Con sentenza n. 9664 del 4 novembre 2022, il Consiglio di Stato ha ribadito che il titolo edilizio è sempre riferito ad uno specifico progetto; ragion per cui, una volta riscontrata la conformità dello stesso alla normativa urbanistica, il suo rilascio ne attesta la conformità, senza che possa predicarsi una sorta di invalidità sopravvenuta del titolo medesimo o il suo successivo annullamento implicito in autotutela.
Così conformato l’esercizio del potere urbanistico, il titolo entra nell’ordinamento giuridico assistito dalla presunzione di legittimità, che ne attesta la validità fino alla sua rimozione dall’ordinamento medesimo mediante i tipici strumenti previsti dal sistema, ovvero l’annullamento in via giudiziaria, giustiziale, in autotutela espressa o, nei soli casi consentiti, straordinaria da parte dell’autorità competente.
Altresì, il Consiglio ha ricordato che il permesso di costruire è un provvedimento autoritativo che, per quanto privo di indole concessoria, ha natura solo tendenzialmente vincolata perché richiede sempre un minimo esercizio di discrezionalità e lo svolgimento di una attività istruttoria complessa, quantomeno in ordine all’accertamento dei presupposti di fatto e diritto previsti dalla legge e dalla disciplina pianificatoria per il rilascio dei titoli.
In particolare, con ricorso al TAR Toscana, l’istante richiedeva l’ottemperanza di una sentenza resa dallo stesso TAR e la conseguente declaratoria di nullità del provvedimento dirigenziale comunale nella parte in cui si atteggia a rifiuto di adottare l’ordinanza di demolizione e rimessa in pristino ex art. 27, c. 2, DPR 380/2001 di parte del fabbricato.
Il TAR respingeva il ricorso; avverso la sentenza, il ricorrente ha interposto appello.
Secondo il Consiglio, nel caso in esame rileva la circostanza che i titoli edilizi rilasciati nel tempo dal Comune si sono consolidati nell’ordinamento giuridico, siccome rimasti inoppugnati, ragion per cui gli stessi non possono più essere rimessi in discussione in sede giudiziaria; né è ravvisabile in capo al Comune un obbligo giuridico di rimuoverli in autotutela, ancorché conculcato dal privato, trattandosi di poteri (quelli di avvio del procedimento di autotutela decisoria) connotati dalla massima discrezionalità nell’an, appartenenti piuttosto alla sfera libera di determinazione dell’amministrazione, come tali insindacabili e incoercibili.
Rileva, altresì, che tutti i giudicati amministrativi intervenuti nella complessa vicenda non hanno mai affermato l’obbligo del Comune di procedere alla demolizione delle porzioni abusive assentite dai menzionati titoli.
Correttamente, dunque, il giudice di primo grado ha perimetrato la presente controversia come attinente strettamente alla esecuzione di un giudicato, e a tale giudicato ha parametrata la validità delle iniziative assunte dal Comune.
Sul punto, è chiara la norma agendi dettata dalla sentenza posta in esecuzione laddove si ordina al Comune di avviare e concludere il procedimento volto a verificare se sia o meno intervenuta la decadenza del permesso di costruire e di provvedere all’adozione delle eventuali misure consequenziali, nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 27 d.P.R. n. 380/2001.
La sentenza ottemperanda ha respinto la domanda di accertamento del perdurante carattere abusivo delle parti fabbricato ancora non ultimato; invece, costituendo le determinazioni espressione di amministrazione attiva del Comune in ordine a poteri non ancora esercitati, lo scrutinio di legittimità resta estraneo al perimetro del giudizio di ottemperanza.
Tanto premesso, il Consiglio ha respinto l’appello.