La Corte costituzionale interviene nella vicenda della demolizione e ricostruzione di fabbricati esistenti di Paolo Urbani

A seguito della Sentenza 70 del 2020 della Corte Costituzionale sulla ristrutturazione edilizia.

di Paolo Urbani

  1. Prologo

La recente sentenza della Corte Costituzionale segna un punto di non ritorno rispetto alla disciplina del “Piano casa” introdotto come disciplina straordinaria nel 2009 la cui durata  – proprio per tale suo carattere – avrebbe dovuto avere una durata non superiore a tre anni, ma in realtà prorogatosi per anni in molte Regioni, e ancora vigente in Puglia, oggetto del presente arresto giurisprudenziale.

Il tema riguarda il cosiddetto “rinnovo urbano”  del patrimonio edilizio esistente, oggetto di attenzione da parte del legislatore statale fin dalla l. n.133 del 2008 seguita poi dal dl 70 del 2011[1]. Il “Piano casa” del 2009 s’inserisce quindi tra questi due provvedimenti.

La filosofia alla base di tali scelte normative si fonda su un elemento centrale: ovvero quello di prevedere l’ammissibilità della demolizione e ricostruzione d’interi edifici legittimi offrendo contestualmente una premialità volumetrica variabile che rilanci il settore e renda conveniente per le imprese procedere a tali interventi.

Sulla base di tali previsioni numerose sono le leggi regionali che sono intervenute per disciplinare tali interventi di riuso, ripristino, rinnovo, con l’aggiunta delle cosiddette premialità variabili da Regione a Regione ma che al fondo si basavano (e si basano tuttora) su una disciplina di favore diretta ai comuni ad accogliere proposte in tal senso da parte degli operatori, i cui contenuti tuttavia comportano la variazione dello strumento urbanistico (anche in forma semplificata tramite accordo di programma) che non preveda tali modificazioni dell’assetto urbano vigente.

In questo quadro s’inserisce, in anticipo, il “Piano casa” frutto d’intesa Stato Regioni del 2009 che, in realtà, prevede la possibilità di interventi di demolizione e ricostruzione con premialità, in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi.[2] Si tratta, in breve, del riconoscimento di una volumetria ex lege a prescindere dalle previsioni di piano. Per contemperare tale deroga al sistema di pianificazione[3] si prevede che i comuni possano perimetrare le aree (o zone) nelle quali tali interventi derogatori non sono ammissibili, a tutela della conservazione del patrimonio edilizio esistente. In sostanza il “Piano casa” legittimava una sorte di depianificazione del territorio[4] che veniva compensata solo ove i comuni entro 60 giorni avessero perimetrato le aree ove non poteva ammettersi tale premialità derogatoria.[5]

 

  1. La disciplina della ristrutturazione edilizia.

 

Se questo è lo scenario normativo occorre ora fare riferimento all’oggetto degli interventi ovvero alla cosiddetta ristrutturazione edilizia – categoria d’intervento disciplinata in origine fin dal 1978 [6] quando s’introdusse nell’ordinamento la definizione giuridica anche di altre categorie d’intervento edilizio tese a disciplinare la manutenzione ordinaria, straordinaria, il risanamento conservativo ed il restauro.

La categoria della ristrutturazione edilizia reintrodotta dal TU 380/2001(art 3 comma 1 lett d) ha subito diverse modifiche quanto al contenuto dell’intervento comportando una sua diversa configurazione rispetto a quella prevista dall’art. 10 dello stesso TU.

In sostanza, mentre l’art.3 citato attiene alla cosiddetta ristrutturazione edilizia ”leggera”, l’art.10 riguarda quella definita “pesante”.[7]

La differenza è sostanziale poiché in rapporto alla tipologia degli interventi ammessi cambia il titolo abilitativo specie – per stare alla sentenza in commento – se l’intervento di ristrutturazione (anche demolizione e ricostruzione) comporti aumento di volumetria. Si tratta da un lato della SCIA (ex Dia) e dall’altro del permesso di costruire.

E’ noto che la cosiddetta autodichiarazione (DIA) fu introdotta nell’ordinamento anche per le attività edilizie minori – prima richiamate – fin dalla l.493/1993 ma non comprendenti la ristrutturazione edilizia (poi inserita dal TU 380/2001) come modello di semplificazione ai sensi dell’art.19 della l.241/1990 finalizzato a rendere più spedite le pratiche edilizie configurandosi così una vera e propria “fuga” dal provvedimento espresso (la concessione edilizia, poi permesso di costruire).

La definizione normativa di ristrutturazione edilizia di cui all’art 3 co.1 lett d) ha subito modifiche nel tempo cosicchè per essere inquadrata come “ricostruzione” e non come nuova “costruzione” l’intervento doveva concludersi con la fedele ricostruzione dell’edificio, con identità di sagoma, volume, area di sedime e caratteristiche materiali. Successivamente il DL 301/2002 ha modificato la definizione di ricostruzione eliminando il riferimento all’area di sedime ed alle caratteristiche materiali. Il decreto sviluppo (DL 70/2011) ha autorizzato la delocalizzazione delle volumetrie. Il decreto del “fare” (DL 69/2013) ha poi eliminato il riferimento alla sagoma stabilendo che dovesse essere rispettata solo quella degli edifici vincolati. Tali interventi di “ristrutturazione ricostruttiva” possono essere realizzati tramite la DIA poi SCIA.

Diversamente in caso di “modifiche complessive della volumetria degli edifici” o dei prospetti (oltre ai requisiti della ristrutturazione “leggera” dell’art 3 co 1 lett, d) si ricade nell’art. 10 “interventi subordinati a permesso di costruire”.[8]

 

  1. Il punto fermo della Corte su concetto di ristrutturazione edilizia “leggera”.

 

A fronte di tale panorama normativo – ricostruito attentamente dalla Corte Cost. – s’inserisce il comma 1 ter [9] dell’art 2 bis del TU 380 che afferma che “In ogni caso di intervento di demolizione e ricostruzione, quest’ultima è comunque consentita nel rispetto delle distanze legittimamente preesistenti purché sia effettuata assicurando la coincidenza dell’area di sedime e del volume dell’edificio ricostruito con quello demolito, nei limiti dell’altezza massima di quest’ultimo”.

La disposizione – secondo la Corte – si colloca tra i principi fondamentali della materia “governo del territorio”[10]aggiungendo, inoltre, che le disposizioni del Tu dell’edilizia integrano “norme dalla diversa estensione, sorrette da rationes distinte e infungibili ma caratterizzate dalla comune finalità di offrire a beni non frazionabili una protezione unitaria sull’intero territorio nazionale (sent. 125/ 2017)”.

Il caso specifico riguarda le modifiche apportate alla legge sul Piano casa del 2009 della Regione Puglia che nel 2018 e 2019 con due leggi regionali introduce un elemento innovativo poiché prevede la possibilità di ricostruire l’edificio con una diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diversa dislocazione del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza.

Secondo la Corte non si tratta di norma interpretativa ma innovativa la quale integra una nuova deroga agli strumenti urbanistici rendendo irragionevolmente legittime – in virtù della sua portata retroattiva – condotte non considerate al momento della loro realizzazione, ma tali divengono – per effetto dell’intervento successivo del legislatore – così realizzando una surrettizia opera di sanatoria (sent.73 2017).

Ma al di là del caso specifico, il punto decisivo della pronuncia della Corte si concentra sul titolo abilitativo costituito dalla Scia mediante la quale viene previsto un aumento di volume (la cosiddetta premialità ex lege) ma anche l’abbandono dell’area di sedime.

Tutto ciò in contrasto con le previsioni di norma fondamentale dell’art. 2 bis comma 1 ter che definisce la “ristrutturazione costruttiva” con il limite dello stesso volume, della stessa area di sedime e della stessa altezza dell’edificio.

Orbene, con “il Piano casa” “ novellato” dalle successive leggi regionali pugliesi – ancorchè in deroga agli strumenti urbanistici – si è ammessa una trasfigurazione del contenuto della SCIA ammettendo che con questa si possa demolire e ricostruire anche con aumento di volume e abbandono dell’area di sedime.

Se la disposizione dell’art 2 bis è principio fondamentale questa va applicata su tutto il territorio nazionale con conseguenze sulle diverse leggi regionali di altre Regioni in contrasto con tale principio. Nello stesso tempo va rilevato che Il D. legsl 25 novembre 2016 n.222 Individuazione di procedimenti oggetto di autorizzazione, segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA), silenzio assenso e comunicazione e di definizione dei regimi amministrativi applicabili a determinate attività e procedimenti, ai sensi dell’articolo 5 della legge 7 agosto 2015, n. 124 prevede nell’allegato A del Regolamento edilizio tipo da recepire da tutte le Regioni una definizione della ristrutturazione edilizia “leggera” che collima esattamente con il principio fondamentale dell’art 2 bis co 1 ter. [11]

E’ appena il caso di rilevare che l’introduzione del comma 1 ter dell’art.2 bis origina da un contrasto giurisprudenziale relativo all’obbligo di rispettare la distanza di 10 metri ai sensi dell’art. 9  1 co. n.2) del DM 1444 del 1968 in caso di demolizione e ricostruzione degli edifici, costringendo quindi o a rendere impossibile la ricostruzione o a creare non pochi problemi di riassetto delle volumetrie esistenti. Il Consiglio di Stato con la sentenza 12 ottobre 2017, n. 4728 ha posto fine alla querelle mettendo in evidenza – tra l’altro –  che la norma si riferisce ai nuovi edifici, di talchè in caso di edifici esistenti da ricostruire la norma non si applica potendosi quindi ricostruire nella stessa area di sedime.

Ma ancorchè la motivazione della norma del TU. risieda sulla specifica questione in oggetto, considerandola da parte di alcuni commentatori, intesa come norma speciale e non generale, nulla legittima a non considerare la disposizione del comma 1 ter come principio fondamentale riferito al concetto di ristrutturazione edilizia “leggera” ammissibile tramite SCIA, principio teso a determinare un punto fermo nella disciplina.

Va osservato infine, che a tacer d’altro, è noto che l’utilizzo della SCIA in luogo del permesso di costruire riduce drasticamente la tutela degli interessi del terzo, [12]. specie nel caso dei vari “Piani casa” che prevedono l’ammissibilità della SCIA anche in caso di aumento di volume.

 

 

 

 

 

 

 

 

[1] Si riporta qui il comma 9. dell’art 5: Al fine di incentivare la razionalizzazione del patrimonio edilizio esistente nonché di promuovere e agevolare la riqualificazione di aree urbane degradate con presenza di funzioni eterogenee e tessuti edilizi disorganici o incompiuti nonché di edifici a destinazione non residenziale dismessi o in via di dismissione ovvero da rilocalizzare, tenuto conto anche della necessità di favorire lo sviluppo dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili, le Regioni approvano entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto specifiche leggi per incentivare tali azioni anche con interventi di demolizione e ricostruzione che prevedano:

  1. a) il riconoscimento di una volumetria aggiuntiva rispetto a quella preesistente come misura premiale;
    b) la delocalizzazione delle relative volumetrie in area o aree diverse;
    c) l’ammissibilità delle modifiche di destinazione d’uso, purché si tratti di destinazioni tra loro compatibili o complementari;
    d) le modifiche della sagoma necessarie per l’armonizzazione architettonica con gli organismi edilizi esistenti.
  2. Gli interventi di cui al comma 9 non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria.

 

[2] Conferenza unificata 31 marzo 2009, Intesa ai sensi dell’art. 8, l. n. 131 del 2003, per “favorire l’armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni”.

«In base all’intesa, le Regioni si sono impegnate ad approvare nel termine di 90 giorni leggi che: a) consentano interventi fino al 20% della volumetria di edifici residenziali uni-bi familiari o comunque di volumetria non superiore ai 1000 metri cubi, quindi, per un massimo di 200 metri cubi, al fine di migliorare anche la qualità architettonica e/o energetica; b) consentano, allo stesso fine, interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35%; c) semplifichino e accelerino l’attuazione di detti interventi.

Le leggi regionali possono però individuare ambiti in cui detti interventi sono esclusi o limitati; gli interventi inoltre, salva diversa decisione, possono avere validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi. In caso di inerzia o ritardo il Governo e il presidente della giunta regionale interessata “determinano le modalità procedurali idonee ad attuare compiutamente l’accordo, anche ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003».

Le successive leggi regionali contengono l’indicazione che gli interventi sono consentiti, in deroga agli strumenti urbanistici e territoriali comunali e alle previsioni dei regolamenti comunali.

 

[3] La Corte Cost ha più volte ribadito che è il piano urbanistico che determina l’edificabilità delle aree (tra i tanti arresti sent.1/1980).

[4] Su cui incisivamente le considerazioni di V. Cerulli Irelli-L. De Lucia, Verso la depianificazione del territorio, in Dem. e dir., 2009.

[5] Art. 2, legge reg. Veneto, n. 14/2009), o simili (cfr. es. legge reg. Piemonte n. 20/2009; legge reg. Lombardia n. 13 del 2009; legge reg. Basilicata n. 25/2009; legge reg. Abruzzo, n. 16/2009; legge reg. Marche n. 22/2009; legge reg. Sardegna n. 9/2009; legge reg. Liguria, n. 49/2009; legge reg. Molise n. 30/2009; legge reg. Puglia n. 14/2009; legge reg. Lazio n. 21/2009; legge reg. Campania n. 19/2009). Molte leggi regionali tuttavia, hanno previsto l’am­missibilità degli interventi nel rispetto degli standard urbanistici di zona.

[6] art 31 l.457 del 1978.

[7] Per una ricostruzione degli istituti con particolare riferimento alla ristrutturazione edilizia sia consentito rinviare a P.Urbani La ristrutturazione edilizia nel decreto “del fare” in Urbanistica e Appalti 2014 n.6.

 

[8] Stesso titolo abilitativo nel caso d’immobili ricompresi nelle zone A di cui si chieda mutamento di destinazione d’uso o di immobili vincolati in caso di modifica della sagoma.

[9] Introdotto dalla l.55 del 2019 art 5 co 1.(Legge “sblocca cantieri”).

[10] E’ noto che l’introduzione nella Costituzione del 2001 della materia “governo del territorio” in luogo dell’urbanistica di cui al previgente art 117 cost. aveva posto interrogativi sulla competenza residuale di quest’ultima, subito fugata dalla sent.303/2003 (Mezzanotte) che chiarì subito che nella nuova definizione vi rientrava sia l’urbanistica che l’edilizia come materie concorrenti.

[11] Si veda il comma 2 del d.legsl. 226: 2. Con riferimento alla materia edilizia, al fine di garantire omogeneità di regime giuridico in tutto il territorio nazionale, con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delegato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, previa intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, è adottato un glossario unico, che contiene l’elenco delle principali opere edilizie, con l’individuazione della categoria di intervento a cui le stesse appartengono e del conseguente regime giuridico a cui sono sottoposte, ai sensi della tabella A di cui all’articolo 2 del presente decreto.

[12] Rinvio alle esaustive considerazioni ricostruttive di Enrica Pitino Sulla SCIA dell’incertezza: la discutibile sentenza della Consulta in materia di tutela del terzo  in Pausania.it.

Corte-Cost.-70-2020