Rigenerazione, riqualificazione, riuso, riconversione: sono questi i termini che ormai coinvolgono le città. Ma soprattutto la città consolidata, cresciuta negli anni del boom economico degli anni ‘60 senza spazi e servizi pubblici. Gli attori di questa vicenda sono da una parte l’amministrazione locale, dall’altra i proprietari immobiliari, ma anche le imprese di costruzione, i capitali finanziari.
In altri paesi, vedi la Parigi del sindaco Hidalgo, il ruolo dei poteri pubblici, non solo locali ma anche centrali, hanno fatto da registi della riqualificazione urbana con adeguati finanziamenti.
In Italia, la crisi della finanza locale ne ha impedito finora qualunque iniziativa diretta a valorizzare, in primis, la città pubblica.
Il “piano casa “del governo Berlusconi del 2009 – ma anche la l.106 del 2011, si sono mossi al contrario, privilegiando gli interessi privati, prevedendo la possibilità della demolizione e ricostruzione con premio di volumetria in deroga al piano urbanistico, e agli standard urbanistici e edilizi. L’individualismo proprietario in luogo degli interessi della collettività.
La proliferazione degli interventi rigenerativi ha dato luogo ad una frammentazione urbana in quartieri novecenteschi, rompendo l’omogeneità di quei contesti, come fossero proiettili piombati fragorosamente a terra.
Oggi, a quelle leggi regionali che avallarono il piano casa, dichiarate incostituzionali dalla Corte Costituzionale poiché lesive del principio di pianificazione, presupposto fondamentale dell’assetto dei suoli, ne sono subentrate altre, incentivando i comuni a procedere a programmare gli interventi di riqualificazione per ambiti unitari, favorendo la partecipazione dei cittadini coinvolti, per favorire una rigenerazione umana – come ebbe a dire Salvatore Settis tempo fa sul Corriere della Sera – e non solo una rigenerazione urbana!
Ma il protagonismo degli enti locali stenta ad emergere, poiché questo comporta l’ascolto, la costituzione di comitati di quartiere, il riconoscimento degli interessi diffusi, il governo delle radici d’erba, poiché occorre partire dal basso, dalla Civitas, e non solo dagli interessi privati sempre più inclini alla massima “valorizzazione” dei beni immobiliari, scollati dal contesto nel quale si trovano. Casi recenti mettono in evidenza che gli interventi di rigenerazione in corso, demoliscono, ricostruiscono, aumentano le volumetrie, creano la città alta, prescindendo dal tessuto urbano che avrebbe bisogno, al contrario, di un piano attuativo che coinvolga anche la visione unitaria della caotica urbanizzazione esistente, o meglio quel rapporto tra spazi pubblici e spazi privati – tra vuoti e pieni – che rende sempre più problematica la vivibilità di quelle città. La letteratura giuridica, sociologica, politologica è piena di riflessioni sulla città ostile, sulla città ingiusta, sulla città tradita. E’ forse questa l’occasione per ripensare cosa sia effettivamente la rigenerazione urbana, poiché le aree urbane, specie le grandi Città metropolitane, si muovono tra mercato e diritti, e diviene sempre più decisivo, allora, agire verso un’urbanistica solidale!