“Tanto tuonò che piovve”. A proposito delle Città metropolitane di Maria Tomassetti

Il futuro del nostra Nazione si costruirà nei prossimi anni nelle Città. Governare i territori per guidarne l’evoluzione ( non lasciando che sia la seconda a prevalere indisturbata sui primi) è l’obiettivo strategico che farà delle Città luoghi competitivi e garantisti del benessere dei cittadini. La destrutturazione delle aree urbane e la crescente “disurbanizzazione” ha reso incomprensibile per molti anni il fenomeno evolutivo delle città. Tuttavia è proprio da qui che sorgono nuove possibilità di sviluppo e riorganizzazione degli assetti territoriali, istituzionali ed economico-sociali. Il quadro legislativo minuziosamente formato dal legislatore in questi anni è apparso eccessivamente rigido e uniforme. Il dibattito istituzionale sembrerebbe abbia posto l’attenzione principale su problematiche di carattere politico (il ruolo della Città metropolitana come nuovo ente intermedio, i rapporti tra i Sindaci metropolitani e municipali, la sorte delle Province, ecc.) piuttosto che sulla necessità di individuare una moderna pianificazione territoriale. Quest’ultima e la legislazione urbanistica devono invece ispirarsi a principi di flessibilità, differenziazione e visione strategica. Le differenti discipline che concorrono a definire le caratteristiche di una Città metropolitana richiedono inoltre un’applicazione più ampia del principio di sussidiarietà.
Quest’ultimo deve prospettarsi come uno strumento di intervento a priori, che orienti alla co-pianificazione delle strategie di governo del territorio piuttosto che come elemento d’intervento a posteriori sussidiario e possibilista. Le comunità ed i poteri locali si rivelano molto spesso inadeguati a concretizzare le politiche urbane in quanto le opere di trasformazione territoriale che producano un effetto sinergico tra le varie discipline richiedono competenze e risorse di cui loro sono sprovvisti. Inoltre è necessario considerare che vi è una differenza sostanziale tra area urbana, area metropolitana e Città metropolitana. Pensare all’area metropolitana solo come un ambito urbano particolarmente esteso, la cui istituzionalizzazione porta alla costituzione della successiva Città metropolitana, non permette di comprenderne le caratteristiche. Le esigenze metropolitane richiedono l’acquisizione di funzioni e politiche di “scala metropolitana”, che inglobino al loro interno la dimensione urbana e quella locale, una molteplicità di attori ed una differente concezione spazio-temporale. La geometria variabile (presentata da Paolo Urbani già da tempo) quale miglior tecnica di pianificazione territoriale è ciò che permette di organizzare la conurbazione e gli insediamenti produttivi in un’ottica, sì “urbanocentrica”, ma in grado di valorizzare tutta l’area di riferimento. Le potenzialità del centro urbano dovranno rappresentare una possibilità di sviluppo per i territori periferici isolati geograficamente e, soprattutto, politicamente.
La perimetrazione dell’area metropolitana, con lo scopo di istituirne una Città, non può essere il risultato di una circoscrizione amministrativa o della formalizzazione di una situazione fattuale, proprio per le numerose variabili presenti sul territorio, che portano quest’ultimo ad evolvere costantemente.La coincidenza della Città metropolitana con la dimensione della Provincia è una mera ipocrisia normativa. La Città metropolitana è il miglior esempio di luogo di coesione dove cittadini ed istituzioni possono esprimere se stessi e le loro aspirazioni. Per questo la sua pianificazione deve essere il risultato di una procedura ispirata da una logica di ascolto, di osservazione delle trasformazioni, di un’anticipazione delle strategie da porre in atto. Di conseguenza ciò che si richiede sono strumenti moderni e innovativi che permettano di gestire le nuove politiche urbanistiche. Si è introdotto il piano strategico come occasione per ripensare ed adeguare le politiche dello sviluppo metropolitano di ciascuna città metropolitana ma a distanza di sei anni solo il Comune di Bologna – al pari di altre città europee – ha elaborato un progetto strategico che metta insieme le sinergie economico sociali di quei territori per recepire poi negli strumenti urbanistici quelle scelte condivise.
L’uniformità degli assetti istituzionali e delle norme applicabili risulta inadeguata proprio per le differenti vocazioni che ciascun territorio o realtà urbana presenta. La riduzione della superficie territoriale è un’altra soluzione che meglio permetterebbe un agevole sviluppo urbano. La realtà metropolitana non deve essere necessariamente considerata in un’ottica di gigantismo urbano. Lo stesso Massimo Severo Giannini sin dagli anni ottanta presentò la possibilità di dover calibrare la dimensione territoriale con il numero di abitanti (teoricamente non più di duecentomila per Città). In questo modo un’amministrazione comunale può meglio garantire la fruizione di servizi reali e personali ai cittadini. Lo sviluppo sostenibile (principale obiettivo dei tempi moderni) non è rivolto esclusivamente all’ambiente come luogo fisico, ma anche a coloro che lo abitano.
La Città sostenibile si configura come quella in grado di garantire un’elevata qualità di vita ai cittadini. La responsabilità di uno sviluppo eticamente corretto, verso la società futura, risiede non solo nei governanti ma anche nei governati. Soprattutto per questo è necessario rilanciare una nuova pianificazione metropolitana strategica dedicata agli insediamenti produttivi. In tal modo sarà possibile individuare strategie economiche che generino sul territorio attività con efficienza allocativa di lungo termine. La potestà normativa, richiesta dalle Città metropolitane, al pari delle Regioni nelle materie di loro diretta competenza, deve essere concessa per meglio attuare le strategie programmate dalle amministrazioni. È necessario formulare una strategia che metta insieme obiettivi generali, stabili ed uniformi ed obiettivi specifici, capaci di trasformazioni al variare delle condizioni socio-economiche.
Pensare di continuare sulla scia di una gerarchia istituzionale dei poteri locali, al cui vertice sono poste esclusivamente le Regioni, non rende le nostre Città competitive al pari delle realtà urbane europee, il cui approccio strutturale è maggiormente dinamico ed evolutivo. Lo stato dell’arte presenta una situazione di incertezza e stasi nonostante i numerosi dibattiti e produzioni normative che si sono succedute nel corso degli anni. La stessa legge Delrio (l.56/2014) non ha permesso una governabilità delle realtà metropolitane, rivelandosi una norma di diritto positivo ma non positiva. L’unità territoriale risulta impossibile da raggiungere con una sterile uniformità dei provvedimenti legislativi.
La strada europeista che prevede forme di autonomia amministrativa e normativa come Parigi, Madrid, Barcellona senza l’orpello della Regione sovrastante, è ormai il modello della CITTÀ/STATO in grado di assumere una visibilità politico istituzionale che le nostre città metropolitane non hanno. La nostra storia, sin dal Risorgimento, ci insegna che è possibile trovare unità nella separazione. Differenziazione intesa non come disuguaglianza bensì particolarismo; basi normative solide uguali per tutte le realtà territoriali permetteranno di sviluppare delle discipline differenziate aderenti alle esigenze specifiche. In particolar modo Roma, tuttora sprovvista di una legge attraverso cui poter svolgere agevolmente il ruolo di Città e Capitale, ( che ne è della l. 386 del 1990 su Roma capitale?) ne rappresenta il miglior esempio pratico. Una buona forma di federalismo (in parte già caratteristica organizzativa nel nostro assetto istituzionale) permetterebbe di raggiungere, nella separazione, un’unità nazionale non geografica ma di sviluppo economico-sociale e pari diritti nella fruizione di servizi reali e personali. Un nuovo “Risorgimento amministrativo” è la vera sfida che attende i governanti ed i governati. Ciascuno ne uscirà vincitore se lavorando in sinergia, comprenderà che la Patria è come la madre, della quale un figlio non può parlare come d’altra donna.