Con la sentenza n. 42 del 16 marzo 2023 è dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, c. 2, e 113 Cost., dell’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui prevede la formazione del silenzio-rigetto sulla domanda di titolo edilizio in sanatoria decorsi sessanta giorni dalla sua presentazione.
Il TAR Lazio, sez. II bis, dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui prevede la formazione del silenzio-rigetto sulla domanda di titolo edilizio in sanatoria decorsi sessanta giorni dalla sua presentazione («la richiesta si intende rifiutata»).
Le sollevate questioni sono inammissibili.
Il rimettente non si è soffermato sulla natura del potere di sanatoria e sulla ratio del silenzio-rigetto, né si è confrontato con gli orientamenti giurisprudenziali sulla relativa tutela: ciò ha compromesso l’iter logico-argomentativo posto a fondamento della valutazione di non manifesta infondatezza (tra le tante, sentenze n. 114 e n. 61 del 2021; ordinanze n. 229 del 2020 e n. 59 del 2019).
Per meglio comprendere l’inadeguatezza della ricostruzione offerta dal giudice rimettente è, dunque, necessario un breve inquadramento del permesso in sanatoria, limitatamente agli aspetti interessati dalle questioni.
L’art. 36 t.u. edilizia disciplina l’accertamento di conformità, vale a dire il permesso in sanatoria ottenibile per interventi realizzati in difetto del, o in difformità dal, titolo edilizio, alla condizione che le opere siano rispondenti alla disciplina urbanistico-edilizia vigente tanto al momento di realizzazione dell’opera, quanto al momento dell’istanza.
Il legislatore, dunque, consente in via generale la regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico.
L’istituto si distingue nettamente dalle ipotesi del condono edilizio in cui la legge, in via straordinaria e con regole ad hoc, consente di sanare situazioni di abuso, perpetrate sino ad una certa data, di natura sostanziale, in quanto difformi dalla disciplina urbanistico-edilizia (tra le altre, sentenze n. 68 del 2018, n. 232 e n. 50 del 2017).
Contrariamente al presupposto da cui muove il giudice rimettente, che assume la natura discrezionale del potere di sanatoria, secondo la giurisprudenza amministrativa largamente prevalente (ex plurimis e da ultimo, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 15 settembre 2022, n. 7993) il relativo provvedimento ha natura vincolata: con esso l’amministrazione comunale non compie apprezzamenti discrezionali, ma si limita a riscontrare la doppia conformità dell’opera alle prescrizioni urbanistico-edilizie.
Secondo altro e meno seguito orientamento, il potere sanante ha natura «solo tendenzialmente vincolata» o natura tecnico-discrezionale, in ragione delle valutazioni richieste nell’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto previsti dalla legge e dagli atti di pianificazione urbanistica (in relazione al permesso di costruire, di recente, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 4 novembre 2022, n. 9664 e, in relazione al permesso in sanatoria, Tribunale amministrativo regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno, sentenza 17 maggio 2022, n. 1270).
Il legislatore prevede un procedimento a iniziativa di parte in cui l’onere di dimostrare la c.d. doppia conformità delle opere è a carico del richiedente (tra le altre, Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 2 maggio 2022, n. 3437; sezione sesta, sentenza 9 marzo 2016, n. 936). L’amministrazione è tenuta a pronunciarsi con adeguata motivazione entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta «si intende rifiutata».
La formula normativa è interpretata dalla giurisprudenza amministrativa – nel tempo divenuta sostanzialmente unanime e condivisa anche dalla Corte (sentenza n. 232 del 2017) – come previsione di una fattispecie di silenzio con valore legale di diniego della proposta istanza (cosiddetto silenzio-rigetto) e non come mera inerzia nel provvedere (cosiddetto silenzio inadempimento).
La ratio del silenzio-rigetto viene rinvenuta in plurimi elementi.
In primo luogo, la previsione è ritenuta rispondente alla necessità della difesa del corretto assetto del territorio dagli abusi edilizi, la cui repressione costituisce attività doverosa per l’amministrazione (artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001).
Il legislatore impone all’autorità comunale di ordinare la demolizione delle opere abusive, senza gravarla della previa verifica della loro sanabilità (da ultimo, Consiglio di Stato, sezione settima, sentenza 12 dicembre 2022, n. 10897), e, piuttosto, pone in capo al privato – che, violando la legge, ha omesso di chiedere preventivamente il necessario titolo edilizio e si è, così, sottratto al previo controllo di conformità alla pianificazione urbanistica – l’onere di proporre l’istanza di sanatoria e quello di impugnare il suo eventuale diniego, anche tacito.
A ciò si deve aggiungere la considerazione che in molti casi, come accaduto nella vicenda oggetto del giudizio a quo, la domanda di conformità è presentata a seguito dell’emanazione dell’ordinanza di demolizione nella quale l’amministrazione ha già esplicitato i caratteri dell’abuso (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 3 aprile 2006, n. 1710).
In secondo luogo, la definizione del procedimento di sanatoria con i tempi certi del silenzio-rigetto si coordina con la disposizione dell’art. 45 t.u. edilizia relativa alla persecuzione penale degli abusi edilizi: questa prevede la sospensione del procedimento penale sino alla decisione amministrativa sull’istanza di titolo in sanatoria, in ragione dell’effetto estintivo dei reati contravvenzionali derivante dal suo accoglimento; ma, al contempo, tale sospensione richiede un contenimento temporale non potendo il processo penale arrestarsi sine die (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 21 novembre 2019-16 marzo 2020, n. 10083, 16 gennaio 2020-25 maggio 2020, n. 15752 e 18 gennaio 2006-23 marzo 2006, n. 10205).
Infine, la previsione del silenzio significativo è anche nell’interesse del privato, cui è in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale (per tutte, nella giurisprudenza amministrativa, Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 2 ottobre 2017, n. 4574, oltre alla sopra richiamata giurisprudenza penale).
Quanto al piano processuale, dalla qualificazione del silenzio sull’istanza di sanatoria in termini di rigetto discendono importanti conseguenze.
Ne deriva, infatti, che il privato, con l’impugnazione del provvedimento tacito, non può far valere difetti di motivazione o lacune nel procedimento, attesa l’incompatibilità logica di tali vizi con la fattispecie del silenzio significativo, dovendo, piuttosto, dolersi del suo contenuto sostanziale di rigetto (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 19 novembre 2018, n. 6506), vale a dire della tacita valutazione di insussistenza della conformità.
In sostanza, con il delineato sistema di tutela è traslato in fase processuale l’onere incombente sul privato in fase procedimentale.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, l’onere probatorio del privato è diversamente modulato a seconda che si qualifichi il potere di sanatoria in termini vincolati o tecnico-discrezionali: dalla prima, prevalente impostazione è richiesto al ricorrente di fornire prova piena della doppia conformità; dal secondo indirizzo è richiesto al ricorrente di fornire la prova della non implausibilità della doppia conformità, in termini idonei a sconfessare la negativa definizione del procedimento.
Dall’assolvimento del richiesto onere probatorio, discende l’annullamento del silenzio-rigetto, con il conseguente obbligo dell’amministrazione a provvedere espressamente sull’istanza in termini conformati a seconda all’accertamento compiuto in sentenza.
Nella riedizione del potere, l’amministrazione sarà, quindi, o totalmente vincolata dal compiuto riscontro giudiziale della doppia conformità o fortemente condizionata dalle indicazioni giudiziali sui necessari riscontri istruttori o, infine, continuerà a vantare margini di valutazione tecnico-discrezionali.
Dell’illustrato quadro normativo e giurisprudenziale il giudice a quo non ha adeguatamente tenuto conto.
Quanto agli aspetti sostanziali, il TAR del Lazio non ha considerato la ratio del silenzio-rigetto e la peculiare posizione del richiedente la sanatoria, soprattutto nel caso in cui sia stata già ordinata la demolizione.
Il Tribunale avrebbe dovuto, invece, dar conto del complessivo rapporto amministrativo in cui si inseriscono l’istanza di sanatoria e il suo rigetto tacito e, conseguentemente, fornire adeguata motivazione sulle ragioni per cui, nonostante le peculiarità di quel rapporto e del suo sviluppo, ritenesse ancora distonica la norma sul silenzio significativo rispetto alle garanzie costituzionali del giusto procedimento (e ai relativi limiti).
Ancora, il giudice a quo non ha compiutamente evidenziato le ragioni che consentono la comparazione tra l’ordinario istituto dell’accertamento di conformità e le eccezionali fattispecie del condono edilizio. Ciò inficia la prospettazione di violazione dell’art. 3 Cost. per irragionevole differente trattamento delle fattispecie di silenzio poste a confronto.
Quanto agli aspetti processuali, il rimettente denuncia la compromissione del diritto di difesa e la violazione del principio di separazione dei poteri tra giudice e amministrazione, senza analizzare la natura del potere di sanatoria e senza confrontarsi con gli orientamenti del giudice amministrativo sulla tutela riconosciuta in caso di rigetto tacito.
Il TAR Lazio, da un lato, non illustra le ragioni del suo dissenso rispetto all’orientamento che presuppone la natura vincolata del potere di sanatoria e che riconosce margini per l’accertamento della doppia conformità nel rispetto delle previsioni codicistiche, e, dall’altro, della non praticabilità della soluzione proposta da altra giurisprudenza che, sul presupposto della natura discrezionale (peraltro di tipo tecnico) del potere, annulla il silenzio-rigetto con rimessione del potere di sanatoria alla pubblica amministrazione, da esercitare secondo gli ordinari obblighi conformativi.
In conclusione, le questioni sono inammissibili per la non compiuta ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento che si riverbera in difetto di motivazione sulla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate.