I titoli abilitativi per i campi da padel, di Paolo Urbani

Con sentenza 20 novembre 2023, n. 1286, il TAR Lecce, sez. I, ha ribadito che le opere di copertura di campi da padel non rientrano nell’attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6, D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. e-bis). Ed infatti tali opere non possono qualificarsi come opere precarie ad uso transitorio per l’evidente rilievo che le stesse, in considerazione della loro funzionalizzazione a soddisfare esigenze stabili – campi da padel – sono realizzate non già per un uso per fini temporanei e contingenti bensì per un utilizzo destinato a protrarsi nel tempo.

La società ha agito dinanzi al TAR per l’annullamento del provvedimento con cui il Comune ha ordinato la demolizione delle opere abusive ivi individuate e descritte ed il ripristino dello stato dei luoghi in conformità a quanto -originariamente assentito.

Il ricorso -è infondato e deve essere respinto.

È innegabile che la realizzazione di un modulo con dimensioni diverse e ulteriori rispetto a quello originariamente assentito, incrementandone la volumetria, costituisce un intervento di nuova costruzione necessitante del rilascio di un apposito titolo edilizio. Allo stesso modo la realizzazione di opere ulteriori e diverse rispetto a quelle originariamente assentite necessita di un titolo abilitativo in variante.

Le opere descritte sono tutte opere che, in relazione alla loro consistenza modificativa e trasformativa dell’assetto del territorio, rientrano nel novero degli interventi di nuova costruzione per i quali è necessario il rilascio di un preventivo titolo edilizio che, nella specie, è mancato.

Va da sé la legittimità della gravata ordinanza nella misura in cui ordina la rimessione in pristino delle opere in conformità a quanto originariamente assentito.

Con riferimento alle opere di copertura dei tre campi da padel, per condivisa giurisprudenza “In ordine ai requisiti che deve avere un’opera edilizia per essere considerata precaria, possono essere ipotizzati in astratto due criteri discretivi: 1) criterio strutturale, in virtù del quale è precario ciò che non è stabilmente infisso al suolo; 2) il criterio funzionale, in virtù del quale è precario ciò che è destinato a soddisfare un’esigenza temporanea. La giurisprudenza è concorde nel senso che per individuare la natura precaria di un’opera si debba seguire non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale, per cui un’opera può anche non essere stabilmente infissa al suolo, ma se essa presenta la caratteristica di essere realizzata per soddisfare esigenze non temporanee, non può beneficiare del regime delle opere precarie” (così Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1776, Cons. Stato Sez. VII, 12 dicembre 2022, n. 10847).

Nello stesso solco: “La precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera e.5, D.P.R. n. 380 del 2001, postula infatti un uso specifico e temporalmente delimitato del bene e non ammette che lo stesso possa essere finalizzato al soddisfacimento di esigenze (non eccezionali e contingenti, ma) permanenti nel tempo. Non possono, infatti, essere considerati manufatti destinati a soddisfare esigenze meramente temporanee quelli destinati a un’utilizzazione perdurante nel tempo, di talché l’alterazione del territorio non può essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (in tal senso: Cons. Stato, VI, 3 giugno 2014, n. 2842)” (Cons. Stato, Sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4116; v. anche: Id., 1° aprile 2016, n. 1291).

Ciò reca con sé la conclusione che la natura “precaria” di un manufatto, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi all’intrinseca destinazione materiale di essa a un uso realmente precario e temporaneo, per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, non essendo sufficiente che si tratti eventualmente di un manufatto smontabile e/o non infisso al suolo (Cons. Stato, Sez. VII; 12 dicembre 2022, n. 10847).

Nel caso in esame le coperture di cui trattasi non possono certamente qualificarsi come opere precarie ad uso transitorio per l’evidente rilievo che le stesse, in considerazione della loro funzionalizzazione a soddisfare esigenze stabili – campi da padel-, sono state realizzate non già per un uso per fini temporanei e contingenti bensì per un utilizzo destinato a protrarsi nel tempo.

Per pacifica e costante insegnamento giurisprudenziale: “la presentazione di un’istanza di accertamento di conformità — a differenza della presentazione di un’istanza di condono — non toglie efficacia alla precedente ordinanza di demolizione né priva il Comune del potere di ordinare il ripristino dello stato dei luoghi fino alla definizione della domanda, ma comporta la mera sospensione dell’efficacia del provvedimento di demolizione fino alla definizione — anche tacita — dell’istanza” (C.d.S, VI, 10.3.2023, n. 2567).

La presentazione di una istanza di sanatoria, in considerazione dei richiamati principi giurisprudenziali, non produce alcuna illegittimità dell’ordinanza di demolizione.

Per pacifica giurisprudenza amministrativa dalla quale il Collegio ritiene di non doversi discostare: “L’ordinanza di demolizione va emanata senza indugio e, in quanto tale, non deve essere preceduta da comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche, secondo un procedimento di natura vincolata tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato, che si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l’abuso, di cui peraltro l’interessato non può non essere a conoscenza, rientrando direttamente nella sua sfera di controllo” (TAR Napoli, VII, 7.11.2022, n. 6909).

È evidente, pertanto, come trattandosi di un procedimento vincolato all’accertamento delle violazioni urbanistiche edilizie in nessun caso l’apporto collaborativo del privato avrebbe potuto cambiare l’esito del giudizio.

Per le considerazioni tutte che precedono il ricorso è infondato ed è stato, pertanto, rigettato.