Con la sentenza n. 7291 del 19 agosto 2022, il Consiglio di Stato ha affermato che l’art. 36 del D.P.R. 380/2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità – con cui si consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile – richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, che al momento della presentazione della istanza di sanatoria, non potendosi accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenzialela cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza.
Tale approdo, che richiede la verifica della “doppia conformità”, deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità. Ne deriva che l’unico illecito sanabile è quello formale, dato dalla realizzazione di opere originariamente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile, abusive soltanto per la loro mancata sottoposizione al previo controllo amministrativo, da svolgere in sede di rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo (eventualmente anche in variante di un titolo precedentemente rilasciato).
I ricorrenti richiedevano al TAR Abruzzo l’annullamento dell’ordinanza comunale recante l’ordine di demolizione di una serie di opere abusive (alcune realizzate in difformità essenziale rispetto ad una precedente concessione edilizia assentita, altre eseguite in assenza di titolo abilitativo). Le parti hanno dedotto l’illegittimità dell’operato amministrativo, rilevando la necessità di applicare l’istituto della sanatoria giurisprudenziale, stante la conformità urbanistica ed edilizia delle opere rispetto alla normativa vigente al momento della presentazione della domanda. Il TAR ha rigettato il ricorso, ritenendo necessario il requisito della doppia conformità ai fini della sanatoria di opere abusive ex art. 36 del DPR 380/2001.
I ricorrenti hanno appellato la sentenza pronunciata dal TAR, deducendone l’erroneità per avere negato l’applicabilità della sanatoria giurisprudenziale.
Il Consiglio, richiamando alcuni precedenti amministrativi e costituzionali, ha dichiarato l’appello infondato. “L’articolo 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, nel disciplinare l’accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di opere realizzate in assenza di titolo edilizio, ma conformi alla normativa applicabile, richiede che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell’opera, sia al momento della presentazione della istanza di sanatoria, non potendosi affatto accogliere l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale, la cui attuale praticabilità è stata da tempo esclusa dalla giurisprudenza medesima. Tale approdo, che richiede la verifica della “doppia conformità”, deve considerarsi principio fondamentale nella materia del governo del territorio, in quanto adempimento finalizzato a garantire l’assoluto rispetto della disciplina urbanistica ed edilizia durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 agosto 2021, n. 5948).
L’esigenza di tutela sottesa all’art. 36 del D.P.R. 380/2001 è quella di evitare interventi repressivi, qualora l’illecito in concreto commesso sia lesivo del solo interesse pubblico (strumentale) della sottoposizione al previo controllo amministrativo dell’attività edilizia, senza alcuna violazione della disciplina sostanziale regolante l’attività di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio. In tali ipotesi, è ammessa la permanenza delle opere abusive, mediante la formazione postuma del titolo edilizio idoneo a sanare l’abuso (formale) precedentemente commesso. Attraverso la sanatoria, dunque, si ripristina la legalità formale violata, rilasciando all’istante il medesimo titolo edilizio che lo stesso avrebbe ben potuto ab origine acquisire, alla luce della disciplina vigente al momento non solo della presentazione della domanda di sanatoria, ma anche della realizzazione delle opere.
Il Consiglio ha ritenuto, dunque, di dare seguito al costante orientamento per cui l’istituto della c.d. sanatoria giurisprudenziale deve considerarsi normativamente superato nonché recessivo rispetto al chiaro disposto normativo vigente ed ai principi connessi al perseguimento dell’abusiva trasformazione del territorio; il permesso in sanatoria è quindi ottenibile soltanto ex art. 36, a condizione che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento sia della realizzazione del manufatto, sia della presentazione della domanda; viceversa, con la invocata sanatoria giurisprudenziale viene in rilievo un atto atipico con effetti provvedimentali praeter legem che si colloca fuori d’ogni previsione normativa e, pertanto, la stessa non è ammessa nell’ordinamento positivo, contrassegnato invece dal principio di legalità dell’azione amministrativa e dal carattere tipico dei poteri esercitati dalla P.A., alla stregua del principio di nominatività, poteri che non sono surrogabili dal giudice, pena la violazione del principio di separazione dei poteri e l’invasione di sfere proprie di attribuzioni riservate alla P.A.
L’incompatibilità della sanatoria giurisprudenziale con il dettato normativo di cui all’art. 36 discende altresì da argomenti interpretativi letterali e logico-sistematici.
Sul piano letterale, l’art. 36 richiede chiaramente la conformità dell’intervento edilizio abusivo “alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”, con la conseguenza che l’unico illecito sanabile è quello formale, dato dalla realizzazione di opere originariamente conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia all’uopo applicabile, abusive soltanto per la loro mancata sottoposizione al previo controllo amministrativo, da svolgere in sede di rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo (eventualmente anche in variante di un titolo precedentemente rilasciato). Opere, invece, difformi ab origine dal quadro regolatorio di riferimento non potrebbero essere ammesse a sanatoria, dando luogo ad un abuso sostanziale, da sanzionare attraverso l’ordine di demolizione e di riduzione in pristino ex artt. 31 c. 3, 33 c. 1, 34 c. 1 del DPR 380/2001, richiamati dallo stesso art. 36.
Sul piano teleologico, come precisato dalla Corte Costituzionale, il requisito della doppia conformità riveste importanza cruciale nella disciplina edilizia, imponendo che “La conformità alla disciplina edilizia e urbanistica deve essere salvaguardata “durante tutto l’arco temporale compreso tra la realizzazione dell’opera e la presentazione dell’istanza volta ad ottenere l’accertamento di conformità” (Corte cost., 28 gennaio 2022, n. 24). Difatti, “costituisce principio fondamentale della materia governo del territorio la verifica della c.d. “doppia conformità” di cui al menzionato art. 36 t.u. edilizia” (Corte cost., 21 aprile 2021, n. 77), con la conseguenza che il requisito della doppia conformità non potrebbe essere derogato neppure dalla legislazione regionale. Il giudice costituzionale, nel richiamare la giurisprudenza amministrativa, ha pure valorizzato “la ratio ispiratrice della previsione della sanatoria in esame, «anche di natura preventiva e deterrente», finalizzata a frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture «sostanzialiste» della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità” (Corte cost., 29 maggio 2013, n. 101). Si conferma, dunque, che il requisito della doppia conformità risulta strettamente correlato alla natura della violazione edilizia sottostante, potendo riferirsi agli abusi meramente formali, afferenti ad opere sin dall’origine conformi alla disciplina edilizia e urbanistica.