Con la sentenza n. 2126 del 29 settembre 2022, il TAR Lombardia – Milano ha ribadito che il nostro ordinamento non ammette, a regime, una sanatoria diversa da quella contemplata dall’art. 36 del D.P.R. 380/2001, che prevede (i) la doppia conformità e (ii) la richiesta specificamente indirizzata alla sanatoria di opere già eseguite. Ne consegue l’impossibilità di sanare le opere abusive per il tramite di una Dia/Scia senza il soddisfacimento dei requisiti di cui all’art. 36, che devono intendersi come tassativi poiché la sanatoria è istituto di carattere eccezionale.
In particolare, la società ha impugnato il provvedimento del Comune di Milano recante il rigetto della richiesta di permesso di costruire a sanatoria e l’ordine di demolizione delle opere realizzate in difformità dal titolo edilizio originario, vale a dire la precedente DIA.
Sul presupposto dell’illegittimità di tale ultimo provvedimento, la società presentava ricorso al TAR Milano.
Nel merito, il ricorso è articolato in due motivi con cui si deduce che (i) il provvedimento sarebbe illegittimo poiché lo stato dei luoghi sarebbe invece stato regolarmente assentito sulla base della seconda Dia, i cui effetti non sarebbero stati annullati dal Comune; inoltre, le difformità riguarderebbero opere per cui non sarebbe adottabile un ordine di demolizione poiché realizzabili con Scia. Sotto altro profilo (ii), il provvedimento sarebbe illegittimo nella parte in cui afferma che non è eseguibile una sanatoria con opere, poiché il Comune non avrebbe considerato che le opere già realizzate erano conformi alla seconda Dia.
Il TAR ha statuito che il ricorso è infondato.
Con il primo titolo edilizio era prevista la costruzione di un volume tecnico, che tuttavia veniva realizzato in maniera difforme da quanto autorizzato. La seconda Dia, da un lato, non riguardava il volume tecnico e, dall’altro, concerneva opere di manutenzione straordinaria, nelle quali non rientra l’ampliamento. Non può quindi essere accolta la ricostruzione del ricorrente secondo cui, per effetto della seconda Dia, si sarebbe realizzata una sanatoria delle opere abusivamente realizzate in difformità dal titolo originario.
Ciò per la considerazione che il nostro ordinamento non ammette, a regime, una sanatoria diversa da quella contemplata dall’art. 36, che prevede anzitutto che la richiesta di permesso sia specificamente indirizzata alla sanatoria di opere già eseguite e che, dal punto di vista procedimentale, pone la regola secondo cui la richiesta in sanatoria si intende rifiutata se il Comune non provvede espressamente entro 60 giorni.
Il ricorrente pretende invece di aver sanato delle opere abusive per il tramite della seconda Dia, senza che la stessa soddisfacesse i requisiti di cui all’art. 36 – da intendersi come tassativi poiché la sanatoria è istituto di carattere eccezionale – e, anzi, ricollegando al silenzio un significato opposto rispetto a quello che la norma riconnette in caso di presentazione di richiesta di sanatoria.
È pertanto evidente che la seconda Dia non fosse idonea a realizzare alcuna sanatoria perché assolutamente fuori dal paradigma legale stabilito.
Il TAR ha escluso anche il profilo di censura secondo cui il Comune avrebbe errato nell’argomentare che non sia realizzabile, nel nostro ordinamento, una sanatoria con opere.
Una volta affermata la correttezza della ricostruzione del Comune nel senso che la seconda Dia non fosse idonea a sanare gli abusi realizzati per assenza delle condizioni di cui all’art. 36, non può ammettersi la legittimità di una successiva richiesta di permesso di costruire in sanatoria per il tramite della quale la parte pretenda di raggiungere lo stato di conformità dei luoghi realizzando ulteriori opere edilizie, poiché il presupposto dell’accertamento di conformità è che la situazione di fatto attualmente abusiva sia già conforme alla disciplina urbanistica dell’epoca di realizzazione e di quella della domanda, mentre non è ammesso che divenga conforme attraverso ulteriori opere edili.
Infine, quanto alla distinzione tra opere che potrebbero essere investite o meno dall’ordine di demolizione, va osservato che lo scrutinio circa la doppia conformità delle opere richiesto dall’art. 36 non può che essere complessivo nel caso in cui – come quello in esame – siano realizzate abusivamente più opere tutte funzionalmente collegate tra loro.
Per questi motivi il TAR ha respinto il ricorso.