La Corte cost., 19 luglio 2024, n. 137 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 6, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135.
Questa Corte, con ordinanza n. 35 del 2024, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, in riferimento agli artt. 3, 41, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 TFUE, disponendone la trattazione innanzi a sé, in forza dell’«evidente rapporto di necessaria pregiudizialità» rispetto alla decisione del ricorso sull’art. 1 della legge reg. Calabria n. 16 del 2023, impugnato dal Governo, fra l’altro, per violazione della competenza statale in materia di tutela della concorrenza.
La disposizione censurata prevede che: «[a] decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino alla piena operatività dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese di cui al comma 3, non è consentito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di noleggio con conducente con autovettura, motocarrozzetta e natante».
Segnatamente, sarebbe la stessa struttura di tale disposizione, nella combinazione tra la durata del divieto di rilascio e le modalità dirette a dare piena operatività all’archivio informatico pubblico nazionale, a consentire «la possibilità di bloccare per un tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’espletamento del servizio di NCC», come del resto si è verificato in virtù della perdurante inoperatività, dopo più di cinque anni dall’entrata in vigore del d.l. n. 135 del 2018 del suddetto archivio informatico.
L’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018 si porrebbe quindi in contrasto: a) con l’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, potendosi dubitare sia della sua intrinseca razionalità sia dell’esistenza di una connessione razionale tra il mezzo apprestato e l’obiettivo perseguito; b) con l’art. 41, primo e secondo comma, Cost., potendo tradursi in un’istanza protezionistica che determina un’indebita barriera all’ingresso nel mercato, senza peraltro essere riconducibile a un motivo di utilità sociale o a un interesse della collettività; c) con l’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 49 TFUE, in quanto si risolverebbe in una restrizione della libertà di stabilimento garantita da quest’ultimo, né proporzionata, né giustificata da un motivo imperativo di interesse generale.
La questione sollevata con riguardo all’art. 3 Cost., in riferimento ai principi di ragionevolezza e proporzionalità, è fondata.
Come è stato affermato da questa Corte nella sentenza n. 56 del 2020, l’art. 10-bis, comma 6, dovrebbe avere «il fine di bloccare il numero delle imprese operanti nel settore [soltanto] per il tempo tecnico strettamente necessario ad adottare in concreto il nuovo registro».
Nella suddetta pronuncia tale previsione è stata quindi ritenuta non irragionevole in quanto valutata secondo una logica “statica”.
Dal punto di vista “dinamico” in cui, dopo diversi anni, la considera nuovamente l’ordinanza di questa Corte, si evidenzia, invece, una netta «contraddittorietà intrinseca» tra la regola introdotta, che permette di precludere a tempo indeterminato il rilascio di nuove autorizzazioni, e «la ‘causa’ normativa che la deve assistere» (ex plurimis, sentenza n. 195 del 2022), che dovrebbe essere quella, invece, di realizzare in breve tempo una mappatura delle imprese titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi e di quelle titolari (a mercato fermo) di autorizzazione per l’esercizio del servizio di NCC.
Altresì evidente è il difetto di proporzionalità.
Con riferimento al settore del NCC, di recente questa Corte ha affermato che «i divieti e gli obblighi posti in capo alle imprese autorizzate al servizio di NCC, per essere legittimi, devono essere […] adeguati e proporzionati rispetto allo scopo da perseguire» (sentenza n. 36 del 2024) e ha parimenti rimarcato l’esigenza di una «connessione razionale tra il mezzo predisposto dal legislatore […] e il fine che questi intende perseguire» (sentenza n. 8 del 2024).
Tale connessione manca, con chiara evidenza, nella norma censurata, che consente in concreto all’autorità amministrativa di bloccare a tempo indefinito il rilascio di nuove autorizzazioni per l’esercizio del servizio di NCC, con effetti protezionistici consistenti nell’elevare un’indebita barriera alla libertà di accesso al mercato, che non solo si è tradotta un’ulteriore posizione di privilegio degli operatori in questo già presenti – che agiscono in una situazione in cui la domanda è ampiamente superiore all’offerta – ma che, soprattutto, ha causato, in modo sproporzionato, un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività.
I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a dare «effettività» alla libertà di circolazione, «che è la condizione per l’esercizio di altri diritti» (sentenza n. 36 del 2024), per cui la forte carenza dell’offerta generata dal potere conformativo pubblico si è risolta in un grave disagio arrecato a intere fasce della popolazione e alle possibilità di sviluppo economico.
Essa ha infatti innanzitutto danneggiato la popolazione anziana e fragile, che, soprattutto nelle metropoli, non è in grado di utilizzare (o anche semplicemente raggiungere) gli altri servizi di trasporto di linea, ma che ha stringenti necessità di mobilità che, in particolare, si manifestano in riferimento alle esigenze di cura. Ha compromesso le esigenze di accesso a una mobilità veloce, spesso indispensabile a chi viaggia per ragioni di lavoro. Ha recato danno al turismo e all’immagine internazionale dell’Italia, dal momento che l’insufficiente offerta di mobilità ha pregiudicato la possibilità di raggiungere agevolmente i luoghi di villeggiatura, come documentato dalla Regione Calabria nel giudizio a quo.
Insomma, tali esempi dimostrano che, nella pur circoscritta distorsione della concorrenza che si è verificata per effetto della normativa censurata, sono stati indebitamente compromessi, non solo il benessere del consumatore, ma qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese.
Parimente fondata è la questione riferita all’art. 41, primo e secondo comma, Cost.
La norma censurata, come si è detto, ha consentito e consente all’autorità amministrativa di erigere una indebita barriera all’entrata: il che preclude la concorrenza per il mercato, in contrasto con la libertà garantita dal primo comma dell’art. 41 Cost. (sentenze n. 8 del 2024, n. 171 e n. 117 del 2022 e n. 7 del 2021), in un settore già da tempo «caratterizzato, come più volte ha rimarcato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (da ultimo, mediante segnalazione del 3 novembre 2023, rif. n. S4778), da una inadeguata apertura all’ingresso di nuovi soggetti» (sentenza n. 8 del 2024).
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, inoltre, è possibile una compressione della libertà d’iniziativa economica privata solo «allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda, oltre che alla protezione di valori primari attinenti alla persona umana, come sancito dall’art. 41, comma secondo, Cost., all’utilità sociale» (sentenza n. 150 del 2022; nello stesso senso, ex plurimis, sentenze n. 151 e n. 47 del 2018, n. 16 del 2017 e n. 56 del 2015).
Quanto in precedenza evidenziato porta invece palesemente a escludere che la disposizione censurata, rinviando a una piena operatività del registro suscettibile di essere procrastinata sine die, sia riconducibile a un qualche motivo di utilità sociale o a un interesse della collettività, rispondendo, al contrario, a un’istanza protezionistica che ha, non marginalmente, inciso sul benessere sociale e sugli interessi della collettività.
Fondata, infine, è anche la censura relativa all’art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all’art. 49 del TFUE.
La Corte di giustizia UE, in riferimento all’applicazione del suddetto art. 49, ha chiarito che questo garantisce la libertà di stabilimento anche nei rapporti tra imprese che forniscono il servizio di taxi e imprese autorizzate per il servizio di NCC.
Pronunciandosi con riguardo al più esiguo numero di licenze che una normativa spagnola attribuiva a chi esercita il servizio di NCC (un trentesimo di quelle riservate ai taxi), la Corte di giustizia UE ha ritenuto di esaminare in modo rigoroso le preminenti finalità d’interesse generale che sono poste a presidio della disciplina limitativa – come gli obiettivi di corretta gestione del trasporto, del traffico e dello spazio pubblico dell’agglomerato urbano, nonché di protezione dell’ambiente –, precisando anche che le misure adottate devono risultare adeguate e non in grado di travalicare quanto si dimostri indispensabile per conseguire gli obiettivi fissati dalla legge (Corte di giustizia UE, sentenza 8 giugno 2023, Prestige and Limousine SL).
Come già rammentato nella sentenza n. 36 del 2024, la pronuncia, peraltro, «ha posto in risalto il ruolo cruciale che i servizi di NCC sono deputati a svolgere, proprio in virtù dell’impiego dell’innovazione tecnologica, per “contribuire a conseguire l’obiettivo di una mobilità efficiente e inclusiva, grazie al loro livello di digitalizzazione e alla flessibilità nella fornitura di servizi, come una piattaforma tecnologica accessibile ai non vedenti” (paragrafo 96)».
Alla luce di tale giurisprudenza, la disposizione censurata incide sulla libertà di stabilimento senza che sia ravvisabile, per quanto già esposto, un proporzionato motivo di interesse generale a sua giustificazione.
Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale – per violazione degli artt. 3, 41, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 49 TFUE – dell’art. 10-bis, comma 6, del d.l. n. 135 del 2018, come convertito.