L’annullamento del permesso di costruire per errore del progettista, di Paolo Urbani

Con sentenza 17 novembre 2023, n. 9879, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che sussiste la responsabilità risarcitoria del Comune che annulla in autotutela un permesso di costruire che non poteva essere rilasciato, ancorché ridotta ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., qualora per un verso il Comune con colpevole negligenza non si avveda di un vincolo autostradale che risultava dagli atti; e per altro verso la parte privata, per mezzo del proprio progettista, attesti erroneamente l’inesistenza di vincoli.

I ricorrenti hanno ottenuto dal Comune il permesso di costruire con il quale è stata, tra l’altro, assentita l’installazione di un manufatto in legno su un’area confinante con un tratto autostradale. Successivamente, però il Comune ha adottato il provvedimento con il quale – vista la nota di Autostrade per l’Italia s.p.a. in cui aveva comunicato il proprio contrario avviso in ordine all’installazione del manufatto, in quanto ubicato all’interno della fascia di rispetto autostradale – ha disposto l’annullamento del titolo edilizio in precedenza accordato, limitatamente al medesimo manufatto e ne ha contestualmente ingiunto la demolizione.

Ritenendo l’atto illegittimo, i ricorrenti lo hanno impugnato. L’adito Tribunale ha respinto il ricorso.

Avverso la sentenza hanno proposto appello i ricorrenti.

Ad avviso del Consiglio, l’appello merita parziale accoglimento.

Deve ritenersi che il Tribunale, dopo aver rilevato “un’obiettiva negligenza degli uffici”, nel non avvedersi del vincolo autostradale gravante sull’area degli appellanti, abbia, correttamente, ravvisato una corresponsabilità di costoro nell’indurre in errore il comune circa l’esistenza del detto vincolo.

E invero, da una parte il comune non poteva ignorare l’esistenza del vincolo, e anzi sicuramente non la ignorava, tenuto conto che con delibera aveva stabilito di procedere alla correzione degli elaborati grafici allegati allo strumento urbanistico che, per l’appunto, classificavano erroneamente il tratto autostradale confinante con il lotto d’intervento, per cui è indubbio il grave difetto di istruttoria sulla base del quale è stato rilasciato il permesso di costruire, circostanza, questa, che, tenuto conto dell’inescusabilità dell’errore commesso, induce il Collegio a ritenere integrato l’elemento psicologico della colpa (Cons. Stato, Sez. VI, 8/9/2020, n. 5409; Sez. IV, 4/2/2020, n. 909).

Dall’altra parte, la richiesta di permesso di costruire reca l’asseverazione del progettista incaricato in ordine alla conformità del manufatto alla normativa edilizia urbanistica in vigore, comprendente, nello specifico, anche la dichiarazione di assenza di vincoli impeditivi dell’edificazione, il che, per l’appunto, determina il rilevato concorso di responsabilità nel provocare l’errore che ha portato al rilascio del titolo edilizio.

Il giudice di prime cure, tuttavia, non ha tratto dalle proprie affermazioni le dovute conseguenze sul piano giuridico.

Nel descritto contesto, infatti, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 1227, comma 1, del cod. civ., in base al quale: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”.

Alla luce di quanto più sopra esposto in punto di fatto, e in considerazione del principio espresso dalla trascritta norma del codice civile (che è ripresa e sviluppata dall’art. 30, comma 3, c.p.a., in particolare attraverso la precisazione secondo cui “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti”), deve ritenersi che la condotta della parte privata e quella del Comune abbiano avuto la medesima incidenza causale nel determinare il rilascio del titolo edilizio illegittimo successivamente annullato.

Conseguentemente il Comune dev’essere condannato, ex art. 1227, comma 1, cod. civ., a risarcire la metà del danno subito dai ricorrenti.

Costoro, in linea con la natura precontrattuale della responsabilità configurabile nella fattispecie, hanno chiesto la liquidazione delle spese sostenute per costruire il manufatto e di quelle necessarie per la sua demolizione e per la rimessione in pristino (c.d. interesse negativo).

Le spese sostenute successivamente a tale data non possono, infatti, essere rimborsate ai sensi dell’art. 1227, comma 2, del cod. civ. secondo cui “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.

Ugualmente non possono essere riconosciute le spese di demolizione, atteso che, dalle non smentite affermazioni dell’amministrazione comunale, la struttura è, tuttora, esistente, non essendo stata demolita.

È, infine, da risarcire quanto speso per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione.

L’appello è stato, pertanto, parzialmente accolto.