Sul silenzio-assenso nella domanda di condono, di Fabio Cusano

Con sentenza 1 febbraio 2024, n. 1991, il TAR Lazio, Roma, sez. II stralcio, ha ribadito che in tema di abusi edilizi e sanatorie, perché possa formarsi il silenzio-assenso su un’istanza di condono edilizio, il termine di ventiquattro mesi decorre dalla presentazione della medesima domanda, a condizione che la stessa risulti completa in ogni sua parte. Inoltre, il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio-assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta, in quanto la mancanza di taluno di questi impedisce in radice che possa avviarsi il procedimento di sanatoria, in cui il decorso del tempo è mero co-elemento costitutivo della fattispecie autorizzativa.

La ricorrente ha edificato un manufatto abusivo e ha chiesto al Comune il provvedimento di condono edilizio ai sensi del D.L. n. 269 del 2003; all’esito del procedimento, il Comune ha denegato la sanatoria edilizia sul presupposto, inter alia, che “il manufatto abusivo (deposito agricolo) non ricade nelle categorie di opere sanabili ai sensi dell’art. 32 c. 25 del D.L. 30/09/2003 n. 269, convertito con modificazioni dalla L. 24.11.2003 n. 326, dove si precisa che la sanatoria è ammissibile per le nuove costruzioni residenziali”, tenuto anche conto che pure in base alla legislazione regionale applicabile (legge Regione Lazio n. 12 del 2004) la sanabilità delle nuove costruzioni abusive è limitata alle sole costruzioni a destinazione residenziale.

Con l’odierno ricorso, la ricorrente richiede l’annullamento del provvedimento di diniego.

Il ricorso è infondato e va quindi respinto.

In proposito, il Collegio ritiene corretta l’interpretazione fornita dal Comune circa la latitudine operativa dell’art. 32, comma 25, del decreto-legge n. 269/2003 convertito in legge n. 326/2003, il quale dispone che «Le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dall’articolo 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, e successive modificazioni e integrazioni, nonché dal presente articolo, si applicano alle opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003 e che non abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 metri cubi. Le suddette disposizioni trovano altresì applicazione alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3.000 metri cubi».

La giurisprudenza amministrativa, all’esito di un’interpretazione letterale, logica e sistematica della suddetta disposizione ha precisato che il condono edilizio previsto ai sensi dall’art. 32 del decreto-legge n. 269/2003 convertito in legge n. 326/2003, si applica unicamente in presenza di nuove costruzioni che abbiano destinazione residenziale, non essendo ammissibile, tra l’altro, in presenza di una normativa eccezionale, postulare una sua interpretazione analogica (cfr. Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 12 dicembre 2012, n. 6381).

Orbene, il Collegio reputa di non doversi discostare da tale approdo ermeneutico, rispettoso della lettera legislativa che riferisce la norma condonistica – e dunque di carattere eccezionale – alle «nuove costruzioni residenziali», escludendo per tal via, a contrario, le nuove costruzioni non residenziali come quella a carattere agricolo pacificamente realizzata dalla ricorrente.

In proposito, va recisamente esclusa qualsiasi interpretazione di tipo estensivo e a fortiori di tipo analogico, sia in quanto si verte in materia di condono, che è istituto paradigmaticamente e strutturalmente eccezionale, con conseguente applicazione del canone ermeneutico recato dall’art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, sia in quanto la voluntas legis è evidentemente nel senso di escludere i nuovi edifici non residenziali, atteso che per l’ampliamento di precedenti manufatti il legislatore non ha fatto distinzioni tra tipi di immobili, mentre ha espressamente ristretto l’area della condonabilità per le nuove costruzioni.

Osserva il Collegio, inoltre, che secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza amministrativa (da ultimo Cons St. 8 agosto 2023 sez. VI n. 7678), perché possa formarsi il silenzio-assenso su un’istanza di condono edilizio, il termine di ventiquattro mesi decorre dalla presentazione della medesima domanda, a condizione che la stessa risulti completa in ogni sua parte (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 marzo 2022, n. 1813).

Inoltre, il titolo abilitativo tacito può formarsi per effetto del silenzio-assenso soltanto se la domanda di sanatoria presentata possegga i requisiti soggettivi e oggettivi per essere accolta, in quanto la mancanza di taluno di questi impedisce in radice che possa avviarsi il procedimento di sanatoria, in cui il decorso del tempo è mero co-elemento costitutivo della fattispecie autorizzativa (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 27 luglio 2015, n. 3661).

Nel caso di specie, la domanda di sanatoria presentata dalla ricorrente difetta, ictu oculi, di uno dei presupposti legali per il rilascio della sanatoria edilizia, atteso che il manufatto de quo consiste in una nuova costruzione non residenziale.

Tanto basta, quindi, a respingere anche il primo motivo di ricorso.

Per tutto quanto sopra esposto, pertanto, il ricorso va respinto in quanto infondato.