Sulle distanze tra costruzioni di Paolo Urbani

CS_4933_2023

 

Con la sentenza n. 4933 del 17 maggio 2023, il Consiglio di Stato (sez. IV) ha ribadito che l’art. 9 del D.M. 1444/1968 ha natura inderogabile, in quanto norma imperativa volta a predeterminare in via generale le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. I limiti fissati nel suddetto decreto integrano il regime delle distanze nelle costruzioni con efficacia precettiva, in quanto perseguono l’interesse pubblico di tutela igienico sanitaria collettiva, e non la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili confinanti alla nuova costruzione. Trattasi di prescrizioni inderogabili, con conseguente illegittimità delle previsioni urbanistiche comunali, con esse contrastanti, che, perciò solo, sono disapplicate dal giudice, il quale, in omaggio al criterio di gerarchia delle fonti, applica la norma di livello superiore.

Inoltre, in materia ambientale e paesaggistica non si può procedere per silenzio-assenso, bensì per provvedimenti espliciti. Nessun titolo edilizio, quindi, può formarsi per silentium, ove sull’area interessata vertano vincoli paesaggistici.

La questione portata all’attenzione del collegio concerne la domanda avanzata da un privato per l’accertamento del proprio diritto a essere risarcito di tutti i pregiudizi cagionatigli in ragione della illegittima adozione della determinazione dirigenziale con cui il Comune di Lucera si è determinato ad annullare in autotutela sia il permesso di costruire, sia il silenzio-assenso formatosi sull’istanza di permesso di costruire presentata successivamente all’entrata in vigore del nuovo PUG, sul presupposto che i suddetti titoli avrebbero violato il regime delle distanze minime legali (10 mt) da osservarsi tra edifici, come previsto e imposto dal d.m. n. 1444 del 1968.

Parte appellata (il privato) sostiene che il titolo edilizio si sarebbe formato per silentium; tale titolo fonderebbe la propria legittimità sul PUG del Comune di Lucera, le cui previsioni contemplerebbero nella zona in questione la deroga alla distanza di 10 ml tra pareti finestrate, di cui al d.m. n. 1444 citato.

L’annullamento in autotutela di tale titolo sarebbe, pertanto, illegittimo e, seppure superato da un successivo permesso di costruire, esso avrebbe determinato un ritardo nella esecuzione del progetto fonte del pregiudizio economico.

Ad avviso del Consiglio, i rilievi non hanno fondamento.

In materia ambientale e paesaggistica non si può procedere per silenzio-assenso bensì per provvedimenti espliciti (art. 20, comma 4, legge n. 241 del 1990).

Nel caso specie, nessun titolo poteva ritenersi legittimamente formato per silentium stante i vincoli paesaggistici gravanti sull’area.

Il presupposto su cui parte appellata fonda la spettanza del bene della vita – elemento indefettibile per il riconoscimento della responsabilità da lesione di interesse legittimo (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 653 del 2022; n. 216 del 2022 che hanno fatto applicazione dei principi elaborati da Ad. plen., n. 7 del 2021) – è, pertanto, infondato allo scrutinio (incidentale) sulla legittimità degli atti e del procedimento ai fini risarcitori.

E invero, parte appellata – per le chiare ragioni ostative di cui all’art. 20, comma 4, d.p.r. n. 241 del 1990 – non poteva vantare la formazione di un idoneo e legittimo titolo edilizio, ragion per cui essa neppure successivamente ha potuto invocare una illegittima sottrazione del bene della vita che mai gli era stato attribuito (tacitamente) e tantomeno appartenuto.

In altri termini, non potendo il privato affermare la valida formazione di un titolo edilizio formatosi per silentium – stante la carenza di una formale autonoma autorizzazione (pur se rilasciata dal medesimo comune in base alla disciplina regionale) sotto il profilo della compatibilità ambientale – neppure può affermare di esserne stato illegittimamente privato, così da inferire una responsabilità del comune per lesione dell’affidamento legittimo.

Sotto altro profilo, neppure è sussumibile nella fattispecie una ipotesi di (più probabile che non) spettanza del bene della vita (id est, titolo ad edificare).

Il Comune di Lucera ha annullato in autotutela il p.d.c., nonché la comunicazione di (asserita) formazione del silenzio assenso sulla istanza di p.d.c., sul presupposto della illegittimità della fonte normativa secondaria (piano urbanistico generale) rispetto alla fonte nazionale sovraordinata di cui al d.m. n. 1444 del 1968.

Secondo costante giurisprudenza, tenuto conto altresì della normativa statale e regionale ratione temporis vigente, la distanza minima di dieci metri tra edifici antistanti (fissata dall’art. 9, d.m. n. 1444/1968) aveva carattere inderogabile, in quanto norma imperativa volta a predeterminare in via generale le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza (Cons. Stato, n. 7029/2021, n. 3093/2017, n. 2086/2017, n. 856/2016; Cass., civ., n. 23136/2016).

Più in particolare, la citata giurisprudenza ha chiarito che i limiti fissati nel suddetto decreto integrano il regime delle distanze nelle costruzioni con efficacia precettiva, in quanto perseguono l’interesse pubblico di tutela igienico sanitaria collettiva, e non la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili confinanti alla nuova costruzione (regolata, invece, dal codice civile).

Ragion per cui, le distanze (10 mt) tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti devono ritenersi inderogabili, come tali vincolanti sia per i comuni in sede di formazione o revisione degli strumenti urbanistici (Cons. di Stato n. 7029/2021), sia per i privati (i confinanti non potrebbero, con patti stipulati tra loro, derogarle). Lo strumento urbanistico comunale (nel regime normativo nazionale e regionale ratione temporis vigente) non poteva, pertanto, contemplare disposizioni in contrasto con l’art. 9 del d.m. n. 1444/1968; tali prescrizioni sarebbero, invero, illegittime.

Tale illegittimità comporta per il giudice l’obbligo di applicare la norma di livello superiore, secondo il criterio di gerarchia materiale delle fonti, disapplicando la norma regolamentare in contrasto con la norma di rango superiore e inderogabile.

Applicando le suesposte coordinate al caso di specie (intervento di “ristrutturazione, con parziale demolizione del fabbricato esistente e ampliamento con sopraelevazione, di numeri 3 piani di un fabbricato per civile abitazione”) occorre considerare che la distanza minima di cui sopra è imposta per qualsiasi forma di nuova costruzione da effettuarsi in tutto il territorio comunale, quest’ultima intesa nel senso più ampio con riguardo, sia al regime di nuova costruzione (id est, nuovi edifici; ampliamenti, sopraelevazioni, addizioni volumetriche, superficie), che al regime ricostruttivo (id est, demolizione e ricostruzione, integrale o parziale di edifici, traslazione volumi e area di sedime; modifiche di sagoma, anche a parità di volume, modifiche planivolumetriche); che, inoltre, tali distacchi si applicano sia in senso planimetrico che in senso altimetrico o elevazione. Le uniche eccezioni sono: i) gli interventi di risanamento conservativo; (ii) le ristrutturazioni di edifici situati nelle zone omogenee A (centri e nuclei storici), dove le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale; iii) i gruppi di edifici che formano oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con specifiche previsioni planovolumetriche; iv) la particolare deroga prevista per finalità di risparmio energetico (id est, “cappotto termico”) all’art. 2-bis, co. 1-ter del d.p.r. n. 380 del 2001, introdotto nel testo unico edilizio con il d.l. n. 76 del 2020.

Va annotato, a tale ultimo proposito, che l’art. 2-bis del DPR n. 380/2001 (introdotto dall’art. 30, comma 1, lett. 0a), d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98) ha previsto, ai commi 1 e 1-bis (quest’ultimo, aggiunto dall’art. 5, comma 1, lett. b), d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 giugno 2019, n. 55): “1. Ferma restando la competenza statale in materia di ordinamento civile con riferimento al diritto di proprietà e alle connesse norme del codice civile e alle disposizioni integrative, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, e possono dettare disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali. 1-bis Le disposizioni del comma 1 sono finalizzate a orientare i comuni nella definizione di limiti di densità edilizia, altezza e distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati del proprio territorio”.

La legislazione statale ha, dunque, introdotto, nel quadro dei principi che informano la potestà legislativa concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio, norme che consentono a livello territoriale la possibilità di prevedere, a determinate condizioni, disposizioni derogatorie al decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444. Tuttavia, perché ciò fosse consentito, occorreva che la Regione esercitasse la propria potestà legislativa concorrente in materia, prevedendo a livello territoriale la possibilità di deroghe alle distanze; facoltà che non consta essere stata esercitata.

Alla stregua di quanto sin qui argomentato, deve escludersi che il comportamento sotteso all’adozione del provvedimento recante annullamento in autotutela del titolo edilizio e della comunicazione relativa al silenzio assenso sia connotato da profili di responsabilità in capo all’amministrazione apparato.

Assodata la legittimità del provvedimento di auto-annullamento del precedente permesso di costruire, viene meno un ulteriore presupposto per l’accoglimento della domanda di condanna del Comune al risarcimento del danno.

In ogni caso, deve escludersi ogni forma di responsabilità soggettiva (id est, colpa) tenuto conto che la contestata condotta è stata orientata da principi normativi e giurisprudenziali in tema di distanze legali di incerta applicazione e non agevole coordinamento, a cagione del contrasto esistente fra fonti normative di livello diverso, suscettive di non facile e immediata ordinazione e composizione. A conferma di tale conclusione si evidenzia che il successivo permesso di costruire rilasciato dal Comune trae fondamento proprio dalla applicazione delle norme sancite dalle novelle, recate all’art. 2 bis t.u. edilizia, di cui alle leggi del 2019 e del 2020 (ovviamente inapplicabili ratione temporis ai titoli edilizi precedenti la loro entrata in vigore).

Consegue a tanto che l’appello è fondato ed è stato, pertanto, accolto.