Sull’autorizzazione paesaggistica e la regolarità urbanistico-edilizia, di Paolo Urbani

Con sentenza 1 marzo 2024, n. 559, il TAR Campania, Salerno, sez. II, ha ribadito che in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, oggetto di rigorosa e puntuale valutazione è la concreta incidenza impattante dell’intervento progettato sullo scenario paesaggistico circostante, con esclusione di qualsivoglia verifica degli aspetti di regolarità urbanistica ed edilizia dell’opera, quali anche lo stato legittimo dell’immobile; ciò in ragione dell’autonomia strutturale e funzionale che separa il titolo paesaggistico rispetto a quelli implicanti l’accertamento della legittimità urbanistico-edilizia del medesimo progetto. Ammettere diversamente una commistione tra i diversi profili, con conseguente confusione dei poteri, sarebbe in contrasto sia con il principio di legalità che innerva l’azione amministrativa, stante l’ampliamento praeter legem o contra legem dell’ambito di competenza dell’amministrazione procedente rigorosamente scandito, sia con gli ulteriori ineludibili principi di non aggravamento del procedimento e di certezza dell’azione amministrativa.

Sono pienamente convincenti le prospettazioni di parte ricorrente, che rimarca sia il profilo di deficit motivazionale sia il rilievo di travalicamento delle valutazioni, squisitamente urbanistiche, di rigorosa spettanza dell’autorità comunale; com’è noto, infatti, il parere delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo ha natura e funzioni identiche all’autorizzazione paesaggistica, integrando entrambi gli atti il presupposto legittimante la trasformazione urbanistico-edilizia della zona protetta, ed attenendo entrambi, sotto un angolo visuale contenutistico, a profili diversi da quelli urbanistico-edilizi, ossia, specificamente, alla valutazione di compatibilità dell’opera con le finalità perseguite dal vincolo (v. sul punto, Cons. Stato, Sez. VI, 12 novembre 2013, n. 5376; Cons. Stato, 2 ottobre 2008, n. 4764; Cons. St., Sez. VI, n. 150 dell’11.01.2018).

Invero, traslando le coordinate ermeneutiche e normative nella fattispecie in esame, si appalesa di palmare evidenza il vizio motivazionale lamentato; la cornice argomentativa del parere impugnato è inequivoca; il parere esorbita, infatti, dai meri aspetti paesaggistici, nella misura in cui, invece di affrontare gli aspetti paesaggistici della fattispecie, motiva il proprio esito sfavorevole su questioni meramente urbanistico-edilizie, per un verso mettendo in discussione la configurazione giuridica dell’intervento (ristrutturazione leggera o pesante) e, per altro verso, negando che sia possibile rilasciare un titolo edilizio che, insieme, autorizzi la demolizione di opere in parte legittime (perché condonate) ed in parte ancora abusive (ma sottoposte a richiesta di condono non definita) e la successiva ricostruzione del tutto.

Per altro, sotto l’aspetto paesaggistico, l’atto di diniego contrasta con gli stessi orientamenti precedenti della Soprintendenza, la quale deve ritenersi abbia espresso parere favorevole vincolante sui provvedimenti di condono che hanno interessato le verande oggi legittime; il parere impugnato non evidenzia, dunque, quello specifico profilo di contrasto delle opere in contestazione rispetto allo scenario paesaggistico di riferimento; ma esplicita argomentazioni di tipo urbanistico ed edilizio, che esulano dalla sua sfera di competenza.

In sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, oggetto di rigorosa e puntuale valutazione è la concreta incidenza impattante dell’intervento progettato sullo scenario paesaggistico circostante, con esclusione di qualsivoglia verifica degli aspetti di regolarità urbanistica ed edilizia dell’opera, quali anche lo stato legittimo dell’immobile; questo in ragione dell’autonomia strutturale e funzionale che separa il titolo paesaggistico rispetto a quelli implicanti l’accertamento della legittimità urbanistico-edilizia del medesimo progetto; ammettere diversamente una commistione tra i diversi profili, con conseguente confusione dei poteri, sarebbe in contrasto sia con il principio di legalità che innerva l’azione amministrativa, stante l’ampliamento praeter legem o contra legem dell’ambito di competenza dell’amministrazione procedente rigorosamente scandito; sia con gli ulteriori ineludibili principi di non aggravamento del procedimento e di certezza dell’azione amministrativa” (Consiglio di Stato sez. IV, 24/03/2023, n. 3006).

Stanti queste premesse, il gravame è accolto.