Sugli oneri concessori nelle convenzioni urbanistiche di Fabio Cusano

Cons St 2996 2023

 

Con la sentenza n. 2996 del 24 marzo 2023, il Consiglio di Stato (sez. IV) ha ribadito che il principio generale secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandinon vale rispetto a casi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisca oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale. In tal caso, infatti, gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l’equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti. Ne deriva che non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative.

La ricorrente ha adito una prima volta il TAR per impugnare la variante allo strumento urbanistico generale, nella parte in cui disponeva la rimozione del vincolo alberghiero gravante sull’immobile di sua proprietà, contestualmente prevedendo che gli interventi di trasformazione con cambio di destinazione d’uso in residenziale sarebbero stati subordinati alla cessione a titolo gratuito al Comune di una superficie non inferiore al 10% della superficie di pavimento, con possibilità di monetizzazione parametrata all’80% del valore minimo Osservatorio del Mercato  Immobiliare (OMI) della zona di riferimento.

Successivamente alla notifica del ricorso, era stata stipulata la convenzione urbanistica per l’intervento di sostituzione edilizia con cambio di destinazione d’uso da alberghiero a residenziale con la quale la ricorrente si impegnava a pagare al Comune, in luogo della cessione di superficie, la monetizzazione del 10% della nuova superficie abitativa; inoltre le parti si davano atto che l’adempimento di tale obbligazione avrebbe esonerato la società dall’obbligo di assicurare il rispetto degli standard urbanistici.

La convenzione, in parte qua, riproduceva la disciplina sulla monetizzazione delle aree da cedere al Comune contenuta nella variante urbanistica e contestata dalla ricorrente.

Con sentenza passata in giudicato, il TAR ha accolto il ricorso e, per l’effetto, ha annullato gli atti relativi alla variante.

Successivamente alla pubblicazione della citata sentenza, la ricorrente ha precisato di aver stipulato la convenzione nel convincimento di poter addivenire, a seguito dell’accoglimento del ricorso, alla modifica della stessa nonché di aver tentato, dopo la pubblicazione della sentenza favorevole, di avviare una trattativa per rinegoziare i termini dell’accordo, sostituendo l’obbligazione avente per oggetto il pagamento delle somme ancora dovute al Comune con quella relativa alla realizzazione di opere a scomputo; il Comune ha rifiutato la proposta e ha sollecitato il pagamento della somma residua, comunicando l’avvio del procedimento volto all’escussione della fideiussione prestata a garanzia delle obbligazioni assunte dalla società.

Con successivo ricorso la ricorrente ha nuovamente adito il TAR per l’esecuzione del giudicato formatosi sulla sentenza, instando per la declaratoria della nullità della nota comunale; chiedeva altresì che il rifiuto del Comune di modificare la convenzione fosse ritenuto in contrasto con l’effetto conformativo discendente dal giudicato di annullamento della variante urbanistica.

Il TAR ha respinto il ricorso escludendo la nullità e comunque la annullabilità degli artt. 5 e 6 della convenzione edilizia stipulata inter partes, dedotte dalla appellante e ha ritenuto legittima la richiesta di pagamento delle rate residue con cui veniva altresì preannunciata la escussione della fideiussione. La società ha proposto appello avverso la sentenza.

Ad avviso del Consiglio di Stato, ha ben motivato il TAR ritenendo che il giudicato si sia formato soltanto su ciò che ha costituito oggetto della decisione; poiché è pacifico che l’accertamento non è stato esteso alla convezione edilizia, quest’ultima non può essere assunta quale parametro di una pretesa violazione di obblighi conformativi da parte del Comune in sede di giudizio di ottemperanza, proprio perché estranea al perimetro dell’accertamento giudiziale e, conseguentemente, al giudicato formatosi sul punto. Allo stato la convenzione, proprio in quanto non impugnata, è valida, efficace e vincolante tra le parti, motivo per cui il Comune ha preannunciato la escussione della polizza fideiussoria in caso di mancato pagamento delle rate residue oggetto di uno specifico obbligo di pagamento dedotto in convenzione.

Non vale opporre che ciò determinerebbe una situazione di mancanza di effettività di tutela giurisdizionale poiché è stata una scelta della parte ricorrente quella di non impugnare nel giudizio avverso la variante – o comunque in un separato giudizio – anche la successiva convenzione edilizia. In definitiva, il mancato conseguimento del bene della vita non è la conseguenza di un inadempimento dell’Amministrazione alla statuizione del Giudice bensì l’effetto della scelta di parte di procedere con la stipula di una convenzione che ha replicato, su base pattizia, la regolamentazione che la parte assume lesiva del proprio interesse, novando la fonte del pregiudizio asseritamente patito.

Deve poi osservarsi che l’effetto conformativo di cui l’appellante invoca il rispetto risulta superato da un accordo ex art. 11 della legge n. 241 del 1990; tale tipologia di accordo, pur avendo ad oggetto l’esercizio di un potere, ha natura negoziale laddove la autonomia delle parti ben può disciplinare un assetto di interessi definendo una regolamentazione che vada oltre la fattispecie legale tipica, purché la stessa sia conforme ad una finalità di interesse pubblico; la regolamentazione degli obblighi patrimoniali in contestazione trova la propria causa giustificativa anche nella finalità di c.d. social housing.

Il Consiglio ha invocato, ulteriormente, il principio di autoresponsabilità e di non contraddittorietà, oltre che di buona fede, fondato sulla constatazione che la parte non può dolersi della quantificazione degli oneri da lei stessa accettata con la sottoscrizione, senza riserva, della convenzione.

In definitiva, nessun obbligo di modifica della convenzione può ritenersi derivante dalla prima sentenza del TAR recante l’annullamento della variante approvata con delibera di giunta regionale, sicché anche la nota – con la quale il Comune ha chiesto di dare corso al pagamento degli oneri residui, con riserva di escutere la fideiussione – deve ritenersi non affetta da nullità per violazione del giudicato.

Peraltro, la monetizzazione delle aree da cedere ai sensi dell’art. 5 della convenzione, tiene luogo e sostituisce la monetizzazione comunque dovuta a titolo di standard urbanistici, secondo quanto previsto dall’art. 6 della convenzione e ciò rappresenta una ulteriore giustificazione causale del pagamento. Il fatto che il criterio di calcolo di cui all’art. 5 possa essere maggiormente oneroso rispetto alla monetizzazione dovuta per standard urbanistici in via ordinaria non rende le clausole affette da nullità in quanto la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che «va osservato come l’assunzione nell’ambito di una lottizzazione di obbligazioni ulteriori rispetto a quelle espressamente previste dalla legge, non possa di per sé essere esclusa e tantomeno automaticamente ricondotta a fenomeni estorsivi o comunque di “costrizione”. Per un verso, infatti, non esiste nell’ordinamento una norma generale che impedisca, in sede di convenzione urbanistica, la libera erogazione di ulteriori contribuzioni rispetto a quelle fissate dalla legge che, quindi, costituiscono semplicemente il minimo legale. Per altro verso, poi, gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l’equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni stessi. In altri termini, la causa della convenzione urbanistica e cioè l’interesse che l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare, va valutata non con riferimento ai singoli impegni assunti, ma con riguardo alla oggettiva funzione economico-sociale del negozio, in cui devono trovare equilibrata soddisfazione sia gli interessi del privato che della pubblica amministrazione. E, nella specie, osserva il Collegio come l’utilità che l’appellante ha ricevuto dall’operazione riguardata nel suo complesso (anche attraverso la cessione onerosa a terzi del diritto di costruire il complesso immobiliare concessionato dall’amministrazione), ben giustifichi gli impegni assunti dalla società in sede convenzionale che, pertanto, non sono di certo meritevoli di annullamento» (Cons. Stato, sez. V, n. 5603/2013).

Più di recente il Consiglio di Stato (sez. II, 8 giugno 2021, n. 4376) ha affermato che: «È corretto, in particolare, che il principio generale secondo cui l’obbligo di contribuzione è indissolubilmente correlato all’effettivo esercizio dello ius aedificandi non vale rispetto a casi in cui la partecipazione agli oneri di urbanizzazione costituisca oggetto di un’obbligazione non già imposta ex lege, ma assunta contrattualmente nell’ambito di un rapporto di natura pubblicistica correlato alla pianificazione territoriale. In tal caso, infatti, gli impegni assunti in sede convenzionale non vanno riguardati isolatamente, ma vanno rapportati alla complessiva remuneratività dell’operazione, che costituisce il reale parametro per valutare l’equilibrio del sinallagma contrattuale e, quindi, la sostanziale liceità degli impegni assunti. Ne deriva che “non è affatto escluso dal sistema che un operatore, nella convenzione urbanistica, possa assumere oneri anche maggiori di quelli astrattamente previsti dalla legge, trattandosi di una libera scelta imprenditoriale (o, anche, di una libera scelta volta al benessere della collettività locale), rientrante nella ordinaria autonomia privata, non contrastante di per sé con norme imperative” (Cons. Stato, sez. IV, 01/10/2019, n. 6561)».

Da quanto precede emerge che era in facoltà della odierna appellante accettare una quantificazione degli oneri dovuti maggiore rispetto a quanto previsto dalla disciplina generale, nell’ambito della valutazione di convenienza economica dell’operazione rimessa alla parte in forza del principio di autoresponsabilità, sicché, una volta assunto l’impegno in via pattizia a corrispondere il relativo importo, lo stesso è giuridicamente dovuto e la parte resta a ciò obbligata, non potendosi in ciò ravvisare alcun contrasto con norme imperative.

Deve, infine, rilevarsi che ai sensi dell’articolo 1419 c.c. “La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità”; la domanda di accertamento della nullità parziale della convenzione, riferita agli artt. 5 e 6, laddove in ipotesi fondata, comporterebbe la nullità della intera convenzione essendo pacifico che il Comune non avrebbe stipulato il predetto accordo senza i due articoli in questione.

Pertanto, poiché la declaratoria di nullità parziale comporterebbe la nullità dell’intera convenzione, verrebbe meno la regolarità edilizia dell’intervento di recupero che risulterebbe pertanto abusivo.

Alla luce delle esposte motivazioni, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello.