Il Consiglio di Stato ha ribadito che l’ordine di demolizione costituisce atto dovuto, di Paolo Urbani

Con sentenza 18 ottobre 2023, n. 9086, il Consiglio di Stato, sez. VII, ha ribadito che l’ordine di demolizione costituisce atto dovuto mentre la possibilità di non procedere alla rimozione degli abusi costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi. Né rilevano la circostanza che l’immobile si inserisca in un contesto più o meno urbanizzato o la asserita sanabilità delle opere; invero, la eventuale legittimità sostanziale delle opere, in rapporto al regime dell’area sulla quale accedono, deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un procedimento di sanatoria, attivato da apposita domanda di parte, non potendosi gravare l’amministrazione dell’onere di valutare d’ufficio tale eventualità.

La parte appellante impugna la sentenza con cui il TAR ha respinto il ricorso proposto per l’annullamento dell’ordinanza con la quale si ingiungeva di demolire, ovvero rimuovere a proprie cure e spese le opere abusivamente realizzate provvedendo in tal senso al ripristino dello stato dei luoghi preesistente, ai sensi dell’art. 31 DPR 380/2001, nel termine di giorni 90 (novanta) dalla data di notifica del provvedimento.

Ad avviso del Consiglio di Stato, l’appello è manifestamente infondato.

Premesso che la parte appellante non contesta che si tratti di opere abusive, è innanzitutto infondata la censura relativa alla necessità di motivazione di cui sarebbe onerata l’amministrazione in ragione del tempo trascorso.

Per giurisprudenza ormai granitica a fronte della natura pacificamente abusiva dei manufatti, il Comune non è tenuto né a comunicare l’avvio del procedimento (peraltro nel caso di specie comunicato), né ad instaurare alcun contraddittorio, né a motivare sull’interesse pubblico alla demolizione.

Trattandosi di atto vincolato, il provvedimento è sufficientemente motivato con la specifica descrizione delle opere abusive e l’indicazione delle norme violate.

Proprio per tale natura dell’atto il provvedimento non sarebbe annullabile né per questo né per altri vizi procedimentali, ai sensi dell’art. 21 octies L. 241/90.

Parimenti infondata è la censura di assenza nel provvedimento di una motivazione rafforzata sull’interesse pubblico alla demolizione dopo il lungo tempo trascorso, alla stregua dei principi affermati dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 9 del 2017, puntualmente richiamati dal TAR.

Dunque l’ordine di demolizione costituisce atto dovuto mentre la possibilità di non procedere alla rimozione degli abusi costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 8 marzo 2023, n. 2456).

Né rilevano la circostanza che l’immobile si inserisca in un contesto più o meno urbanizzato o la asserita sanabilità delle opere; invero, la eventuale legittimità sostanziale delle opere, in rapporto al regime dell’area sulla quale accedono, deve necessariamente essere valutata nell’ambito di un procedimento di sanatoria, che nel caso di specie non risulta attivato da apposita domanda di parte, non potendosi gravare l’amministrazione dell’onere di valutare d’ufficio tale eventualità (cfr. Cons. Stato, Sez. VII, 29 marzo 2023, n. 3234).

Conclusivamente, l’appello è stato respinto.