Inammissibili gli interventi di nuova costruzione nelle zone bianche di Fabio Cusano  

CS_1322_2023

 

Con la sentenza n. 1322 del 7 febbraio 2023, il Consiglio di Stato (sez. IV), ha ribadito che ai sensi dell’art. 9 del D.P.R. 380/2001, nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l’edificazione, sono consentiti solo gli interventi di cui alle lett. a), b), c) e d) del comma 1 dell’art. 3 dello stesso D.P.R. 380/2001 (manutenzione ordinaria e straordinaria, restauro e risanamento, ristrutturazione), che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse; non sono, pertanto, consentiti interventi di nuova costruzione (lett. e).

L’oggetto del presente giudizio è costituito dalla domanda di annullamento della determinazione dirigenziale con la quale il comune di Cassino ha rigettato le osservazioni presentate dai ricorrenti in relazione al preavviso di rigetto dell’istanza, e contestualmente denegato il rilascio del relativo permesso di costruire.

Il TAR respingeva tutte le censure; avverso detta statuizione hanno appellato i ricorrenti.

Ad avviso del Consiglio, l’appello è infondato e deve essere respinto.

L’amministrazione ha fatto corretta applicazione di norme inderogabili, nella specie dell’art. 9, t.u. edilizia.

L’edificazione, nella zona in cui ricade l’area degli appellanti (B1 di completamento) è assoggettata alla previa redazione di apposito strumento urbanistico attuativo.

L’art. 9 cit. dispone, al comma 2, che “Nelle aree nelle quali non siano stati approvati gli strumenti urbanistici attuativi previsti dagli strumenti urbanistici generali come presupposto per l’edificazione, oltre agli interventi indicati al comma 1, lettera a), sono consentiti gli interventi di cui alla lettera d) del primo comma dell’articolo 3 del presente testo unico che riguardino singole unità immobiliari o parti di esse”.

Ebbene, tra gli interventi consentiti dalla legislazione nazionale non rientra, per tabulas, la tipologia di edificazione postulata dagli appellanti.

Il diniego, in parte qua, è congruamente motivato, in diritto, con rinvio alle norme di legge preclusive dell’intervento edificatorio.

Sul punto, la Corte costituzionale, con sentenza 7 marzo 2017, n. 84, ha dichiarato la non fondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 6 giugno 2001, n. 378, e del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, sollevate in riferimento agli artt. 3, 41, primo comma, 42, secondo e terzo comma, 117, terzo comma, della Costituzione.

In particolare, la Corte ha osservato come la disciplina recata dall’art. 9 citato rientri all’interno del novero dei principi fondamentali della materia governo del territorio, e non anche in quello delle norme di dettaglio.

Una conclusione, quest’ultima, sostenuta da unanime giurisprudenza amministrativa e che trova la propria ragion d’essere nel fatto che la tutela del suolo nazionale rientra, a sua volta, in un quadro di protezione di valori di chiaro rilievo costituzionale, al punto che disposizioni come quelle in esame vengono identificate come disposizioni volte a «salvaguardare la funzione di pianificazione urbanistica».