Una recente pronuncia della Cassazione sulla responsabilità del direttore dei lavori in caso di abusi edilizi di Fabio Cusano

Una recente pronuncia della Cassazione sulla responsabilità del direttore dei lavori in caso di abusi edilizi

di Fabio Cusano

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In data 20 aprile 2022, la Suprema Corte di Cassazione, con sent. 32020, ha confermato la sentenza della Corte d’appello che ha condannato gli odierni ricorrenti alla pena di 8 mesi di arresto e di 15.000€ di multa per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui agli artt. 110 (concorso di persone nel reato), 734 (distruzione o deturpamento di bellezze naturali) c.p.; artt. 44 c. 1 lett. c (lottizzazione abusiva), 64 (progettazione, direzione, esecuzione, responsabilità sulle opere), 65 (denuncia dei lavori di realizzazione e relazione a struttura ultimata delle opere), 71 (lavori abusivi), 72 (omessa denuncia dei lavori), 93 (denuncia dei lavori e presentazione dei progetti di costruzioni in zone sismiche), 95 (sanzioni per la violazione delle disposizioni sulle costruzioni in zone sismiche) del D.P.R. 380/2001; art. 181 (opere eseguite in assenza o difformità di autorizzazione) del D.Lgs. 42/2004; artt. 13 (nulla osta per interventi nelle aree protette) e 30 (sanzioni per la violazione delle disposizioni sugli interventi in aree protette) della L. 394/1991. Inoltre, la Corte d’appello ha condannato i ricorrenti alla demolizione e alla rimessione in pristino dei luoghi.

La Suprema Corte ha innanzitutto statuito che, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 44 del D.P.R. 380/2001, si considera in “totale difformità” l’intervento che risulti integralmente diverso da quello assentito per caratteristiche tipologiche, plano-volumetriche, di utilizzazione o di ubicazione, mentre si considera in “parziale difformità” l’intervento che, sebbene contemplato dal titolo abilitativo, risulti realizzato secondo modalità diverse da quelle progettuali.

La Cassazione ha, altresì, ricordato che in tema di reati urbanistici, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui al citato art. 44 non ammette termini o condizioni, dovendo riguardare l’intervento edilizio complessivo e potendo essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni indicate dall’art. 36 del D.P.R. 380/2001: precisamente, la doppia conformità delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Deve escludersi la possibilità di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica. Donde deve ritenersi illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto tale subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica.

La Suprema Corte ha ribadito che, quanto ai reati paesaggistici, la speciale causa estintiva, prevista dall’art. 181 c. 1 quinquies del D.Lgs. 42/2004, opera a condizione che l’autore dell’abuso si attivi “spontaneamente” alla rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincolo paesaggistico, anticipando l’emissione del provvedimento amministrativo ripristinatorio, sì da non essere eseguita coattivamente su impulso dell’Autorità amministrativa.

Infine, la Cassazione ha riaffermato che in tema di reati edilizi, l’obbligo di vigilanza sulla conformità delle opere al permesso di costruire, gravante sul direttore dei lavori ai sensi dell’art. 29 c. 1 del D.P.R. 380/2001, cui consegue la responsabilità penale del predetto nel caso di reati commessi da altri senza che intervenga la sua dissociazione ai sensi del c. 2 della medesima disposizione, permane sino alla comunicazione della formale conclusione dell’intervento o alla rinuncia all’incarico e non viene meno in caso di adozione dell’ordinanza di sospensione dei lavori, salvo che – e fintanto – che il cantiere sia sottoposto a sequestro, in quanto sussiste a carico del medesimo un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate.

Tanto premesso, la Suprema Corte ha rigettato i ricorsi, confermando la statuizione della Corte d’appello.