La giurisprudenza dei TAR sulla circolazione dei diritti edificatori in chiave perequativa di Luca Golisano
L’attuazione delle tecniche perequative nell’ambito di più comparti, anche non confinanti, ha segnato il passaggio dalla circolazione dei lotti edificabili, ovverosia delle aree, al trasferimento dello ius aedificandi e dunque delle quote edificatorie da spendere successivamente sulle aree medesime. In aggiunta, anche il superamento della prassi vincolistica si fonda sulla scissione tra il diritto edificatorio e il suolo afferente, consentendosi in tal modo la circolazione dei diritti edificatori relativi anche alle aree che i privati cedono gratuitamente al Comune a seguito del ricorso ai moduli consensuali.
Pertanto, non viene pregiudicata la possibilità per il privato di beneficiare della volumetria riconosciutagli dall’amministrazione nell’esercizio della propria discrezionalità in quanto, nell’ambito di un’urbanistica relazionale, egli può instaurare rapporti civilistici con altri proprietari; più precisamente, può alternativamente acquistare aree su cui trasferire i propri diritti edificatori oppure cedere le proprie quote edificatorie al proprietario di un’altra area cui gli strumenti urbanistici consentano di sfruttare la volumetria acquisita (cfr. A. Bartolini, Circolazione dei diritti edificatori in P. Urbani – F.G Scoca – P. Stella Richter, Trattato di diritto del territorio, Giappichelli, 2018).
Il meccanismo è ben esemplificato nell’ordinanza del TAR Lombardia, Sez. I, 5 ottobre 2015, n. 1821. Secondo il giudice e sotto il profilo amministrativo, la cessione di cubatura ha la sola funzione di trasferire lo ius aedificandi da un fondo all’altro entro i limiti dell’equilibrio generale fissato dalla perequazione urbanistica. Il fondo, privato della propria volumetria, resta inedificabile soltanto fino a quando un nuovo atto di pianificazione o di trasferimento tra privati non vi ammetta nuovi diritti edificatori; inoltre <<Qualora il proprietario del fondo di cui è stata ceduta la cubatura disponga di diritti edificatori derivanti da altri fondi, al medesimo proprietario spetta in via esclusiva la scelta sulla collocazione più opportuna di tali diritti, nel rispetto degli indici fondiari>>.
Viceversa sotto il profilo civilistico e con riferimento agli atti traslativi, << i diritti edificatori possono anche staccarsi dalla proprietà del fondo che li ha prodotti e circolare in modo indipendente. Se su un’area la cubatura è stata sfruttata solo in parte, il proprietario può cedere separatamente la proprietà dell’edificio e del sedime e la titolarità dei diritti edificatori residui, purché abbia fatto riserva di questi ultimi al momento della cessione dell’edificio e del sedime>>.
L’assenza di una espressa previsione legislativa del fenomeno aveva richiesto un intervento, meramente suppletivo, dapprima dei Comuni e successivamente di alcune Regioni. Diversi Comuni introdussero degli appositi registri dei diritti edificatori per garantire una pubblicità minima ai diritti medesimi e successivamente, nel tentativo di dare una copertura legislativa minima ai registri nonostante la competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, le Regioni Veneto, Lombardia e la Provincia autonoma di Trento stabilirono espressamente la commerciabilità dei diritti edificatori (in tali termini la vicenda è stata recentemente riassunta da Bartolini sempre nel Trattato di Diritto Urbanistico, Giappichelli 2018).
In un secondo momento si inserì l’intervento del legislatore statale che all’art. 2643.2-bis del codice civile, novellato dall’art. 5 del d.l 13 maggio 2011 n. 70, estese l’obbligo di trascrizione anche per <<i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati>>.
Sulla portata dell’intervento normativo statale si è recentemente pronunciato, con la sentenza della Sez. IV n. 3435 del 9 luglio del 2015, il Consiglio di Stato secondo il quale il legislatore si è mosso nell’ottica di risolvere e prevenire i problemi legati alla circolazione dei diritti e, prevedendo l’obbligo di trascrizione per i contratti prevista da <<normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale>>, ha implicitamente riconosciuto che <<la posizione giuridica soggettiva, espressamente denominata “diritto edificatorio”, possa essere oggetto di legislazione regionale.>>
Tali statuizioni sono state espressamente riprese dal TAR Emilia- Romagna, Sez. I (sezione staccata di Parma), 23 novembre 2016, n. 332, ove il tribunale amministrativo si è pronunciato in un caso in cui la tematica della circolazione dei diritti edificatori si lega alla tecnica perequativa.
Nel giudizio, rigettando il ricorso presentato, si esclude che la cessione gratuita degli standard prevista dal Piano Strutturale Comunale, nel caso di specie la cessione delle aree di proprietà dei ricorrenti destinate al verde pubblico, rappresenti uno svuotamento del diritto di proprietà tale da rappresentare un vincolo avente contenuto sostanzialmente espropriativo. Difatti, richiamando un proprio precedente, il giudice amministrativo definisce la cessione quale <<sistema di controprestazione (all’interno del modulo cooperativo) per consentire l’attuazione dei nuovi insediamenti urbani e per la riqualificazione di quelli esistenti al fine di garantire proprio le dotazioni territoriali fissate dalla pianificazione urbanistica e dalla legge regionale>> .
Il TAR, in breve, richiama come la perequazione concerni la sola fase della conformazione edilizia, nonché della sua dinamica evoluzione, e non la creazione di diritti reali sovrapposti a quelli previsti dalla normativa codicistica secondo le garanzie fissate dallo Stato. Sicché, nel caso di specie, l’edificabilità resta subordinata, in luogo dell’esproprio, alla cessione gratuita per uso pubblico delle aree di proprietà dei ricorrenti, i quali possono sfruttare le quote edificatorie sulle aree espressamente individuate dal Comune per riceverle . D’altronde, il giudice amministrativo emiliano si era già precedentemente espresso in tal senso con la sentenza, Sez. I, 6 giugno 2014, n. 603, riconoscendo la pianificazione comunale quale sede naturale non dell’attribuzione ma della sola <<ripartizione dei diritti edificatori>> da cui discendono vincoli conformativi e non espropriativi.
Di seguito si allegano alcune delle sentenze citate: