Sulla valutazione complessiva dell’abuso edilizio di Fabio Cusano

Cons. St. 8778 2022

Con la sentenza n. 8778 del 14 ottobre 2022, il Consiglio di Stato ha ribadito che la valutazione dell’abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, dovendosi valutare l’insieme delle opere realizzate nel loro contestuale impatto edilizio e non il singolo intervento. Non è dato, infatti, scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni. L’opera edilizia abusiva va dunque identificata con riferimento all’immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato.

Nel verificare l’unitarietà o la pluralità degli interventi edilizi, non può tenersi conto del solo profilo strutturale, afferente alle tecniche costruttive del singolo manufatto, ma deve prendersi in esame anche l’elemento funzionale, al fine di verificare se le varie opere, pur strutturalmente separate, siano, tuttavia, strumentali al perseguimento del medesimo scopo pratico. Qualora infatti su uno stesso terreno risultino realizzati interventi dotati di una sicura autonomia strutturale (perché separati e relativamente distanziati uno dall’altro) e funzionale (es. abitazione e distinta autorimessa), la valutazione di unitarietà dell’intervento non può operare sull’intero ma va effettuata separatamente.

Nel caso in esame il Comune notificava all’appellante l’ordinanza di demolizione con cui ordinava il ripristino dello stato dei luoghi mediante la rimozione delle opere realizzate in assenza di permesso di costruire e di autorizzazione paesaggistica. L’appellante ha impugnato l’ordine di riduzione in pristino dinanzi al TAR Lombardia che accoglieva parzialmente il ricorso (limitatamente all’ordine di rimozione della recinzione posta in adiacenza all’autorimessa), rigettandolo per tutto il resto. L’appellante ha gravato la sentenza nella parte che lo ha visto soccombente.

Il Consiglio ha rilevato, innanzitutto, che l’impugnato ordine di demolizione si presenta come atto plurimotivato incentrato sul doppio profilo, sia edilizio che paesaggistico. Il primo riguarda l’assenza di un titolo abilitativo edilizio (il permesso di costruire). Il secondo trova il suo presupposto del carattere vincolato delle aree su cui sono state realizzate le opere, ovverosia sul profilo della violazione della normativa paesaggistica che richiede una specifica autorizzazione per edificare in zona vincolata. I due profili, per quanto concorrenti, si presentano come autonomi, nel senso che l’assenza del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica giustificano la riduzione in pristino uno indipendentemente dall’altro.

Parte appellante non ha dedotto alcuna specifica censura, né in primo grado, né in sede di appello, sulla parte del provvedimento che ha rilevato l’intervenuta edificazione in area paesaggisticamente vincolata in assenza di autorizzazione paesaggistica, riservando tutte le censure all’aspetto edilizio, ovverosia alla contestazione dell’assenza del permesso di costruire, della necessità di dotarsi dello stesso o, comunque, dell’illegittimità della sanzione demolitoria considerata la modesta entità delle difformità.

Notoriamente, ai fini della verifica della legittimità del provvedimento amministrativo fondato su una pluralità di motivi autonomi, è sufficiente che almeno uno di essi risulti in grado di sorreggere per intero l’atto stesso. Sussistendo detta evenienza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Tuzioristicamente il Consiglio ha altresì dichiarato il ricorso infondato, con riferimento alla “considerazione atomistica” degli abusi. Nel caso di specie, secondo l’appellante gli interventi dovevano essere singolarmente considerati, in quanto ciascun intervento riguarderebbe specifiche parti dell’immobile che hanno specifiche e autonome funzioni (abitazione, portico e autorimessa e relativi ripostigli), le asserite difformità sarebbero diverse e soggetti a differenti regimi edilizi. Alcune, infatti, sarebbero più “gravi”, quali gli interventi realizzati senza titolo in ampliamento delle unità esistenti (soggiorno per quanto riguarda l’abitazione e ripostiglio esterno per quanto riguarda l’autorimessa); altri meno “gravi” e soggetti a diversi regimi sanzionatori, quali quelli autorizzati ma realizzati con modalità diverse da quelle del titolo abilitativo (il portico edificato con dimensioni più piccole e l’autorimessa con dimensioni più grandi, rientranti comunque nell’ambito della tolleranza e, quindi, delle difformità non essenziali) o senza una preventiva comunicazione (il ripostiglio in quota e ripostiglio esterno).

Il Consiglio di Stato ha ritenuto che il criterio di unitarietà dell’intervento deve operare separatamente per i due diversi compendi, dell’edificio destinato ad abitazione e della distinta e separata autorimessa. Nel primo rientra l’ampliamento dell’edificio al piano terra di circa destinato a soggiorno e la difformità del portico, per il quale si applica il principio della valutazione unitaria. Allo stesso modo tale principio deve essere seguito per tutti gli interventi che hanno interessato l’autorimessa ovverosia la difformità delle dimensioni e delle altezze dell’autorimessa, l’ampliamento esterno, realizzazione di un locale destinato a ripostiglio, e la realizzazione di un solaio in legno all’interno dell’autorimessa.

Alla luce della necessità di valutare unitariamente gli interventi effettuati sull’immobile destinato ad abitazione su quello inerente all’autorimessa, si deve applicare il regime edilizio sanzionatorio derivante dall’unitarietà delle opere realizzate e non quello astrattamene applicabile per gli interventi atomisticamente valutati.

Vengono a cadere, pertanto, tutte le censure inerenti alla supposta irrilevanza delle opere realizzate ai fini della necessità di conseguire il titolo abilitativo edilizio, come pure quelle inerenti al mancato superamento del margine di tolleranza ex art. 34 del d.P.R. 380/2001, nel testo vigente ratione temporis, e alla non integrazione di difformità essenziali rispetto all’autorizzato.

Né è sostenibile il carattere amovibile e precario delle opere, che invero appaiono destinate a una stabile destinazione e non a soddisfare una necessità contingente e non prolungata nel tempo.

Tanto premesso, il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello.