Sulla configurabilità del silenzio-assenso in caso di permesso di costruire in zona vincolata, di Fabio Cusano

Con sentenza 21 novembre 2023, n. 9969, il Consiglio di Stato, sez. IV, ha affermato che a fronte del previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, il diniego di attestazione del decorso dei termini per il rilascio del permesso di costruire emesso dal Comune sull’assunto della assoluta inconfigurabilità del silenzio-assenso in zona vincolata rappresenta una errata applicazione del comma 8 dell’art. 20 del D.P.R. 380/2001 ed una illegittima limitazione dell’operatività dell’istituto del silenzio-assenso. Sono infatti così frustrate le finalità di semplificazione e di accelerazione dell’agire amministrativo alla base della stessa disposizione normativa, nonché le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche all’origine delle più recenti modifiche apportate ad essa ed alla L. n. 241 del 1990.

Secondo l’appellante, con l’art. 20 comma 8 del d.P.R. n. 380 del 2001, il legislatore avrebbe escluso in radice, in presenza di vincoli paesaggistici, idrogeologici, ambientali o culturali, qualsiasi operatività del silenzio-assenso per la formazione del permesso di costruire, stabilendo l’assoluta impossibilità di integrazione del titolo per silentium anche in caso di avvenuto conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica da parte del richiedente e di apparente “superfluità” della conferenza di servizi – da intendersi, a suo dire, come semplice modulo procedimentale non in grado di influire in alcun modo, nonostante la sua specifica funzione, sull’interpretazione della disciplina in esame.

Alla base dell’esclusione della possibilità stessa di formazione del permesso di costruire per silenzio-assenso nella fattispecie in questione ci sarebbe la necessità, imposta dal legislatore in tutte le ipotesi di area soggetta a uno dei vincoli predetti, di conclusione del procedimento attraverso un provvedimento espresso, a garanzia di una adeguata “consapevolezza” dell’Amministrazione nella determinazione da assumere.

Proprio in base alla suddetta ratio, la regola così stabilita non potrebbe trovare alcuna deroga in materia di rilascio di permesso di costruire – a differenza di quanto espressamente previsto in tema di condono edilizio dai commi 19 e 20 dell’art. 35 della l.n. 47 del 1985 (che ammettono, a certe condizioni, la formazione del titolo abilitativo per silentium anche in zona vincolata, dettando, però, non a caso, una disciplina speciale al riguardo, comprensiva della decorrenza del relativo dies a quo dal conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica).

Il Comune ha, poi, sostenuto l’esistenza, nella fattispecie in questione, di un altro insormontabile ostacolo alla formazione del silenzio-assenso, che non sarebbe stato in alcun modo considerato dal TAR nella sentenza impugnata, costituito dalla mancanza della conformità urbanistico-edilizia dell’intervento progettato.

Il requisito della conformità urbanistico-edilizia, che avrebbe dovuto essere specificamente provato dal soggetto richiedente, non solo non sarebbe stato mai concretamente allegato dall’appellato nella sua istanza, ma sarebbe risultato del tutto carente nel progetto presentato, come rilevato dall’Amministrazione stessa nel preavviso di diniego – documento non prodotto agli atti del giudizio di primo grado a causa della mancata costituzione del Comune dinanzi al TAR – con conseguente erroneità, anche sotto tale profilo, della sentenza appellata.

Ad avviso del Consiglio, tali censure risultano in parte infondate.

Nella fattispecie in questione il richiedente il permesso di costruire in variante, facendo uso di una specifica facoltà messa a sua disposizione dalla legislazione regionale, aveva già ottenuto l’autorizzazione paesaggistica, rilasciatagli direttamente dal medesimo Comune, che in essa aveva attestato la compatibilità ambientale e paesaggistica dell’intervento, come modificato, con l’unico vincolo gravante sull’area.

L’odierno appellato aveva, quindi, allegato l’autorizzazione stessa alla propria istanza, la cui pratica si presentava dunque, a quel momento, “completa” dal punto di vista dell’acquisizione dei nulla osta, pareri e assensi necessari e dunque della rappresentazione di tutti gli interessi pubblici da salvaguardare, ai fini della decisione dell’Amministrazione comunale.

Dinanzi alle peculiarità del caso così descritte, il diniego di attestazione emesso dal Comune sull’assunto della assoluta inconfigurabilità del silenzio-assenso per il solo fatto della pertinenza dell’intervento ad area soggetta a vincolo rappresenta, come già rilevato dal TAR, una errata applicazione del comma 8 dell’art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001 ed una illegittima limitazione dell’operatività dell’istituto del silenzio-assenso, che producono l’effetto abnorme di frustrare le finalità di semplificazione e di accelerazione dell’agire amministrativo alla base della stessa disposizione normativa citata, nonché le esigenze di certezza delle situazioni giuridiche all’origine delle più recenti modifiche apportate ad essa ed alla legge n. 241 del 1990.

Né a diverse conclusioni può giungersi attraverso il confronto con la disciplina speciale dettata dalla legge n. 47 del 1985 in materia di condono, come tale dotata di una propria autonoma ratio, o attraverso la dequotazione del significato e della funzione della conferenza di servizi richiamata dall’art. 20 del d.P.R. n. 380 del 2001, utilizzata dall’Amministrazione comunale anche nel provvedimento di conferma del diniego di attestazione e poi nelle difese articolate in appello a giustificazione dell’esclusione dell’operatività del silenzio-assenso. Tale modulo procedimentale trova, infatti, la sua ragion d’essere nella concreta necessità di acquisire assensi e nulla osta di altri enti affidatari di interessi pubblici coinvolti nell’azione amministrativa, e dunque di un’esigenza che, nell’ipotesi in questione, risultava ab origine superata, così da trasformare il più complesso iter prospettato nella risposta del Comune in un irragionevole aggravio del procedimento.

In conclusione, l’appello è stato respinto.