Con sentenza 3 novembre 2023, n. 9503, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche, ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, dovendosi intendere come tali non solo quelle portatrici di disabilità, ma anche le persone che soffrono di disagi fisici e difficoltà motorie, possono essere effettuati anche su edifici sottoposti a vincolo come beni culturali.
Con la impugnata sentenza il TAR ha ritenuto fondata la censura preliminare ed assorbente rispetto a tutte le altre, secondo cui i provvedimenti autorizzativi oggetto di gravame sono stati rilasciati dalla Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio in favore di soggetti non legittimati, dovendosi ritenere tale esclusivamente il Condominio, il quale, non ha mai deliberato l’installazione dell’impianto per persone con disabilità in contestazione.
Ad avviso del Consiglio di Stato, l’appello è infondato.
Una definizione di barriere architettoniche è contenuta nell’articolo 2 del d.m. 14/06/1989, n. 236 («Prescrizioni tecniche necessarie a garantire l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata, ai fini del superamento e dell’eliminazione delle barriere architettoniche»; ma vedi anche art. 1, comma 2, del d.p.r. 24 luglio 1996, n. 503). Per barriere architettoniche si intendono: a) gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; b) gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; c) la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permettono l’orientamento e la riconoscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi.
L’eliminazione delle barriere architettoniche è uno degli obiettivi che si propone la normativa emanata nel tempo per tutelare le persone con disabilità. Tra le più significative conviene citare: la l. 9 gennaio 1989, n. 13 («Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati»), la l. 5 febbraio 1992, n. 104 («Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate»), il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216 («Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro»), la l. 1° marzo 2006, n. 67 («Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni», nonché la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità – adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU il 13 dicembre 2006 e ratificata, dall’Italia, con la l. 3 marzo 2009, n. 18.
Questa legislazione ha segnato un mutamento di prospettiva rispetto al modo stesso di affrontare i problemi delle persone con disabilità, considerati, ora, quali problemi non solo individuali, ma tali da dover essere assunti dall’intera collettività.
Peraltro, la Sezione ha chiarito che gli interventi volti ad eliminare le barriere architettoniche ovvero quelli volti a migliorare le condizioni di vita delle persone svantaggiate, dovendosi intendere come tali non solo quelle portatrici di disabilità, ma anche le persone che soffrono di disagi fisici e difficoltà motorie, possono essere effettuati anche su edifici sottoposti a vincolo come beni culturali (Cons. Stato, sez. VI, 18/10/2017, n. 4824).
La normativa specifica sull’eliminazione delle barriere architettoniche è contenuta nella l. n. 13/1989 (seguita dal d.m. n. 236/1989 e dalla Circolare esplicativa del Ministero dei Lavori Pubblici).
In precedenza erano state emanate: la l. 30 marzo 1971, n. 118 («Conversione in legge del D.L. 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili»), il d.p.r. 27 aprile 1978, n. 384, la Circolare del Ministero dei Lavori pubblici del 20 gennaio 1967, n. 425 (“Standards residenziali”) e quella del 19 giugno 1968, n. 4809, avente ad oggetto norme per assicurare l’utilizzazione degli edifici sociali da parte dei minorati fisici e per migliorarne la godibilità generale.
La cornice normativa di riferimento vedeva, dunque, da una parte, l’art. 27, l. n. 118/1971 e il relativo regolamento di attuazione di cui al d.p.r. n. 384/1978, applicabili agli edifici pubblici o aperti al pubblico, alle strutture scolastiche, prescolastiche o di interesse sociale di nuova costruzione, e, dall’altra, la l. n. 13/1989 e il d.m. di attuazione n. 236/1989, applicabili agli edifici privati, residenziali e non, di nuova costruzione o preesistenti sottoposti a ristrutturazione, compresi quelli di edilizia residenziale pubblica, sovvenzionata e agevolata, di nuova costruzione.
Con l’obiettivo di coordinare le diverse disposizioni sparse nell’ordinamento, l’art. 24 della legge 104/1992 ha previsto, tra le altre cose, che tutte le opere edilizie riguardanti edifici pubblici e privati aperti al pubblico, suscettibili di limitare l’accessibilità e la visibilità, dovevano essere eseguite in conformità alle disposizioni di cui alla l. n. 118/1971 e l. n. 13/1989 e successive modificazioni, al d.p.r. n. 384/1978, e al d.m. n. 236/1989.
Il d.p.r. 503/1996 ha abrogato (all’art. 32) il d.p.r. 384/1978. Unico punto di riferimento è rimasto il d.m. 236/1989.
Il legislatore ha quindi emanato il d.p.r. 380/2001 («Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia») che, al Capo III, contiene le disposizioni volte a favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati (Sezione I, artt. 77-81), pubblici e privati aperti al pubblico (Sezione II, art. 82). Con queste norme il legislatore si è limitato a riorganizzare la normativa preesistente, coordinandola all’interno del Testo Unico in materia edilizia.
Da ultimo, con espresso riguardo alle barriere architettoniche, il comma 3, dell’art. 10, d.l. 16 luglio 2020, n. 76 (c.d. decreto semplificazioni) – rubricato «Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale» e convertito dalla l. 11 settembre 2020, n. 120 – ha introdotto alcune modifiche all’art. 2, l. n. 13/1989.
La premessa sulla evoluzione normativa consente di inquadrare la disciplina applicabile al caso di specie che riguarda l’interesse di alcuni condomini, afflitti da patologie che ne compromettono la deambulazione, di realizzare, anche contro la volontà di altri condomini, un ascensore nel cortile interno di un condominio realizzato nel 1770 e soggetto a vincolo culturale diretto ex l. n. 1089/39 e d.m. del 10.07.1957.
Lo snodo problematico si sostanzia nel decidere se detto ascensore possa essere realizzato su iniziativa del singolo condomino (come sostengono gli appellanti) così che lo stesso sia in prima persona legittimato a rivolgersi alla Soprintendenza per ottenere l’autorizzazione di cui all’art. 21 d.lgs. n. 42/2004, ovvero se la realizzazione del ridetto ascensore deve essere decisa dall’assemblea condominiale come statuito dal primo giudice.
L’articolo 78 del d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia») sotto la rubrica «Deliberazioni sull’eliminazione delle barriere architettoniche (legge 9 gennaio 1989, n. 13, art. 2)» recita testualmente: «1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, secondo e terzo comma, del codice civile. 2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe delle autorimesse. 3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile».
L’articolo 2 della legge 9 gennaio 1989 n. 13 («Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati») nel testo risultante dal citato “decreto semplificazioni” (d.l. 16 luglio 2020, n. 76) così recita: «1. Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni da attuare negli edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche di cui all’articolo 27, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, ed all’articolo 1, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, nonché la realizzazione di percorsi attrezzati e la installazione di dispositivi di segnalazione atti a favorire la mobilità dei ciechi all’interno degli edifici privati, sono approvate dall’assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dal secondo comma dell’articolo 1120 del codice civile. Le innovazioni di cui al presente comma non sono considerate in alcun caso di carattere voluttuario ai sensi dell’articolo 1121, primo comma, del codice civile. Per la loro realizzazione resta fermo unicamente il divieto di innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, di cui al quarto comma dell’articolo 1120 del codice civile. 2. Nel caso in cui il condominio rifiuti di assumere, o non assuma entro tre mesi dalla richiesta fatta per iscritto, le deliberazioni di cui al comma 1, i portatori di handicap, ovvero chi ne esercita la tutela o la potestà di cui al titolo IX del libro primo del codice civile, possono installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili e possono anche modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages. 3. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121, terzo comma, del codice civile».
Sul piano sistematico, l’interprete non può non cogliere il progressivo ampliamento delle tutele riconosciute alle persone con disabilità.
Per altro verso, non può non prendere atto dell’esistenza di nome di contenuto specifico che non riconoscono (o non riconoscono ancora) sic et simpliciter il diritto della persona con disabilità (o altri soggetti fragili) di installare, ancorché a proprie spese, un ascensore Al momento, per una decisione di questo tipo, è ancora necessaria la delibera condominiale. Il singolo può installare su sua esclusiva iniziativa (ovvero: senza passare dal condominio o, per meglio dire, dopo averne inutilmente sollecitato l’intervento) opere di minore impatto come un servoscale.
L’interprete è chiamato a prendere atto del punto di equilibrio tra i diversi interessi contrapposti (quelli domenicali, quelli sottesi alla tutela dei beni storici, quelli delle persone con disabilità) così come esso risulta dalla legislazione attualmente vigente.
Tale punto di equilibrio è stato correttamente individuato dal primo giudice con il ragionamento che può essere così sintetizzato:
– l’installazione di un ascensore all’interno di un cortile condominiale è qualificabile in termini di “innovazione” (art. 1120 c.c.) in quanto, in violazione di quanto previsto dall’art. 1102 c.c., determina una modifica strutturale del cortile medesimo rispetto alla sua primitiva configurazione, risultandone nel contempo alterata la sua naturale funzione e destinazione comune, che è quella di dare luce ed aria alle unità immobiliari che compongono l’edificio;
– la decisione di assoggettare il cortile condominiale a siffatta “innovazione” avrebbe dovuto essere assunta, necessariamente, dal Condominio, sia pure con le maggioranze di cui all’art. 2 comma 1 l. n. 13/89;
– in assenza di siffatta delibera condominiale, giusta il disposto di cui al secondo comma del citato art. 2 l. n. 13/89, i condomini interessati all’adozione di strumenti di superamento delle cd. barriere architettoniche sono, dunque, legittimati esclusivamente ad «installare, a proprie spese, servoscala nonché strutture mobili e facilmente rimovibili» o «modificare l’ampiezza delle porte d’accesso, al fine di rendere più agevole l’accesso agli edifici, agli ascensori e alle rampe dei garages».
Alla luce di quanto esposto perdono consistenza gli ulteriori argomenti evidenziati da parte appellante.
Per le ragioni esposte si deve concludere che gli appellanti non erano legittimati a rivolgersi uti singuli alla Soprintendenza per ottenere l’autorizzazione ad installare un ascensore nel cortile condominiale. Detta legittimazione spettava al Condominio.
L’appello è stato, pertanto, rigettato.