice dei beni culturali e del paesaggio e l’introduzione di una nuova disciplina di pianificazione dei beni paesaggistici, la Regione Lazio adotta nel 2007 il proprio PTPR, finalizzato, tra l’altro, alla verifica e all’adeguamento dei PTP vigenti, destinati ad essere sostituiti dal PTPR all’esito dell’approvazione. Il PTPR adottato, pubblicato sul BURL il 14 febbraio 2008, n.6, assume quindi efficacia in regime di salvaguardia. Conseguentemente, si avvia l’attività di co-pianificazione con il Ministero per ricondurre il Piano, in sede di approvazione, alle disposizioni in tema di pianificazione individuate dal Codice dei beni culturale e del paesaggio, ovverosia, per attribuirgli valenza di strumento pianificatorio elaborato d’intesa. Ne è derivato dunque, il Protocollo di intesa del 13 dicembre 2013, tra Regione Lazio e MIBACT, per la tutela e valorizzazione del paesaggio laziale, che ha condotto nel 2015 alla sottoscrizione di un Verbale di condivisione dei contenuti del Piano Paesaggistico della Regione Lazio. A distanza di anni, gli Avvocati di Via dei Portoghesi lamentano che il Consiglio regionale risulta aver disatteso la definizione congiunta dei contenuti del PTPR, assumendo con la deliberazione n. 5 del 2019 un “proprio” Piano diverso, sia da quello adottato nel 2007, sia dai contenuti concordati nel Verbale del 2015. Inoltre, si contesta un contenuto notevolmente peggiorativo della tutela del paesaggio rispetto alle versioni precedentemente richiamate, nonché il rinvio dell’adeguamento del Piano d’Intesa con lo Stato ad un momento successivo.

Si aggiunge che non essendo intervenuta la pubblicazione nel BURL della deliberazione del Consiglio Regionale, è stata riavviata una collaborazione tra il Ministero e la Regione che ha consentito di addivenire alla redazione congiunta di un nuovo testo delle Norme di Piano, che, espunto delle novelle unilateralmente assunte dalla Regione, è stato adottato dalla Giunta regionale con la deliberazione n. 50 del 13 febbraio 2020. Senonché, nelle more del percorso di condivisione appena descritto, il PTPR approvato nell’agosto del 2019 è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lazio n. 13 del 13 febbraio 2020.

 

3. Dunque la deliberazione consiliare n. 5 del 2019 invaderebbe un ambito di competenza amministrativa riservata allo Stato, con evidente nocumento degli art. 9, 117, secondo comma, s) e 118 della Costituzione, nonché di quelle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio che disciplinano la pianificazione paesaggistica. Più nello specifico, si tratterebbe degli articoli:

  • 133, istitutivo del principio di cooperazione tra amministrazioni pubbliche per la conservazione e la valorizzazione del paesaggio;
  • 135, co. 1, concernente il principio di pianificazione congiunta tra il Ministero e le regioni;
  • 143, co. 2, riguardante il rispetto dell’intesa stipulata per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta del piano;
  • 145, co. 3, sul principio di prevalenza del piano paesaggistico sugli altri strumenti di pianificazione territoriale urbanistica e di settore;
  • 145, co. 5, sul principio di partecipazione degli organi ministeriali nel procedimento di conformazione ed adeguamento degli strumenti urbanistici al piano paesaggistico;
  • 156, co. 3, sullo svolgimento congiunto della verifica e adeguamento dei piani paesaggistici.

 

4. In attesa del giudizio della Sovrana Corte, sia consentito in questa sede tracciare qualche breve riflessione sulla vicenda, ripercorrendo quanto la giurisprudenza costituzionale ha già statuito in materia di pianificazione paesaggistica.

Pare opportuno dunque muovere dal motivo di doglianza che si pone logicamente a valle della presente impugnazione, e cioè la violazione del principio di pianificazione congiunta della regione con il Ministero competente, di cui all’art. 135 co.1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, e da cui scaturisce a catena il conflitto di attribuzioni ex art. 117, II comma, s) Cost. e la violazione del principio di leale collaborazione ex art. 118 Cost.

Come è noto, va premesso che a norma dell’art. 135, comma 1, terzo periodo, l’onere della pianificazione congiunta è obbligatorio per le parti del piano relative ai beni paesaggistici di cui all’articolo 143, comma 1, lettere b), c), d) e nelle forme previste dal medesimo articolo 143. Ciò vuol dire che esso riguarda gli immobili ed aree di notevole interesse pubblico ex art. 136, le aree tutelate per legge ex art. 142 e note come beni paesaggistici ope legis (territori costieri, boschi, foreste, vulcani, zone montuose, ghiacciai etc.), ed eventuali ulteriori immobili o aree di interesse pubblico ex art. 134, co. 1, lett. c).

A riguardo, con la sentenza n.66 del 2018 la Consulta ha chiaramente inteso la disposizione di cui all’art. 135 cod. Beni culturali, come principio inderogabile della legislazione statale, a sua volta riflesso della «impronta unitaria della pianificazione paesaggistica […], tes[a] a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici sull’intero territorio nazionale»[2]. Da quanto assunto ne deriva che non è ammissibile la «generale esclusione o la previsione di una mera partecipazione degli organi ministeriali» in procedimenti che richiedono la cooperazione congiunta: in tali ipotesi la tutela paesaggistica verrebbe degradata, «da valore unitario prevalente e a concertazione rigorosamente necessaria, in mera esigenza urbanistica»[3].  In altri termine, il ruolo dello Stato non può essere relegato ad un livello meramente consultivo e facoltativo, ma deve essere assunto «a valore imprescindibile, non derogabile dal legislatore regionale, in quanto espressione di un intervento teso a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della legislazione di tutela dei beni culturali e paesaggistici»[4].

Questo risulta ancora più evidente se ci si sofferma sul ruolo di “Costituzione del territorio” assurta dal piano paesaggistico[5], gerarchicamente sovraordinato a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale, sia urbanistica che settoriale, come indicato dall’art. 145 del cod. beni culturali.

Tale prevalenza è evidenziata altresì nella relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante il secondo correttivo al d.lgs. n. 42/2004, in cui si chiarisce che la regola «ben si giustifica anche in considerazione della partecipazione dello Stato alla elaborazione dei piani paesaggistici con riguardo alle aree vincolate (art. 135, comma 1). Tale modalità di elaborazione costituisce sufficiente garanzia di adeguata tutela degli interessi perseguiti attraverso i piani parco».[6]

Ciò comporta da parte della Regione l’obbligo di garantire il coinvolgimento del Ministero non solo nella fase di pianificazione, ma anche nelle eventuali fasi di revisione del Piano.

 

5. Nella sostanza il procedimento di copianificazione si basa sulla previsione di «due distinte, ma strumentalmente connesse, fattispecie consensuali: l’intesa per la definizione delle modalità di elaborazione congiunta del piano, e l’accordo sul contenuto del piano congiuntamente elaborato»[7].

All’intesa, mirata alla definizione delle modalità di elaborazione congiunta del piano paesaggistico, segue la fase di realizzazione del piano, normalmente affidata ad un comitato tecnico, il quale è tenuto al rispetto, non solo delle norme codicistiche, ma anche di quelle negoziali contenute nell’intesa stipulata fra lo Stato e la Regione. Nel caso di specie, tale passaggio risulta essersi concretizzato nel Protocollo d’intesa del 13 dicembre 2013, tra Regione Lazio e MIBACT, per la tutela e valorizzazione del paesaggio laziale, poi sfociato nel 2015 nella sottoscrizione di un Verbale di condivisione dei contenuti del Piano Paesaggistico della Regione Lazio.

Terminata la fase di elaborazione dello strumento pianificatorio, l’art. 143, comma 2, prevede che il piano così confezionato debba essere «oggetto di apposito accordo fra le pubbliche amministrazioni, ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241». Si tratta di un momento utile a cristallizzare le volontà delle parti in unico atto amministrativo: così facendo, le parti restano vincolate all’oggetto dell’accordo medesimo e contestualmente sanzionabili in caso di inadempimento.[8] In particolare, l’accordo tra la Regione ed il Ministero stabilisce ai sensi dello stesso art. 143, comma 2, i  «presupposti, le modalità e i tempi per la revisione del piano, con particolare riferimento all’eventuale sopravvenienza di dichiarazioni emanate ai sensi degli articoli 140 e 141 o di integrazioni disposte ai sensi dell’art. 141-bis», e disciplina, tra l’altro, l’eventuale esercizio del potere sostitutivo di approvazione da parte dello Stato, nel caso in cui la Regione non vi provveda entro il termine concordato. Infatti l’approvazione del Piano compete alla Regione, che deve attenersi a quanto prescritto in sede di accordo, non potendo procedere motu proprio a modifiche.

A tal riguardo, si rileva che il PTPR, qui oggetto di disamina, non risulta essere stato oggetto dello specifico accordo indicato ex art. 143, comma 2. In effetti le intese intervenute nel corso degli anni e da ultimo il Protocollo di intesa del 2013 ed il già citato Verbale del 2015, sembrerebbero attenere, in quanto a forma e contenuto, più alla fase istruttoria e di elaborazione del piano piuttosto che a quella conclusiva, in cui si colloca l’accordo di cui all’art. 143, co.2.

 

6. Se è vero che il conflitto di attribuzioni non si esaurisce solo in una mera invasione di competenze normative e amministrative, ma si traduce anche in una vera e propria deminutio della tutela accordata ai beni paesaggistici, risulta utile, ai fini del presente scritto, passare in rassegna alcune disposizioni introdotte dalla Regione nel testo delle Norme del PTPR.

L’art. 14, rubricato «Interventi sul patrimonio edilizio esistente e sulle infrastrutture. Eliminazione delle barriere architettoniche», al comma 3, oltre all’ipotesi di interventi finalizzati alla rimozione di barriere architettoniche, accorda «anche in deroga alle disposizioni di cui alle presenti norme (ndr. PTPR)», ulteriori interventi edilizi sul patrimonio edilizi e sulle infrastrutture. Allo stesso modo, il comma 4 ammette che una serie di interventi previsti dalla legge regionale 18 luglio 7/2017 in materia di rigenerazione urbana e recupero edilizio siano presi anche in deroga alle disposizioni del piano, comportando una innovazione rispetto a quanto risulta concordato nel testo del 2015.

Sulla stessa linea risultano anche gli articoli 34 e 35, rispettivamente dedicati alla protezione delle fasce costiere marittime e delle coste dei laghi. In particolare, il comma 5 dell’art. 34 prevede la possibilità di realizzare strutture balneari e strutture recettive all’aria aperta, solo in ambiti circoscritti, attrezzati a finalità turistiche in tutti i tipi di paesaggio, ammettendo quindi tali interventi anche nei paesaggi naturali, naturali agrari ed agrari di rilevante valore, già esclusi nella precedente intesa con il Ministero. Similmente per la costa lacustre, il comma 6 dell’art. 36 ammette la possibilità di costruire strutture connesse alle attività di stabilimenti balneari, spiagge libere con servizi, punti di ormeggio, ristorazione e somministrazione di bevande, noleggio imbarcazioni e natanti, nonché strutture ricettive all’aria aperta, sempre in ambiti circoscritti adibiti a finalità turistiche, senza però escludere i paesaggi vulnerabili, naturali, agrari e agrari di rilevante valore.

Per quanto attiene alla «protezione dei parchi e delle riserve naturali» di cui all’art. 38 delle Norme del PTPR, non è trascurabile il vulnus alla disposizione di cui all’art 145 del Codice dei Beni culturali, contenuto nel comma 8. Quest’ultimo prevede infatti, l’applicazione della disciplina dei piani d’assetto approvati alla data di approvazione del PTRP, in attesa del necessario adeguamento al Piano paesaggistico. Si introduce in questo modo l’affermazione della prevalenza dei piani di tutela delle aree protette rispetto al Piano paesaggistico, in netta violazione del principio di gerarchia degli strumenti pianificatori territoriali ex art. 143, comma 3, del Codice dei Beni culturali.

Merita inoltre un richiamo la disposizione contenuta all’art. 44, recante «Insediamenti urbani storici e relativa fascia di rispetto». Rispetto al precedente testo assunto d’intesa con il Ministero, il comma 4, come approvato dalla Regione, riduce la fascia di rispetto prevista per gli insediamenti urbani storici da centocinquanta a cento metri. Per di più, al comma 19, si afferma che le disposizioni dell’articolo non trovano applicazione in riferimento al sito Unesco – centro storico di Roma, rimettendo ogni valutazione in ordine alla conformità e compatibilità paesaggistica alla Sovrintendenza capitolina. A riguardo, il testo del 2015 prevedeva l’applicazione di specifiche prescrizioni di tutela da definirsi, in relazione alla particolarità del sito, congiuntamente da Regione e Ministero, così da poter garantire una visione d’insieme omogenea degli interventi sul centro storico della Capitale.

Da ultimo, si richiama la norma contenuta nell’art. 63, in materia di «salvaguardia in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici ai sensi del comma 3 dell’articolo 145 del Codice». Il testo fa salve tutte le previsioni degli strumenti urbanistici generali e attuativi approvati tra il 1987 e il 2007, perché ritenuti conformi prima ai PTP approvati nel 1998 e poi al PTPR adottato nel 2007, senza alcuna previsione di adeguamento al PTPR approvato.

 

7. Alla luce di tale ricostruzione, appare evidente che il testo impugnato presenta delle zone di dubbia conformità alle disposizioni costituzionali, nonché a quelle disposizioni del Codice dei beni culturali e del paesaggio, direttamente discendenti dai principi costituzionali. Si aggiunga che questo rischio risulta quanto mai acclarato dalla proposta di deliberazione consiliare n. 42 del 17 febbraio 2020, adottata dalla Giunta regionale con la deliberazione n. 50 del 13 febbraio 2020, intesa a sostituire integralmente le Norme del PTPR impugnato e a ricondurlo nell’alveo della leale collaborazione tra Stato e Regione. Tuttavia, solo l’approvazione di codesta delibera proposta dalla Giunta da parte del Consiglio Regionale del Lazio e la conseguente pubblicazione sul BURL potranno determinare la sostituzione delle Norme del PTPR, approvato ed ora in vigore.

Non ci resta dunque che attendere: solo il tempo infatti, potrà dirci se, nelle more del processo dinanzi alla Consulta, l’esito della vicenda sarà determinato dalla decisione dei Giudici Costituzionali ovvero dall’intervento dell’assemblea regionale laziale.

[1] Tra i tanti, https://agcult.it/a/10105/2019-08-02/lazio-mibac-potrebbe-impugnare-il-piano-paesistico.

[2]Così sentenza Corte Cost. n. 64 del 2015,e nello stesso senso sentenze Corte Cost. n. 210 del 2016, n. 197 del 2014, n. 211 del 2013.

[3] Sentenza Corte Cost. n. 64 del 2015.

[4] Ibidem.

[5]Come ricorda L. DE LUCIA, in Piani paesaggistici e piani per i parchi. Proposta per una razionale divisione del lavoro amministrativo, in  Intervento al XV Convegno annuale del Club giuristi dell’ambiente, Pescasseroli, 14 settembre 2013 «Il piano paesaggistico rappresenta un atto di pianificazione d’area vasta di carattere tendenzialmente generale: ciò i quanto, anche in ragione della Convenzione anche in ragione della Convenzione europea[16], “la tutela del paesaggio ha assunto una portata generale e comunque una decisiva prevalenza di valore rispetto alla pianificazione urbanistica, sull’intero territorio”[17]. In secondo luogo, come anticipato, l’art. 145 del codice cit. ha introdotto la regola, inversa a quella stabilita dalla l. n. 394/91, della prevalenza del piano paesaggistico su gli altri strumenti di pianificazione[18], ivi compreso quello per il parco (145, comma 3, codice)[19], con la conseguenza che gli enti gestori delle aree naturali protette (oltre ai comuni) sono tenuti ad adeguare gli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale alle relative prescrizioni (art. 145, comma 4)».

[6] In Relazione illustrativa al secondo correttivo del Codice, 24 gennaio 2011, p.11.

 

[7]Così in C.P. SANTACROCE, Accordi tra pubbliche Amministrazioni ed atti amministrativi complessi nella copianificazione per la tutela del paesaggio, cit. 607. Per appronfondire la pianificazione pesaggistica si rinvia a S. AMOROSINO, I piani paesaggistici, in AA.VV., Codice dei beni culturali e del paesaggio tra teoria e prassi, a cura di V. PIERGIGLII – A.L. MACCARI, Milano, 2006; S. AMOROSINO, Introduzione al diritto del paesaggio, Editori Laterza, 2010; P. URBANI, Per una critica costruttiva all’attuale disciplina del paesaggio, in Diritto dell’economia, 2010.

 

[8] In tema di accordi tra pubbliche amministrazioni sono molteplici i riferimenti bibliografici. Si rinvia tra tutti a AA.VV., Codice dell’azione amministrativa, a cura di A. M. SANDULLI, Milano, 2011, 673 ss.

 

Ricorso1_MIBACT

Stato vs. Lazio- il Governo impugna il Piano territoriale paesistico regionale (articolo in PDF)

Lazio-deliberazione-consiglio-regionale-02-08-2019_n.5

PTPR_Nota_Aree_e_Comuni_Procedure_REGLAZIO.REGISTRO_UFFICIALE.2020.0220576