Sui poteri di vigilanza del Comune sulla CILA, di Fabio Cusano

Con sentenza del 23 dicembre 2023, n. 3180, il TAR Lombardia, Milano (sez. II), ha ribadito che, poiché la CILA, di cui all’art. 6-bis, D.P.R. 380/2001, è uno strumento di liberalizzazione dell’attività edilizia e, diversamente dalla SCIA, non è soggetta a controllo sistematico dell’amministrazione entro termini perentori, non può ritenersi che questa si consolidi ove non prontamente inibita. Pertanto, il Comune può – e deve – ricorrere ai poteri di vigilanza e di repressione degli abusi, come si desume dallo stesso art. 6-bis laddove fa salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia.

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento con cui il Comune di Milano ha respinto un’istanza di rilascio del permesso di costruire in sanatoria, ex art. 36 d.p.r. 380/2001, relativamente ad alcuni interventi su un fabbricato di sua proprietà, ordinandone altresì la demolizione.

Ad avviso del ricorrente, il Comune avrebbe travisato l’essenza delle opere oggetto di sanatoria.

In motivo è destituito di fondamento. L’apposizione di serramenti sulla facciata della tettoia ne ha determinato la chiusura, trasformandola in un ambiente chiuso, in estensione dell’abitazione principale, come correttamente evidenziato dal Comune nel provvedimento avversato. Pertanto, l’opera – quand’anche considerata nel solo tassello dell’apposizione degli infissi sulla facciata (i.e. della chiusura integrale del locale) – configura un ampliamento del fabbricato, dunque una nuova costruzione ex art. 3, lett. e.1, d.p.r. 380/2001. Di conseguenza, risultano pienamente conferenti i rilievi effettuati dal Comune sulla normativa in materia di distanze e luci, destinate ad applicarsi, per l’appunto, alle nuove costruzioni.

Per di più, l’opera abusiva non si riduce alla chiusura della sola facciata della tettoia. In realtà, come esposto, già prima il ricorrente aveva eretto due muri perimetrali, senza ottenere alcuna autorizzazione comunale. Questi ultimi interventi non possono considerarsi assentiti per mezzo della CILA, richiedendo, per converso, il permesso di costruire, in quanto incidenti stabilmente sulla sagoma e sui prospetti dell’edificio (Cons. Stato, Sez. IV, 26 settembre 2022, n. 8238; Id., Sez. VII, 23 febbraio 2023, n. 1876). Giacché la CILA, di cui all’art. 6 bis d.p.r. 380/2001, è uno strumento di liberalizzazione dell’attività edilizia e, diversamente dalla SCIA, non è soggetta a controllo sistematico dell’amministrazione entro termini perentori, non può ritenersi che questa si consolidi ove non prontamente inibita, il comune potendo – e dovendo – ricorrere ai poteri di vigilanza e di repressione degli abusi, come del resto implicato nello stesso art. 6 bis d.p.r. 380/2001, laddove fa salve «le prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia» (cfr. Cons. Stato, Comm. Spec., 4 agosto 2016, n. 1784; Id., Sez. IV, 23 aprile 2021, n. 3275; T.A.R. Milano, Sez. II, 24 febbraio 2022, n. 462; T.A.R. Napoli, Sez. IV, 11 luglio 2022, n. 4625).

In definitiva, l’opera da sanare, attraverso un permesso di costruire ex art. 36 d.p.r. 380/2001, comprende tutti gli interventi progressivamente realizzati per chiudere la tettoia, rendendola uno spazio abitabile in ampliamento del fabbricato originario. Costituisce, del resto, ius receptum che gli interventi edilizi non possono essere considerati in via atomistica e parcellizzata, occorrendo invece recuperare una visione d’insieme che ne metta in risalto il collegamento funzionale e l’impatto complessivo sull’assetto urbanistico del territorio (Cons. Stato, Sez. VI, 12 settembre 2017, n. 4322; T.A.R. Napoli, Sez. VII, 12 giugno 2018, n. 3915; Id., Sez. II, 30 aprile 2020, n. 1607; T.A.R. Torino, 26 luglio 2022, n. 693).

L’ulteriore doglianza mira a contestare i rilievi ostativi sollevati dal Comune, in relazione alle distanze e alle luci.

Anche questo motivo è infondato. Il provvedimento impugnato poggia su due rilievi ostativi autonomi, l’uno concernente le distanze del manufatto dal confine lungo il lato sud del fondo, l’altro afferente all’irregolarità delle luci aggettanti sul fondo sul confine nord. Trattandosi di un atto plurimotivato, l’eventuale fondatezza anche solo di uno dei tasselli motivazionali conduce al rigetto del ricorso, senza necessità di analizzare le restanti ragioni addotte dall’amministrazione (Cons. Stato, Sez. V, 22 luglio 2017, n. 5473; Id., Sez. IV, 28 giugno 2021, n. 4873; Id., Sez. II, 16 giugno 2022, n. 4939).

Ebbene, il rilievo in materia di distanze è corretto e risulta ex se ostativo all’accoglimento dell’istanza di sanatoria.

Pertanto, il ricorso è stato rigettato.