Il mero decorso del termine non determina la carenza di legittimazione a presentare l’istanza di sanatoria di Fabio Cusano

CGARS 569 2023

Con la sentenza 15 settembre 2023, n. 569, il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana (CGARS) ha affermato che il mero decorso del termine di novanta giorni non determina la carenza di legittimazione a presentare l’istanza di cui all’art. 36 del D.P.R. 380/2001, poiché la sanzione della perdita della proprietà per inottemperanza all’ordine di demolizione, anche se definita dall’art. 31, comma 3, del D.P.R. 380/2001 come una conseguenza “di diritto”, necessita comunque, conformemente ai principi della CEDU, di una fase di accertamento dell’inadempimento e di una fase di formale irrogazione con un provvedimento che definisca l’oggetto dell’acquisizione al patrimonio comunale.

Il TAR di prime cure aveva adoperato il seguente costrutto dogmatico: con il mero decorso dei termini di ottemperanza all’ordinanza di demolizione, nella specie inutilmente scaduti, si produce di diritto l’effetto traslativo della proprietà; sicché l’originario proprietario rimane ormai privo di legittimazione per attivare una istanza di sanatoria, così come, in sede processuale, rimane privo di legittimazione ad impugnare il diniego di sanatoria.

La questione esige previamente la sintetica disamina di un quadro, sia normativo, sia giurisprudenziale, alquanto tormentato.

L’origine delle difficoltà è primariamente rintracciabile nella lettera della legge.

Da un lato, ai sensi, dell’art. 31, c.3, TU edilizia, se il responsabile dell’abuso “non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione”, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive “sono acquisiti di diritto” gratuitamente al patrimonio del comune.

D’altro lato, ai sensi dell’art. 36, c.1, TU edilizia, “in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, ovvero in assenza di segnalazione certificata di inizio attività nelle ipotesi di cui all’articolo 23, comma 01, o in difformità da essa, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria”.

La prima previsione sembra configurare una produzione ex lege dell’effetto traslativo in ragione della sola ricorrenza dell’inottemperanza nei termini. Mentre la seconda previsione prefigura la possibilità di una sanatoria, anche oltre la scadenza di tali termini, e cioè “comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”, lasciando quindi intendere che, oltre tali termini, vi sia un quid pluris nel cui arco temporale la sanatoria è ancora esperibile, come se la produzione dell’effetto traslativo per la sola scadenza dei termini non si sia in realtà determinata (o, quantomeno, non si sia determinata a tutti gli effetti giuridici).

Vi è anche una difficoltà di natura sistematica.

L’utilizzo di meccanismi di produzione ex lege dell’effetto, che risponde più pianamente alla logica del sistema privatistico, si adatta meno ai caratteri e ai principi del sistema giuspubblicistico, che normalmente presuppone un’attività amministrativa di cura dell’interesse pubblico e individua nell’atto amministrativo, discrezionale o vincolato che sia, il titolo costitutivo dell’effetto e il punto di attacco delle ragioni della tutela, secondo il tradizionale principio francese della décision préalable, di cui è da sempre debitore il nostro sistema di giustizia amministrativa e che oggi è stato pure codificato nel divieto per il giudice di pronunciarsi “con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati” (art. 34, comma 2, cpa).

Non è privo di rilievo al riguardo il rilievo che la legge finisca pur sempre per prevedere, come necessario, lo svolgimento di un’attività amministrativa, poiché occorre un atto di “accertamento dell’inottemperanza” (art. 31, comma 4), così come occorre accertare la precisa estensione dell’“area acquisita”, atteso che essa “non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita” (art. 31., comma 3).

Tale area, nondimeno, ben può essere inferiore – come di norma accade – a detta estensione massima: sicché, appunto, quella effettivamente da acquisirsi nel singolo caso deve sempre essere discrezionalmente (e, dunque, ragionevolmente e motivatamente, nonché con conseguente sindacabilità giurisdizionale dell’esercizio di tali poteri) determinata dall’Amministrazione con propri atti. Tutto questo appare scarsamente conciliabile con un puro automatismo degli effetti, sembrando poco congruente postulare la verificazione di un effetto acquisitivo automatico immediato, ma con riguardo a una misura dell’entità dell’acquisizione destinata a essere determinata autoritativamente solo in un momento necessariamente successivo.

Queste disarmonie lasciano così all’interprete, a seconda della opzione prescelta, la sensazione di dover sacrificare l’una o l’altra parte della lettera del dettato normativo: finendosi così per privilegiare l’una o l’altra opzione secondo un apprezzamento soggettivo (e, come tale, comunque opinabile) di quale dato normativo si voglia considerare preminente rispetto all’altro.

Secondo un rigoroso e ancora vivo orientamento, cui è informata la pronuncia gravata, è il primo dei riferimenti normativi a venir privilegiato, cioè l’acquisto di diritto per il solo fatto dell’inottemperanza nei termini all’ordinanza di demolizione, con conseguente svalutazione del rilievo dell’attività procedimentale successiva e della possibilità di un’istanza sanatoria postuma.

Anche di recente si è statuito che il “presupposto essenziale affinché possa configurarsi l’acquisizione gratuita è la mancata ottemperanza all’ordine di demolizione dell’immobile abusivo entro il termine di novanta giorni fissato dalla legge”; “Il diverso orientamento invocato dall’appellante (cfr. C.G.A. per la regione Sicilia, 24/12/2021, n 1075) si scontra con l’insuperabile rilievo per cui, decorso inutilmente il termine previsto per la demolizione, il manufatto abusivo è acquisito di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune, sicché colui che presenta la domanda di accertamento in conformità non è più proprietario del bene che intende sanare, con conseguente carenza di legittimazione all’avvio dell’iter procedimentale”; “La giurisprudenza ha chiarito che l’effetto traslativo della proprietà avviene ipso iure e costituisce l’effetto automatico della mancata ottemperanza all’ingiunzione a demolire”; “deve ritenersi ininfluente la sussistenza (o meno) di atto di accertamento di inottemperanza all’ordinanza di demolizione, proprio in forza della natura automatica dell’acquisto da parte dell’amministrazione … l’atto dichiarativo dell’accertamento dell’inottemperanza è necessario ai fini dell’immissione in possesso e della trascrizione nei registri immobiliari e non è costitutivo dell’effetto acquisitivo … il verbale di accertamento dell’inottemperanza non assume portata lesiva degli interessi del privato” (CdS, VI, 9 febbraio 2023, n. 1434).

A ciò si è aggiunto un ulteriore irrigidimento sul versante della efficacia dell’ordinanza di demolizione, la cui inottemperanza costituisce il presupposto primo, sufficiente o meno che lo si ritenga, perché possa predicarsi la produzione dell’effetto traslativo.

Secondo una prima giurisprudenza, a seguito della presentazione di un’istanza di accertamento di doppia conformità, l’ordinanza di demolizione verrebbe in sostanza meno, sicché, a seguito di un eventuale rigetto dell’istanza di sanatoria, l’Amministrazione dovrebbe adottare una nuova ordinanza di demolizione. Negli anni recenti, ha preso tuttavia sempre più campo un diverso orientamento, mosso dalla preoccupazione di una strumentale reiterazione di istanze di accertamento, secondo il quale l’ordinanza di demolizione non verrebbe meno, ma ne verrebbe temporaneamente sospesa l’efficacia, sicché, a seguito dell’eventuale rigetto dell’istanza di sanatoria, tale ordinanza tornerebbe naturalmente a produrre i suoi effetti, senza bisogno di essere rinnovata (di recente, sulle due tesi, cfr. CdS, II, 20 gennaio 2023, n. 714).

Il Collegio non può fare a meno di rimarcare come il governo di tale quadro normativo, al di là dello scomposto e dunque insufficiente dato letterale, sia e debba essere ormai decisamente influenzato dai principi della CEDU e dalla correlativa necessità di recuperare maggiori margini di tutela per il cittadino, il che induce peraltro a ritrovare, rispetto all’eccentricità di affrettate formule legislative privatistiche, interpretazioni conformi ai principi del sistema pubblicistico. Anche il CGARS ha già avuto modo di ritenere “ineludibile un’interpretazione delle norme relative all’acquisizione al patrimonio che tenga conto dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (cfr. Cons. St., sez. VI, 4 novembre 2021, n. 7380)” (CGARS, sez. giur., 25 marzo 2022, n. 373, e 29 luglio 2022, n. 876).

Di tutto questo si hanno già inequivocabili indici giurisprudenziali, la cui premessa maggiore è costituita – appunto alla luce dei vincolanti principi della CEDU: la cui violazione ridonderebbe, ex art. 117 Cost., in un’esegesi incostituzionale della normativa nazionale che, proprio perché tale, non merita seguirsi – dalla necessità di farsi carico delle ineludibili conseguenze, a cominciare dalla rilevanza del profilo soggettivo, della qualificazione dell’acquisizione al patrimonio comunale nel novero delle sanzioni in senso stretto, anche con inevitabili riflessi retrospettivi sulle vicende dell’ordinanza di demolizione, che dell’atto di acquisizione costituisce un presupposto.

Natura sanzionatoria dell’acquisizione – e non meramente ripristinatoria, come nel caso dell’ordinanza di demolizione – che il Collegio pienamente condivide: sia alla luce dell’insegnamento del giudice delle leggi (C. Cost., 15 luglio 1991, n. 345: “l’acquisizione gratuita dell’area non è dunque una misura strumentale, per consentire al Comune di eseguire la demolizione, né una sanzione accessoria di questa, ma costituisce una sanzione autonoma che consegue all’inottemperanza all’ingiunzione”); sia alla luce del dato legislativo, non fosse altro perché l’acquisizione non conduce necessariamente alla demolizione (art. 31, c.5: “L’opera acquisita è demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso, salvo che con deliberazione consiliare non si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico”).

Le concatenazioni interpretative presentano così, rispetto al citato orientamento (che, come si è visto, si rivela rigoroso solo apparentemente, non essendo in grado di conciliare il tenore letterale delle diverse disposizioni legislative; né, soprattutto, queste ultime con i prevalenti parametri sovranazionali e costituzionali), un decisivo capovolgimento.

Anche qualora si mantenga lo schema della temporanea sospensione dell’efficacia dell’ordinanza di demolizione, si è affermato che, in caso di inottemperanza incolpevole che consegue a un sequestro penale, “il Comune, una volta acquisita notizia della cessazione del sequestro, dovrà notificare nuovamente l’ordinanza di demolizione già in precedenza adottata all’interessato, a questi concedendo un nuovo termine per l’eventuale ottemperanza” (CGARS, sez. riun., parere 13 ottobre 2020, n. 277); giungendosi fino a generalizzare siffatto schema, sicché a partire dalla “considerazione che in pendenza del sub/procedimento volto al c.d. “accertamento di conformità” … la “temporanea inottemperanza” all’ordinanza di demolizione (ovvero – ove il fenomeno venga analizzato sotto altro profilo – la “temporanea sospensione” della sua efficacia e dunque dei termini per eseguirla), costituisca una “condotta” … perfettamente giustificabile”, dunque senza colpa, si è poi affermata in termini più ampi “la ratio … di “rimettere in termini” il cittadino che si sia visto respingere la domanda di concessione in sanatoria, al fine di consentirgli di eseguire “spontaneamente” l’ordinanza di demolizione, e di evitare – così – gli effetti sanzionatori ulteriori (confisca del fabbricato e dell’area di sedime e sanzione pecuniaria)” (CGARS, sez. riun., parere 28 settembre 2022, n. 477).

Con il che, ben si comprende, si finisce in sostanza per tornare all’originaria giurisprudenza, non sussistendo un’apprezzabile differenza (se non eventualmente per i riflessi processuali) tra il notificare una nuova ordinanza e il rinotificare la vecchia ordinanza con rimessione in termini.

In ogni caso, e anche ove si volesse prescindere da quest’ultima conclusione, risulta evidente come – alla stregua di quell’interpretazione sistematica che sembra imporre all’interprete la sostituzione del preteso rigorismo con l’ineludibile coerenza sistematica dell’ordinamento nel suo complesso – il dettato dell’inciso “sono acquisiti di diritto” subisca un inevitabile depotenziamento alla luce dei prefati principi, rimanendo soltanto, ad orpello ormai di carattere più che altro formale, quella persistente affermazione del carattere dichiarativo degli atti.

In sostanza, la suddetta formula non può più essere intesa in senso meramente letterale, ma deve essere ambientata e piegata alla logica del sistema pubblicistico e del giusto procedimento sanzionatorio di matrice anche sovranazionale.

Decisiva è in tal senso la valorizzazione delle vicende successive allo spirare dei termini assegnati per demolire come naturale conseguenza appunto dell’intrinseca natura sanzionatoria dell’acquisizione.

Quanto più tali vicende si procedimentalizzano e si arricchiscono doverosamente di contenuti e di esiti differenziati, tanto più ci si allontana da quella servente funzione dichiarativa e ci si avvicina invece alla produzione provvedimentale dell’effetto.

Il CGARS ha avuto così modo di statuire che “il mero trascorrere dei 90 giorni non conclude il procedimento amministrativo volto a tutelare l’integrità del territorio violata dalla costruzione abusiva. La necessità di individuare e rispettare tutte le fasi ulteriori del procedimento risponde ai principi più volte ribaditi anche in sede multilivello di certezza dei rapporti giuridici, di corretto agire della pubblica amministrazione alla stregua del principio di “buona amministrazione” che è di diretta applicazione nel nostro ordinamento … La pubblica amministrazione deve pertanto accertare l’ottemperanza, che deve essere ritualmente notificata all’interessato … In questo interstizio tra il decorso dei 90 giorni e l’adozione degli ulteriori provvedimenti si radica la previsione di chiusura dell’art. 36 del testo unico dell’edilizia dovendosi ritenere questa la sola interpretazione che possa rendere conciliabili le due disposizioni. La celere definizione del procedimento di reintegra del territorio violato impedisce la proposizione dell’istanza di sanatoria, il suo dilatarsi nel tempo consente al cittadino di proporre la verifica della doppia legittimità delle opere abusive” (CGARS, sez. giur., 24 dicembre 2021, n. 1075); è “conforme, pertanto, ai principi nazionali e multilivello il rafforzarsi un orientamento giurisprudenziale che àncora gli effetti compiuti dell’acquisizione gratuita al rispetto delle fasi procedimentali che l’articolo 31 del testo unico sull’edilizia disciplina. Non sarebbe conforme ai principi sopra richiamati una lettura dell’articolo che finisse per considerare legittima l’applicazione di una sanzione amministrativa particolarmente afflittiva prescindendo dal suo accertamento oltre che dalla sua formale irrogazione”; sicché “è conforme, pertanto, ai principi nazionali e multilivello il rafforzarsi di un orientamento giurisprudenziale che àncora gli effetti compiuti dell’acquisizione gratuita al rispetto delle fasi procedimentali che l’articolo 31 del testo unico sull’edilizia disciplina” (CGARS, sez. giur., 25 marzo 2022, n. 373); “l’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, laddove prevede che in caso di omessa demolizione il bene abusivamente realizzato e l’area di sedime «sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune» deve essere, pertanto, interpretato alla stregua dei detti principi nazionali e multilivello”; “La scansione procedimentale prevista dal citato art. 31 è, dunque, costituita: i) dal provvedimento di ingiunzione a demolire, con il quale viene assegnato il termine di novanta giorni per adempiere spontaneamente alla demolizione ed evitare le ulteriori conseguenze pregiudizievoli; ii) dall’accertamento della inottemperanza all’ordine di demolizione tramite un verbale che accerti la mancata riduzione in pristino; iii) dall’atto di acquisizione al patrimonio comunale, che costituisce il titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione gratuita dell’acquisto della proprietà in capo al Comune”; “Può, pertanto, ragionevolmente concludersi che l’effetto traslativo della proprietà a favore del Comune, secondo la sequenza procedimentale prevista dall’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, avviene solo a seguito del provvedimento di accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire” (CGARS, sez. riun., parere 16 febbraio 2023, n. 81).

Precedenti non meno significativi sono ravvisabili anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, pur se a volte con graduazioni diverse (cfr. CdS, IV, 14 aprile 2023, n. 3800), ma sempre complessivamente riconducibili a questo stesso indirizzo (v., ad es., sul rilievo del profilo soggettivo e sul diritto al contradditorio, CdS, VI, 9 agosto 2022, n. 7023, e 13 giugno 2023, n. 5770; sulla necessità di un atto formale di accertamento, cfr. CdS, VII, 3 aprile 2023, n. 341).

Merita di essere segnalata anche una recente pronuncia che ha messo in campo il rilievo dei principi della legge n. 689/1981: “Una lettura sistematica e costituzionalmente orientata impone l’estensione applicativa dei principi fondamentali di cui agli artt. 1, 2, 3 e 4 della l. 689/1981 anche a tali tipologie di illecito, così come affermato in generale per ogni sanzione amministrativa in senso stretto … Il completo perfezionamento della fattispecie acquisitiva è subordinato all’adozione di un atto avente valore provvedimentale, ma per addivenire allo stesso vanno rispettati i passaggi procedurali a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti e pure per esigenze di economia, stante che l’avvenuta demolizione spontanea soddisfa pienamente le esigenze di buon governo del territorio dell’Amministrazione vigilante. Il rispetto di tali scansioni procedurali, lungi dal costituire baluardo meramente formale strumentalmente invocato per procrastinare, ovvero scongiurare, la demolizione dell’abuso, costituisce il giusto punto di incontro fra i contrapposti interessi tutelati dal legislatore, da un lato il rispetto dell’ordinato sviluppo del territorio, di cui il previo titolo edilizio costituisce garanzia primaria, dall’altro la tutela della proprietà, destinata comunque a recedere laddove il titolare non sacrifichi al suo mantenimento il doveroso ripristino spontaneo dello stato dei luoghi, sicuramente da preferire per intuibili ragioni di risparmio, anche economico … l’avvenuta adozione dell’ingiunzione a demolire non era affatto preclusiva della presentazione di ridetta istanza di sanatoria, proprio in ragione della mancata definizione del procedimento di accertamento dell’inottemperanza. Il tenore letterale dell’art. 36 del T.u.e. infatti consente di accedere all’accertamento di conformità fino allo spirare del termine per la demolizione spontanea (nella fattispecie sospeso giudizialmente fino al 3 febbraio 2021) ovvero «comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative» (tra le quali rientrano, ovviamente, sia l’acquisizione al patrimonio indisponibile, sia la somma di danaro prevista dal comma 4 bis, che egualmente presuppongono la decorrenza di 90 giorni dalla notifica dell’ingiunzione a demolire pienamente efficace)” (CdS, II, 20 gennaio 2023, n. 714).

Rimane, invero, un punto ancora non del tutto chiarito in relazione alla sopravvenuta sanzione pecuniaria di cui all’art. 31, comma 4-bis TU edilizia.

Come si è visto, la giurisprudenza, privilegiando la dizione dell’art. 36 e i suoi corollari rispetto all’acquisto di diritto affermato dall’art. 31, sembrerebbe comunque aver trovato il punto di equilibrio nella necessità che l’effetto acquisitivo sia sancito da un formale atto di accertamento, che finisce per costituire il punto di chiusura della formula dell’art. 36 (“comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative”).

Resta da chiedersi se, ai sensi dell’art. 36, l’istanza di sanatoria, nonostante vi sia stato un atto formale di accertamento, sarebbe ancora possibile in quanto rimarrebbe pur sempre in campo la nuova sanzione pecuniaria. Ed infatti delle due l’una: o si ritiene che la formula dell’art. 36 non possa ritenersi comprensiva anche della suddetta sanzione, in quanto la previsione di quest’ultima è sopravvenuta; ove, invece e più correttamente, la si reputi comprensiva anche della nuova sanzione pecuniaria – secondo i principi di autointegrazione dell’ordinamento giuridico, in cui la sopravvenienza di ogni nuova disposizione continuamente plasma il significato esegetico di quelle preesistenti – dovrà giocoforza ritenersi che la sanzione dell’effetto acquisitivo presupponga non solo l’atto formale di accertamento, ma anche la definizione del procedimento relativo alla suddetta sanzione pecuniaria, atteso che altrimenti riemergerebbe sempre l’aporia di un soggetto non più proprietario che può ancora presentare un’istanza di sanatoria.

Ai più limitati fini della presente controversia, e alla luce delle superiori considerazioni e dell’orientamento di questo Consiglio testé richiamato, cui si intende dare continuità, è sufficiente tuttavia rilevare che, nel caso di specie, non risulta alcun formale atto di accertamento, sicché non poteva considerarsi già prodotto l’effetto traslativo, con il corollario che le odierne appellanti erano ancora legittimate a presentare istanza di sanatoria, così come ad impugnarne il diniego di fronte al giudice amministrativo.