Con la sentenza n. 9663 del 4 novembre 2022, il Consiglio di Stato ha ribadito che il PRG è un atto a complessità diseguale.
Il Comune riveste una posizione preponderante nella regolazione degli interessi urbanistici comunali, mentre la Regione svolge una funzione di co-pianificazione urbanistica nei limiti della rilevanza di interessi regionali coinvolti nella pianificazione territoriale comunale.
Durante la fase dell’approvazione la Regione può stralciare alcune previsioni e rimandarle al Comune per un nuovo esame alla luce dei rilievi formulati o può operare direttamente delle modifiche che rettificano le previsioni contenute nel Piano come adottato dal Comune.
Tuttavia, quando nasce un contenzioso sulle modifiche apportate dalla Regione, laddove non vi sia un atto di annullamento della delibera di approvazione, il PRG risulta definitivamente approvato con l’eliminazione delle modifiche operate su singoli punti dalla Regione che fanno rivivere le originarie scelte del Consiglio comunale.
In particolare, gli appellanti hanno impugnato la sentenza del TAR Lazio che aveva respinto il ricorso da loro proposto avverso il diniego di permesso di costruire emesso dal Comune.
Il terreno oggetto del permesso di costruire era classificato come zona 1 edificabile; con deliberazioni di adozione del 1971 il Comune aveva qualificato l’area in questione come zona C1 completamento. In sede di approvazione la Giunta Regionale nel 1975 aveva modificato la destinazione urbanistica del lotto, da C1 completamento a N5 verde pubblico.
Il provvedimento di approvazione in relazione tale modifica veniva impugnato innanzi al giudice amministrativo che annullava la modifica.
Dopo le pronunce giurisdizionali né il Comune né la Regione hanno mai adottato nuovi atti concernenti la pianificazione urbanistica dell’area in esame ed il Comune – in sede di rilascio di certificato di destinazione urbanistica – la considerava zona bianca.
Su richiesta degli appellanti il Comune chiedeva un parere alla Regione nel 2014. Quest’ultima rispondeva che il Comune avrebbe dovuto assumere i provvedimenti per confermare o meno l’originaria destinazione, ma il Comune riteneva che la zona fosse da considerarsi bianca per assenza di una destinazione in conseguenza dell’annullamento giurisdizionale e pertanto aveva respinto la richiesta del permesso di costruire.
La sentenza impugnata ha respinto il ricorso perché ha seguito la tesi per cui l’annullamento delle modifiche regionali inserite in sede di approvazione comportano una nuova adozione da parte del Comune perché l’annullamento del giudice amministrativo ha impedito che il normale iter procedimentale si completasse, per cui deve essere assunta una nuova delibera sulla destinazione urbanistica dell’area da portare all’attenzione della Regione.
Gli appellanti hanno nuovamente contestato la valutazione degli effetti dell’annullamento giurisdizionale, parziale, della delibera di approvazione regionale che ha introdotto modifiche al Piano adottato e che il TAR ha fatto propria.
Il Consiglio ha ritenuto l’appello fondato. Dunque, la proprietà degli appellanti non si trova all’interno di una zona bianca per effetto dell’annullamento delle modifiche regionali ad opera del TAR, ma deve ritenersi vigente la destinazione che era stata data in occasione dell’adozione del PRG. Oltretutto, il Consiglio ha ritenuto censurabile la condotta del Comune che, pur ritenendo che si fosse creata una zona bianca, non abbia avviato un procedimento per assegnare una destinazione urbanistica a quella porzione del suo territorio.
Per questi motivi, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha annullato il provvedimento impugnato con il ricorso di primo grado.