Sulla fiscalizzazione dell’abuso edilizio di Paolo Urbani

CS_5090_2023

 

Con la sentenza n. 5090 del 23 maggio 2023, il Consiglio di Stato (sez. VI) ha ribadito che l’art. 34 del DPR 380/2001 è applicabile solo agli abusi meno gravi riferibili all’ipotesi della parziale difformità dal titolo abilitativo, in ragione del minor pregiudizio causato all’interesse urbanistico, e dell’annullamento del permesso di costruire, in ragione della tutela dell’affidamento che il privato ha posto nel titolo edilizio a suo tempo rilasciato e, poi, fatto oggetto di autotutela e della circostanza che l’opera è stata costruita comunque sulla base di un provvedimento abilitativo. Viceversa, con riferimento alle ipotesi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, la sanzione della demolizione e della riduzione in pristino rimane l’unica applicabile, quale strumento per garantire l’equilibrio urbanistico violato.

Inoltre, in tema di fiscalizzazione dell’abuso edilizio, la nozione di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera; mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione.

L’appellante è proprietaria di un’unità immobiliare per civile abitazione del fabbricato sito in Latina, edificato in forza del permesso di costruire e del successivo permesso di costruire in variante aventi ad oggetto la realizzazione di un complesso residenziale costituito da n. 2 palazzine a 5 piani destinate a civile abitazione e ad uso commerciale.

Il Comune di Latina ha ingiunto all’appellante la demolizione di opere edilizie abusive e il ripristino dello stato dei luoghi contestando un ampliamento con cambio di destinazione d’uso a residenza per civile abitazione di due locali box cantina.

A seguito dell’ingiunzione di demolizione, l’appellante ha presentato istanza di sanatoria chiedendo l’applicazione degli articoli 34 e 36 del DPR 380/2001.

L’Amministrazione comunale di Latina ha respinto l’istanza in quanto:

1) l’articolo 34 del DPR n. 380 del 2001 non risulta applicabile poiché l’intervento abusivo è stato classificato nell’ambito dell’art. 31 del DPR n. 380 del 2001 in quanto opera non utilizzabile autonomamente e facilmente demolibile;

2) l’articolo 36 del D.P.R. n. 380 prevede la conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione delle opere sia al momento della presentazione della domanda, mentre le opere realizzate non risultano conformi alla disciplina urbanistica, in quanto configurano un aumento di volume non previsto dalle norme stesse.

La ricorrente ha impugnato un nuovo provvedimento di diniego con cui il Comune di Latina ha rappresentato nel seguente modo le ragioni del diniego:

1) l’art. 34 del DPR n. 380 del 2001 non è applicabile in quanto trattasi di abuso in totale difformità dal titolo originario, autonomamente utilizzabile;

2) l’art. 36 del DPR n. 380 del 2001 non è applicabile in quanto lo stesso prevede la conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della loro realizzazione sia al momento della presentazione della domanda, mentre le opere realizzate non risultano conformi alla predetta disciplina urbanistica in quanto configurano un aumento di volume non previsto dalle norme stesse poiché il fabbricato realizzato in virtù del permesso di costruire e successiva variante sviluppa una volumetria assentita di mc 33125,08 contro i mc 33126,60 realizzabili da PPE R7, per cui non è consentito alcun incremento di volume.

Il TAR Latina ha rigettato il ricorso; di talché, l’interessata ha interposto appello.

Ad avviso del Consiglio, le doglianze prospettate dall’appellante non possono essere condivise.

Vengono in rilievo nella definizione della presente controversia, gli articoli 31, 34 e 36 del DPR n. 380 del 2001.

La giurisprudenza ha chiarito come l’art. 34 sia applicabile solo agli abusi meno gravi riferibili all’ipotesi della parziale difformità dal titolo abilitativo, in ragione del minor pregiudizio causato all’interesse urbanistico, e dell’annullamento del permesso di costruire, in ragione della tutela dell’affidamento che il privato ha posto nel titolo edilizio a suo tempo rilasciato e, poi, fatto oggetto di autotutela e della circostanza che l’opera è stata costruita comunque sulla base di un provvedimento abilitativo. Viceversa, con riferimento alle ipotesi di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, la sanzione della demolizione e della riduzione in pristino rimane l’unica applicabile, quale strumento per garantire l’equilibrio urbanistico violato (cfr. Cons. Stato, VI, 28 marzo 2022, n. 2273; Cons. Stato, VI, n. 4418 del 20 luglio 2018; Cons. Stato, VI, 30-3-2017, n. 1484).

La nozione di parziale difformità, secondo la giurisprudenza del Consiglio (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, VI, 1° marzo 2021, n. 1743; Cons. St., Sez. II, 23 ottobre 2020, n. 6432) presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale, quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera; mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione.

Nel caso di specie, le difformità del fabbricato residenziale rispetto al progetto licenziato sono di indubbia consistenza, per cui è ragionevole ritenere che l’appellante non possa accedere alla c.d. “fiscalizzazione” della sanzione, ai sensi dell’art. 34 del DPR n. 380/2001.

Gli abusi sanzionati, infatti, hanno obiettivamente trasformato l’originario manufatto in un organismo edilizio diverso da quello originario con riferimento alle sue caratteristiche essenziali, sicché in alcun modo potrebbe parlarsi di parziale difformità, tanto che la trasformazione dei luoghi impedisce di distinguere l’immobile originario da quello che ne è derivato a seguito della realizzazione degli illeciti edilizi. Nella fattispecie in esame, infatti, l’abuso posto in essere concreta una radicale difformità dal titolo originario, in quanto ha comportato l’ampliamento con cambio di destinazione d’uso, di due locali box cantina a residenza.

Va da sé, pertanto, che l’abuso riguardi un’opera diversa da quella prevista nel titolo abilitativo, tanto che, in luogo di due box cantina di circa 16 mq è stato realizzato un locale ad uso abitativo di circa 56 mq avente una sostanziale maggiore altezza, con conseguente creazione di un organismo edilizio totalmente diverso dal precedente per caratteristiche tipologiche, volumetriche e di utilizzazione.

Ad ogni buon conto, va evidenziato che – come la Sezione ha già avuto modo di precisare (cfr. Cons. Stato, VI, 28 marzo 2022, n. 2273; Consiglio di Stato, Sez. VI, 12/12/2019, n. 8458 e 23/11/2018 n. 6658) – la possibilità di sostituire la sanzione demolitoria con quella pecuniaria deve essere valutata dall’amministrazione nella fase esecutiva del procedimento, che è successiva ed autonoma rispetto a quella che sfocia nell’ordine di demolizione, per cui è in tale fase esecutiva che la parte interessata può, ricorrendone i presupposti, far valere la situazione di pericolo eventualmente derivante dall’esecuzione della demolizione delle parti abusive di un immobile.

L’impossibilità a demolire i manufatti abusivi, che consente di accedere alla c.d. fiscalizzazione, inoltre, deve avere natura oggettiva, e non deve manifestarsi come semplice difficoltà che possa essere superata con l’adozione di particolari accorgimenti, per quanto costosi.

Per tutte le ragioni esposte, l’appello è infondato ed è stato di conseguenza respinto.