Con la sentenza n. 7977 del 14 settembre 2022, il Consiglio di Stato ha ribadito che le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità. Pertanto, in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale, le decisioni dell’Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso. Una motivazione rafforzata è richiesta solo in presenza di superamento degli standard minimi, di una convenzione di lottizzazione o di un accordo equivalente, di pronunce di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento, passate in giudicato.
Inoltre, una destinazione di zona precedentemente impressa non determina l’acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo P.R.G., conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute.
Gli originari ricorrenti, proprietari di compendio immobiliare classificato dal PUC comunale come distretto di trasformazione D1, ricorrevano al TAR Liguria avverso la delibera avente ad oggetto l’adozione della variante di Piano relativa ai Distretti di trasformazione e alle Unità di intervento non attuati. Essi articolavano, altresì, una domanda di risarcimento dei danni patiti in conseguenza degli atti impugnati.
Con la sentenza oggetto dell’odierna impugnativa, il TAR respingeva il ricorso.
Gli appellanti ribadiscono il vulnus che la variante avrebbe arrecato alle linee di sviluppo del territorio comunale come previste e programmate dal PUC, con il conseguente sacrificio delle proprie aspettative edificatorie.
In linea generale, il Consiglio di Stato ha ribadito che:
(i) le scelte di pianificazione urbanistica sono caratterizzate da ampia discrezionalità e costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicità;
(ii) in occasione della formazione di uno strumento urbanistico generale le decisioni dell’Amministrazione riguardo alla destinazione di singole aree non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può evincere dai criteri generali – di ordine tecnico discrezionale – seguiti nell’impostazione del piano stesso.
In questo caso, infatti, viene in considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peiusdelle destinazioni di zona edificabili, cedevole dinanzi alla discrezionalità del potere pubblico di pianificazione urbanistica, ed analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira ad una utilizzazione più proficua del proprio immobile.
Inoltre, ad avviso del Consiglio:
(iii) l’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti;
(iv) una destinazione di zona precedentemente impressa non determina l’acquisizione, una volta e per sempre, di una aspettativa di edificazione non più mutabile, essendo appunto questa modificabile (oltre che in variante) con un nuovo P.R.G., conseguenza di una nuova e complessiva valutazione del territorio, alla luce dei mutati contesti e delle esigenze medio tempore sopravvenute;
(v) la motivazione delle scelte urbanistiche, sufficientemente espressa in via generale, è desumibile sia dai documenti di accompagnamento all’atto di pianificazione urbanistica, sia dalla coerenza complessiva delle scelte effettuate dall’amministrazione comunale;
(vi) una motivazione “rafforzata” è richiesta solo in presenza di superamento degli standard minimi, di una convenzione di lottizzazione o di un accordo equivalente, di pronunce di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento, passate in giudicato.
Nel caso di specie, la contestata variante non ha comportato la completa elisione ma solo la riduzione della capacità edificatoria prevista dal PUC, unitamente all’ampliamento delle aree destinate a verde di rispetto ambientale.
Risultano poi ben chiare le linee di indirizzo sottese alla nuova disciplina urbanistica, che è scaturita dagli eventi alluvionali verificatisi nel 2011 e nel 2012 e che persegue il fine di “contenere il consumo delle risorse territoriali mediante riduzione delle superfici di nuova edificazione previste dal PUC nei distretti di trasformazione non ancora attuati […] che interessino terreni inedificati e consentano l’edificazione di 3 o più unità immobiliari residenziali, in quanto ritenute significative per la trasformazione urbanistica del territorio”.
Quanto alla posizione di affidamento qualificato alla conservazione della destinazione urbanistica in atto, invocata dagli appellanti, il Consiglio ha ribadito che essa può rinvenirsi solo in presenza di una convenzione di lottizzazione o di un accordo equivalente, valido ed efficace, ovvero di pronunce di annullamento di diniego di permesso di costruire o di silenzio inadempimento, passate in giudicato.
Nel caso di specie, il Piano attuativo presentato nel 2010, al momento dell’adozione della variante, risultava in fase istruttoria ed era quindi inidoneo a radicare una situazione di affidamento.
La natura generale della variante, unitamente all’assenza di una situazione di affidamento qualificato in capo agli appellanti, destituiscono di fondamento anche le censure relative alla violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo. Queste ultime, infatti, non si applicano all’adozione degli strumenti urbanistici per i quali “restano ferme le particolari norme che ne regolano la formazione” (art. 13 della L. 241/1990).
In definitiva, il Consiglio ha respinto l’appello.