Con sentenza 30 novembre 2023, n. 10378, il Consiglio di Stato (sez. VII) ha ribadito che, in base al principio comunitario di concorrenzialità, le concessioni demaniali, in quanto concernenti beni economicamente contendibili, devono essere affidate mediante procedura di gara.
L’amministrazione comunale disponeva l’esame delle istanze di proroga ventennale (in ragione degli investimenti programmati) nell’ambito del procedimento ad evidenza pubblica avviato in ragione della ritenuta sussistenza e necessaria tutela anche delle situazioni giuridiche di affidamento in capo ai soggetti ad esso partecipanti e, pertanto, disponeva la sospensione dello stesso ex art. 182, comma 2, del d.l. 34/2020.
Le odierne appellanti impugnavano la sospensione del procedimento di proroga; il TAR respingeva il ricorso; avverso detta sentenza presentavano appello i ricorrenti.
Ad avviso del Consiglio, le censure non sono fondate.
Il competente ufficio comunale ha disposto di: 1. procedere al rilascio di licenza suppletiva per l’estensione temporale di quindici anni della durata delle concessioni demaniali pubblicate per le quali non vi è stata alcuna manifestazione di interesse; 2. rinviare ad una successiva fase di comparazione la definizione dei procedimenti per le concessioni demaniali oggetto di opposizione e contestuale manifestazione di interesse.
Inoltre, l’art. 3, comma 4 bis, della legge 494/93, recita testualmente: “Le concessioni di cui al presente articolo possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”. La norma, evidentemente, facendo riferimento alle “opere da realizzare” si riferisce soltanto alle nuove concessioni demaniali e non può di certo essere interpretata al fine di richiedere ed ottenere la proroga di una concessione demaniale già esistente.
Si osservi, al riguardo, che la Corte costituzionale con la sentenza n. 180 del 20 maggio 2010 ha dichiarato illegittimo l’art. 1 della L.R. Emilia-Romagna n. 8/2009 che offriva della norma nazionale la stessa illegittima interpretazione che l’appellante qui propone. In quel giudizio secondo la Regione Emilia-Romagna, la norma collegava la durata delle concessioni agli investimenti effettuati dal concessionario per la valorizzazione del bene e delle relative infrastrutture. La norma regionale prevedeva, infatti, la possibilità di una proroga della durata della concessione solo a seguito della presentazione di un programma di investimenti per la valorizzazione del bene dato in concessione, che, solo se apprezzato dall’amministrazione di riferimento, avrebbe determinato una maggiore durata del rapporto concessorio, proporzionale alla tipologia di investimento proposto, al fine di consentire l’ammortamento dei costi e l’equa remunerazione dei capitali investiti. La Corte costituzionale ha rilevato che questo argomento, però, avrebbe avuto un senso solo se – per ipotesi – la norma impugnata avesse avuto lo scopo di ripristinare la durata originaria della concessione, neutralizzando gli effetti di una precedente norma che, sempre per ipotesi, avesse arbitrariamente ridotto la durata della stessa. Nel caso all’esame della Corte, invece, si trattava della proroga di una concessione già scaduta, e pertanto non vi era alcun affidamento da tutelare con riguardo alla esigenza di disporre del tempo necessario all’ammortamento delle spese sostenute per ottenere la concessione, perché al momento del rilascio della medesima il concessionario già conosceva l’arco temporale sul quale poteva contare per ammortizzare gli investimenti, e su di esso ha potuto fare affidamento.
Né è pertinente il riferimento alla sentenza CGUE “Promo Impresa” del 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15, in ordine alle proroghe “caso per caso”. La decisione aveva a riguardo a risalenti investimenti fatti in un periodo in cui il concessionario poteva legittimamente aspettarsi un rinnovo della concessione, prima dell’adozione della Direttiva Bolkestein (2006) e prima delle plurime proroghe disposte dal legislatore italiano alle concessioni demaniali marittime.
In ogni caso, la proroga generalizzata di cui all’art. 1, comma 683, della legge 145/2018 non può avere cittadinanza nel nostro ordinamento per il noto contrasto con gli artt. 12 e seguenti della Direttiva CE 123/06 e art. 49 eseguenti del Trattato FUE.
In base al principio comunitario di concorrenzialità, le concessioni demaniali, in quanto concernenti beni economicamente contendibili, devono essere affidate mediante procedura di gara (C.d.S. V, 11 giugno 2018). Pertanto, per l’affidamento del relativo contratto (attivo e non passivo) è necessario e sufficiente, in assenza di specifici autovincoli posti dalla P.A, il “rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica“. Segnatamente, come rilevato dal Consiglio di Stato, ogni procedura di evidenza pubblica volta all’adozione comparativa di provvedimenti ampliativi dev’essere sorretta da idonei criteri predeterminati di selezione delle proposte che, nella specie, sono del tutto mancati.
Giova rammentare, invero, che, conformemente ai principi del diritto unionale, come desumibili anche dalla giurisprudenza della CGUE, la concessione della gestione di arenili per finalità turistico-ricreative deve rispondere a criteri di imparzialità, trasparenza e par condicio: in particolare, l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE e il novellato art. 37 del cod. nav. subordinano il rilascio di concessioni demaniali marittime all’espletamento di procedure selettive ad evidenza pubblica (Cassazione civile, sez. II, 25/01/2021, n. 1435; si veda anche la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 9 novembre 2021, nr. 18, in particolare al punto 17 secondo cui “L’obbligo di evidenza pubblica discende, comunque, dall’applicazione dell’art. 12 della c.d. direttiva 2006/123, che prescinde dal requisito dell’interesse transfrontaliero certo, atteso che la Corte di giustizia si è espressamente pronunciata sul punto ritenendo che “l’interpretazione in base alla quale le disposizioni del capo III della direttiva 2006/123 si applicano non solo al prestatore che intende stabilirsi in un altro Stato membro, ma anche a quello che intende stabilirsi nel proprio Stato membro è conforme agli scopi perseguiti dalla suddetta direttiva” (Corte di giustizia, Grande Sezione,30 gennaio 2018, C360/15 e C31/16, punto 103)“).
A tanto può ulteriormente aggiungersi che, anche laddove si potesse configurare un procedimento volto all’adozione di provvedimenti ampliativi privi dei necessari criteri predeterminati (ciò che per il Collegio è comunque inammissibile), in ogni caso la comparazione delle proposte ex art. 37 del cod. nav. dovrebbe avvenire con provvedimento congruamente ed approfonditamente motivato circa le specifiche ragioni di preferenza.
Invero, come rilevato dal Consiglio di Stato: “il rilascio delle concessioni demaniali marittime implica l’espletamento di una procedura comparativa ad evidenza pubblica nel rispetto dei principi di parità di trattamento, imparzialità e trasparenza. Le predette concessioni hanno come oggetto beni economicamente contendibili, limitati nel numero e nell’estensione, che, pertanto, possono essere dati in concessione ai privati a scopi imprenditoriali solo attraverso un confronto concorrenziale governato dai principi generali relativi ai contratti pubblici… inoltre le norme italiane che prorogano in modo automatico le concessioni demaniali marittime sono in contrasto con il diritto europeo e, pertanto, vanno disapplicate” (Consiglio di Stato del 9 novembre 2021, sentenze nn. 17 e 18).
Si consideri, ancora, che recentemente la giurisprudenza è giunta ad un livello massimo di apertura, rilevando che “l’obbligo di espletare una procedura concorsuale sussiste anche nei casi in cui non siano state formulate preventivamente istanze per il conseguimento del bene della P.A., atteso che l’interesse alla utilità economica del rapporto concessorio potrebbe manifestarsi solo in seguito all’avvio di una procedura di evidenza pubblica” (ex multis, C.G.A. sentenza n. 302/09 del 27aprile 2009).
La Corte di Giustizia europea (Corte giustizia UE sez. III, 20/04/2023, n.348) è tornata a pronunciarsi sulla nota questione delle concessioni di occupazione delle spiagge italiane in rapporto alla normativa UE, ed in particolare in applicazione della c.d. Direttiva Bolkestein, 2006/123/CE, relativa ai servizi nel mercato interno, ribadendo che ai sensi di tale direttiva, per l’assegnazione di concessioni di occupazione del demanio marittimo, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali. L’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico.
L’appello deve essere, pertanto, respinto.