Con sentenza 29 febbraio 2024, n. 1984, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che integrano gli estremi della ristrutturazione edilizia gli accorpamenti e i frazionamenti delle unità immobiliari e gli interventi che alterino l’originaria consistenza fisica dell’immobile con l’inserimento di nuovi impianti e la modifica di distribuzione dei volumi, mentre la manutenzione straordinaria e il risanamento conservativo presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie. In particolare il restauro e il risanamento conservativo non possono mai portare a ridetto organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente, avendo sempre la finalità di conservare l’organismo edilizio, ovvero di assicurare la funzionalità. Inoltre gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica dell’immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e la ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia.
Con il primo mezzo, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso, ritenendo che il Comune abbia fatto corretta applicazione dell’art. 46, co. 2 della L.R. n. 16/08, che sanziona gli interventi di ristrutturazione edilizia eseguiti in assenza di titolo abilitativo. Deduce che, nella specie, non è stato eseguito alcun cambio di destinazione o trasformazione d’uso, di conseguenza, trattandosi di intervento di ristrutturazione edilizia realizzato in assenza del titolo abilitativo prescritto, lo stesso avrebbe legittimato l’applicazione del regime sanzionatorio, di cui all’art. 46, comma 2, L.R. n. 16/2018.
La modificazione delle tramezzature interne, la realizzazione del servizio igienico e l’eliminazione di un precedente ambiente, mediante demolizione di una preesistente tramezzatura, costituiscono opere interne all’unità abitativa e, come tali, opere di manutenzione straordinaria.
L’appello non è fondato.
Secondo l’indirizzo condiviso della giurisprudenza amministrativa, integrano gli estremi della ristrutturazione edilizia gli accorpamenti e i frazionamenti delle unità immobiliari e gli interventi che alterino l’originaria consistenza fisica dell’immobile con l’inserimento di nuovi impianti e la modifica di distribuzione dei volumi, mentre la manutenzione straordinaria e il risanamento conservativo presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie (Cons. Stato, n. 10360 del 2022). È stato, altresì, precisato che ‘al fine di valutare l’incidenza sull’assetto del territorio di un intervento edilizio, consistente in una pluralità di opere, va compiuto un apprezzamento globale, atteso che la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprenderne in modo adeguato l’impatto effettivo complessivo. I molteplici interventi eseguiti non vanno considerati, dunque, in maniera frazionata’ (Cons. Stato, n. 3164 del 2020).
La ristrutturazione edilizia deve essere distinta dagli interventi di restauro e risanamento conservativo, atteso che ‘mentre la ristrutturazione può condurre ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, il restauro e il risanamento conservativo non possono mai portare a ridetto organismo in tutto o in parte diverso dal preesistente, avendo sempre la finalità di conservare l’organismo edilizio, ovvero di assicurare la funzionalità (cfr. art. 31, lett. c) della L. n. 457 del 1978, traslato testualmente nell’art. 3, comma 1, lett. c) del d.P.R. n. 380 del 2001)’(Cons. Stato, n. 8337 del 2020). Ne deriva che si è in presenza di un restauro e risanamento conservativo qualora l’intervento sia funzionale alla conservazione dell’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità, nel rispetto dei suoi elementi tipologici (in specie, architettonici e funzionali, suscettibili di consentire la qualificazione dell’organismo in base alle tipologie edilizie), formali (tali da contraddistinguere il manufatto, configurandone l’immagine caratteristica) e strutturali (concernenti la composizione della struttura dell’organismo edilizio).
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l’originaria consistenza fisica dell’immobile e comportino l’inserimento di nuovi impianti e la modifica e la ridistribuzione dei volumi, non si configurano né come manutenzione straordinaria, né come restauro conservativo, ma rientrano nell’ambito della ristrutturazione edilizia (Cons. Stato, n. 5992 del 2020; id. n. 4523 del 2014; id. n. 1326 del 2014).
Nel caso in esame, il Comune aveva rilasciato il titolo in sanatoria, prescrivendo che il ricorrente avrebbe dovuto realizzare opere murarie o installare arredi fissi allo scopo di delimitare la parte centrale abitabile, avente altezza superiore a m. 1, 90, da quella destinata a locale di sgombero avente altezza inferiore.
Nella specie, invece, è stato accertato, in sede di sopralluogo eseguito dal personale comunale, che le pareti suddette sono state rimosse ed è stato realizzato un secondo servizio igienico nel sottotetto con eliminazione di un precedente ambiente. Ne consegue che, diversamente da quanto sostenuto pervicacemente dal ricorrente, appare all’evidenza che sia stata realizzato un intervento di ristrutturazione edilizia e non un intervento di manutenzione straordinaria.
Il Comune di Genova ha precisato che l’utilizzo del sottotetto è stato assentito, in sanatoria, limitatamente alla porzione limitata dal relativo provvedimento per una superficie di 28 mq circa, e, ai fini di consentire l’utilizzo abitativo della parte centrale del sottotetto, si è condizionato il rilascio del titolo alla realizzazione di ‘paratie’ per superare la zona abitabile dalla zona ad uso sgombero e/o tecnico. Il ricorrente ha rimosso le paratie, utilizzando anche gli spazi ulteriori di circa 110 mq anche ai fini abitativi, come dimostrato dalla presenza di mobili e impianto di riscaldamento, nonché confermato dalla realizzazione di un secondo servizio igienico.
Ciò al fine di rendere il sottotetto, come rilevato dal Tribunale amministrativo, un’unità residenziale.
La rimozione delle pareti poste a delimitazione della parte centrale e la realizzazione di un secondo servizio igienico risultano ‘evidentemente finalizzate, infatti, al cambio di destinazione d’uso della maggiore porzione di tale locale, da sottotetto non abitabile a unità residenziale’.
Sulla base della giurisprudenza sopra richiamata, va condiviso l’assunto argomentativo sostenuto dal Collegio di primo grado, secondo cui ‘anche volendo ipotizzare che non sia configurabile nella fattispecie un cambio di destinazione d’uso, andrebbe comunque ascritto alla categoria della ristrutturazione edilizia (anziché a quelle della manutenzione straordinaria ovvero del restauro e risanamento conservativo) l’intervento edilizio che ha comportato l’alterazione, sotto il profilo della distribuzione interna, dell’originaria consistenza fisica dell’immobile nonché l’inserimento di un nuovo servizio igienico con i relativi impianti’.
Vale la pena osservare che, nella formulazione attuale dell’art. 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 (più ampia di quella vigente all’epoca dell’abuso edilizio per cui è causa), sono sì ricompresi nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria anche «quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico», ma sempre che «non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso».
In definitiva, le critiche prospettate dall’appellante non sono fondate, atteso che la rimozione delle pareti realizzate allo scopo di separare la limitata porzione abitabile del sottotetto dal locale sgombero, con cambio di destinazione d’uso, ha sostanzialmente determinato una alterazione della fisionomia e della consistenza fisica dell’immobile che è propria della ristrutturazione edilizia (incompatibile con i concetti di manutenzione straordinaria o di risanamento conservativo).
In definitiva, l’appello va respinto, sicché la sentenza di primo grado va confermata.