Sulle differenze tra sagoma e prospetto, di Fabio Cusano

Con sentenza 6 febbraio 2024, n. 163, il TAR Toscana, sez. III, ha ribadito che l’art. 3, comma 2, D.P.R. 380/2001 nella parte in cui afferma che le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi, va interpretato nel senso che la normativa urbanistica comunale non può dare agli interventi una classificazione diversa da quella ivi stabilita e non anche che non possa disciplinare in via sostanziale le attività concretamente assentibili, escludendo alcuni interventi riconducibili a una determinata classificazione. Pertanto, il fatto che il Piano operativo del Comune ammetta la ristrutturazione edilizia conservativa non esclude che lo stesso possa al contempo vietare la realizzazione di singole opere che, pur rientrando in tale categoria di intervento, sono ritenute incompatibili con le caratteristiche degli immobili e con l’armonioso sviluppo urbanistico e edilizio dell’area. Inoltre, in tema di qualificazione degli interventi edilizi, la sagoma riguarda la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro, considerato in senso verticale e orizzontale (ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli oggetti e gli sporti), mentre il prospetto individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne. Attengono quindi al prospetto gli interventi che modificano l’originaria conformazione estetico architettonica dell’edificio, realizzati o comunque incidenti sulla facciata o sulle pareti esterne del fabbricato, senza superfici sporgenti. Ne deriva che non ogni intervento edilizio realizzato sulla copertura dell’edificio implica modifica dei prospetti, ma occorre verificare, caso per caso, se lo stesso comporti anche una modifica della facciata o delle pareti esterne dell’immobile.

Il ricorrente è proprietario di un immobile ad uso residenziale, ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico. Il proprietario ha presentato una s.c.i.a. alternativa a permesso di costruire avente ad oggetto un intervento di ristrutturazione conservativa ex art. 10, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380/2001, per la realizzazione di una terrazza a tasca sulla copertura dell’edificio.

Il Comune ha rilasciato l’autorizzazione paesaggistica, sulla base del parere favorevole della competente Soprintendenza. Cionondimeno, lo stesso Comune ha vietato la prosecuzione degli interventi e ordinato il ripristino dello stato dei luoghi, ai sensi dell’art. 145, comma 6 della L.R.T. n. 65/2014. Avverso detto provvedimento è insorto il ricorrente.

La prima censura è infondata. Non rileva, infatti, che il legislatore nazionale, all’art. 3, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 380/2001, ricomprenda nella nozione di ristrutturazione edilizia conservativa anche le modifiche di prospetto, perché – per costante giurisprudenza – il secondo comma della stessa norma, nella parte in cui afferma che le definizioni di cui al comma 1 prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi, va interpretato nel senso che la normativa urbanistica comunale non può dare agli interventi una classificazione diversa da quella ivi stabilita e non anche che non possa disciplinare in via sostanziale le attività concretamente assentibili, escludendo alcuni interventi riconducibili a una determinata classificazione (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 21 ottobre 2014, n. 5187; Id., 18 maggio 2016, n. 2009). Pertanto, il fatto che il Piano Operativo del Comune sugli edifici classificati “t3”, come quello di cui si controverte, ammetta la ristrutturazione edilizia conservativa non esclude che lo stesso possa al contempo vietare la realizzazione di singole opere che, pur rientrando in tale categoria di intervento, sono ritenute incompatibili con le caratteristiche degli immobili e con l’armonioso sviluppo urbanistico e edilizio dell’area.

La seconda censura è fondata. Il provvedimento impugnato, come evidenziato nelle premesse, reca un’unica motivazione fondata, da un lato, sulla presunta esistenza di un divieto assoluto di modifiche prospettiche per gli edifici classificati con la categoria di intervento “t3” e, dall’altro, sulla equiparazione della copertura dell’edificio ai suoi prospetti. Sotto il primo profilo, la motivazione non è conforme alle norme del Piano Operativo vigente, poiché in base all’art. 30, comma 1, n. 3 sugli edifici “t3” sono ammesse “modifiche all’aspetto esteriore degli edifici, con l’introduzione di nuove aperture e/o modifiche a quelle esistenti, nel rispetto del sistema strutturale e a condizione che vengano tutelati i fronti di carattere unitario e compiuto e le originarie caratteristiche architettoniche dell’edificio; le nuove aperture dovranno rispettare per forma, dimensione e partizione quelle esistenti e le caratteristiche tipologiche dell’organismo edilizio originario”. Non è previsto quindi un divieto assoluto di modifiche ai prospetti degli edifici “t3”, come affermato nell’ordinanza.

Il provvedimento impugnato, nonostante ciò, non contiene alcun riferimento alle reali caratteristiche dell’intervento e non specifica – come richiesto dalla norma appena citata – se e come lo stesso incida sull’aspetto esteriore e, in particolare, sul sistema strutturale, sui fronti unitari o sulle caratteristiche architettoniche dell’edificio. Il fatto poi che l’art. 30 cit., nel suo prosieguo, preveda che le nuove aperture debbano rispettare per forma, dimensione e partizione di quelle esistenti non significa che, in assenza di aperture assimilabili a quella prevista dal progetto, non sia possibile procedere alla modifica. Si tratta invero di criteri esecutivi volti ad assicurare l’inserimento armonioso degli interventi nell’assetto preesistente dell’edificio, mentre i limiti di ammissibilità dell’intervento rimangono quelli dettati nella prima parte della disposizione, di cui si è già dato conto.

Sotto il secondo profilo, il provvedimento appare comunque illogico nella parte in cui opera una aprioristica equiparazione della copertura dell’edificio al suo prospetto. Va infatti rammentato che, in base ad un costante insegnamento giurisprudenziale, la sagoma riguarda la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro, considerato in senso verticale e orizzontale (ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli oggetti e gli sporti), mentre il prospetto individua gli sviluppi in verticale dell’edificio e quindi la facciata dello stesso, rientrando nella fattispecie anche le aperture presenti sulle pareti esterne. Attengono quindi al prospetto gli interventi che modificano l’originaria conformazione estetico architettonica dell’edificio, realizzati o comunque incidenti sulla facciata o sulle pareti esterne del fabbricato, senza superfici sporgenti (cfr. tra le tante Cons. Stato, sez. VI, 7 giugno 2021, n. 4307 e precedenti richiamati; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 27 marzo 2023, n. 1881; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 1 marzo 2023, n. 660).

Ciò significa che non ogni intervento edilizio realizzato sulla copertura dell’edificio implica modifica dei prospetti, ma occorre verificare, caso per caso, se lo stesso comporti anche una modifica della facciata o delle pareti esterne dell’immobile. Circostanza che nel caso di specie non è stata tuttavia evidenziata.

In conclusione, il ricorso è fondato e va accolto.