Il Consiglio di Stato si pronuncia nuovamente sul contributo straordinario con riferimento al P.R.G. di Roma, di Luca Golisano

Sul contributo straordinario sono recentemente tornati ad esprimersi i Giudici di Palazzo Spada nella sentenza della Sez. IV, 2 settembre 2018, n. 5348, ove si pone in rilievo la socializzazione dell’intervento urbanistico in mutamento della destinazione d’uso e, dunque, l’interrelazione tra la città privata e la città pubblica. Il contributo, come chiarisce il Supremo Consesso, “attinge parte della ricchezza aggiuntiva che il privato sceglie volontariamente di ottenere valendosi di sopravvenute scelte pianificatorie dell’Amministrazione”; pertanto, ad un redditizio mutamento della destinazione d’uso corrisponde, ragionevolmente, una più intensa partecipazione del proprietario ai maggiori oneri che la collettività è chiamata a sopportare in ragione dell’incremento del carico urbanistico conseguente all’intervento del privato medesimo.

Il Consiglio di Stato viene dunque ad arricchire le proprie considerazioni sulla natura del contributo straordinario precedentemente emanate nella sentenza n. 4545 del 13 luglio 2010 e fondate sull’ormai consolidato principio della consensualità che esclude il carattere ablatorio o tributario degli extra-oneri. Nello specifico, vengono nuovamente ribadite le caratteristiche essenziali della tecnica perequativa nella sua dimensione “solidale”, ovverosia: “la natura facoltativa, opzionale, volontaria del mutamento d’uso; il carattere addizionale ed aggiuntivo di tale possibilità di fruizione e valorizzazione del bene rispetto all’attuale destinazione urbanistica; il maggior carico urbanistico che tale eventuale modifica, ove in concreto attuata, strutturalmente determina”.

Il presente giudizio è di particolare interesse in quanto il Supremo Consesso non solo evidenzia il legame tra la tecnica di perequazione ed il fine della riqualificazione urbana, ma mette altresì a confronto il contributo straordinario previsto nel PRG capitolino e quello oggetto dell’art. 14, comma 16, del d.l. n. 78 del 2010, convertito con modificazioni con l. n. 122 del 2010, ovverosia una normativa statale che, pur disciplinando espressamente un’ipotesi di contributo straordinario diversa da quella del TU.Edil, è stata pressoché ignorata dalla dottrina e giurisprudenza in ragione della sua ridotta applicabilità al solo Comune di Roma.

Nello specifico, la normativa del 2010 configura un contributo da imporre nella misura massima del 66 % del maggior valore immobiliare conseguibile e volto a “finanziare la spesa corrente, da destinare a progettazioni ed esecuzioni di opere di interesse generale, nonché alle attività urbanistiche e servizio del territorio”. Diversamente, nel piano capitolino, detto contributo va obbligatoriamente utilizzato per finalità di riqualificazione urbana nello stesso ambito in cui ricade l’intervento; sicché, evidenziano i Giudici di Palazzo Spada, “la novella del 2010, invero, individua previsioni speciali volte ad un fine (“garantire l’equilibrio economico-finanziario della gestione ordinaria” del Comune di Roma) del tutto estraneo al contributo straordinario disciplinato dal P.R.G., che, invece, vive in una dimensione tutta urbanistica”; quest’ultimo da ritenersi privo di carattere ablatorio o tributario in quanto trae la propria legittimità dai principi generali che regolano l’esercizio della potestà amministrativa di governo del territorio.

Cons. Stato, Sez. IV, 12 settembre 2018, n. 5348