Il silenzio sull’istanza di sanatoria vale come rigetto, di Fabio Cusano

Con sentenza del 13 novembre 2023, n. 9696, il Consiglio di Stato (sez. II) ha ribadito che il silenzio della P.A. sulla richiesta di concessione in sanatoria e sull’istanza di accertamento di conformità di cui all’art. 36 del D.P.R. 380/2001 ha un valore legale tipico di rigetto e costituisce pertanto un’ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego. Inoltre la circostanza che l’Amministrazione abbia attivato un’istruttoria sull’istanza di sanatoria non impedisce la formazione del silenzio-rigetto, che si perfeziona anche qualora il relativo procedimento sia pendente, per essere stato aperto e mai concluso da un provvedimento espresso che superi tale intervenuto espresso diniego, non potendosi attribuire alla mera pendenza del procedimento alcun valore di atto tacito di revoca del silenzio diniego che si verifica solo con la pronuncia (non intervenuta) di accoglimento della sanatoria. Ne discende che, una volta formatosi per silentium il provvedimento di diniego, l’ordinanza di demolizione delle opere abusive precedentemente adottata riacquista efficacia e obbliga il destinatario all’esecuzione.

L’appellante chiede la riforma della sentenza che ha accolto il ricorso proposto dai ricorrenti avverso il silenzio serbato dal Comune sull’istanza diretta all’esecuzione dell’ordinanza di demolizione di uno scivolo abusivamente realizzato sul terreno adiacente alla loro proprietà. Invero il Tar adito ha accertato l’obbligo dell’amministrazione di provvedere, rilevando che l’ordinanza di demolizione aveva riacquistato efficacia a seguito della formazione del silenzio diniego sull’istanza di sanatoria presentata dalla società appellante.

Ad avviso del Consiglio, l’appello è infondato.

La vicinitas, quale criterio di individuazione della legittimazione ad agire, esprime lo stabile collegamento tra un determinato soggetto e il territorio o l’area sul quale sono destinati a prodursi gli effetti dell’atto contestato. Lo stabile collegamento deve quindi essere valutato -nella prospettiva della legittimazione- in considerazione degli effetti che il provvedimento (o anche la mera inerzia dell’amministrazione, come nel caso di specie) è suscettibile di produrre nella sfera giuridica del ricorrente e non può essere ristretto al mero confine tra fondi. Per tale ragione la circostanza che tra il cantiere gestito dalla società e il terreno di proprietà dei ricorrenti si interponga il fondo di proprietà di un terzo non fa venir meno lo stabile collegamento quale presupposto della vicinitas e della conseguente legittimazione ad agire degli interessati.

Del pari infondata è la censura relativa al difetto di interesse a ricorrere per la mancata prova del pregiudizio cagionato dallo scivolo e dall’attività di cantiere poiché l’interesse ad agire, quale condizione dell’azione, deve essere declinato in termini di mera prospettazione della lesione, mentre l’effettiva prova della lesione lamentata attiene alla fase successiva del merito. Come chiarito dall’Adunanza Plenaria n. 22/2021 la verifica dell’interesse a ricorrere deve essere condotta pur sempre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che “la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione” ma non anche che “abbia subito” una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite.

Con il secondo motivo di appello la società deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che, una volta decorso il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 36 del DPR n. 380/2001, la pubblica amministrazione decade dal potere di proseguire il procedimento amministrativo di sanatoria in ragione dell’avvenuta formazione del silenzio diniego. Precisa che il termine di sessanta giorni contemplato dal comma 3 dell’art. 36 d.p.r. 380/2001 “non è quello previsto per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria edilizia, piuttosto vale per la pronuncia di diniego motivata da parte del comune”, mentre è facoltà dell’Amministrazione di definire l’iter della domanda in tempi maggiori rispetto ai sessanta giorni anzidetti.

Il motivo è infondato. L’assunto difensivo, secondo cui il decorso del termine di sessanta giorni contemplato dall’art. 36 d.p.r. 380/2001 rileverebbe ai soli fini dell’obbligo di motivazione del diniego, non solo è smentito dal dato letterale del citato art. 36 comma 3 (il quale dispone che “Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata”), ma priva di ogni utilità la previsione in esame laddove intesa nel senso che il silenzio serbato oltre il termine, lungi dall’integrare un provvedimento tacito di diniego, assolverebbe alla mera funzione di esonerare l’amministrazione dall’obbligo di motivare un provvedimento sfavorevole tardivamente adottato. Al riguardo è sufficiente richiamare il costante orientamento della giurisprudenza secondo cui il silenzio della p.a. sulla richiesta di concessione in sanatoria e sull’istanza di accertamento di conformità di cui all’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001 ha un valore legale tipico di rigetto e costituisce pertanto un’ipotesi di silenzio significativo al quale vengono collegati gli effetti di un provvedimento esplicito di diniego (cfr., ex multis, Cons. Stato Sez. VI, 15/03/2023, n. 2704; id., 15/03/2023, n. 2704).

È stato altresì osservato che la circostanza che l’Amministrazione abbia attivato un’istruttoria sull’istanza di sanatoria non impedisce la formazione del silenzio-rigetto, che si perfeziona anche qualora il relativo procedimento sia pendente, per essere stato aperto e mai concluso da un provvedimento espresso che superi tale intervenuto espresso diniego, non potendosi attribuire alla mera pendenza del procedimento alcun valore di atto tacito di revoca del silenzio diniego che si verifica solo con la pronuncia (non intervenuta) di accoglimento della sanatoria (Cons. Stato Sez. VI, 07/01/2022, n. 61). 10.5 Ne discende che, una volta formatosi per silentium il provvedimento di diniego, l’ordinanza di demolizione delle opere abusive precedentemente adottata riacquista efficacia e obbliga il destinatario all’esecuzione.

Da ultimo, giova osservare che i ricorrenti non hanno chiesto l’annullamento di un titolo edilizio rilasciato alla controinteressata per opere realizzate sul fondo confinante o adiacente- cosa che li avrebbe onerati della tempestiva proposizione dell’istanza di accesso agli atti e dell’altrettanto tempestiva impugnazione degli atti così conosciuti entro il termine decadenza di cui agli artt. 29 e 41 c.p.a.- ma l’accertamento dell’illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione per il quale rileva il diverso termine previsto dall’art. 31 comma 2 c.p.a. Nel caso di specie, peraltro, l’istanza era volta a sollecitare un potere repressivo di un abuso edilizio, il cui esercizio ha natura vincolata e non è soggetto ad alcun termine di legge (Ad Plen 9/2017).

In definitiva l’appello è stato respinto.