Il vincolo di tutela paesaggistica interessa tutto il Centro Storico di Roma, di Fabio Cusano

Con sentenza 30 novembre 2023, n. 17967, il TAR Lazio, Roma (sez. II-quater) ha l’esigenza di una protezione “rafforzata”, sotto il profilo paesaggistico, dei siti UNESCO, con particolare riferimento al Centro Storico di Roma, in considerazione del significato che assume l’inclusione nella Lista del Patrimonio Mondiale.

La “Verdi, Ambiente e Società – APS” (di seguito anche “V.A.S.”) è un’associazione di protezione sociale riconosciuta con Decreto del Ministero dell’Ambiente. La medesima annovera, tra le sue finalità statutarie, la “tutela e valorizzazione dei beni storico-culturali”, con lo scopo di “promuove(re) e favori(re) il recupero e la valorizzazione del patrimonio ambientale, naturalistico, paesistico, architettonico, monumentale, storico e culturale del paese, delle sue Regioni, delle sue autonomie e realtà locali e del suo mare”. Detta Associazione riferisce di essere venuta a conoscenza, nell’anno 2020, di alcuni interventi eseguiti dalla Società Finleonardo s.p.a. nel cortile interno dello stabile denominato “Palazzo Bracci”, ubicato nel Centro Storico di Roma, all’intersezione tra Via del Corso e Via della Fontanella e attualmente conosciuto come “Casa di Goethe” (sede dell’omonimo museo), in zona dichiarata dall’UNESCO Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Tali interventi erano stati oggetto di una serie di SCIA, presentate a Roma Capitale per opere ivi qualificate di “Restauro e Risanamento conservativo”, in assenza della preventiva autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza Speciale Archeologica Bella Arti e Paesaggio di Roma.

La V.A.S. chiedeva pertanto alla suddetta Soprintendenza di verificare i vizi di legittimità degli interventi realizzati nel cortile di Palazzo Bracci e di esercitare in caso affermativo “il potere di autotutela adottando i dovuti provvedimenti del caso”. Non avendo ricevuto riscontro alla propria istanza, l’associazione presentava un sollecito alla Soprintendenza; la Soprintendenza forniva risposta espressa alla richiesta della VAS, ritenendo di non dover esercitare il potere di “annullamento in autotutela” per gli interventi edilizi realizzati nel cortile, in quanto l’edificio di cui trattasi (privo di “elementi architettonici di pregio”) non è sottoposto a tutela ai sensi del d. lgs. n. 42/2004 e i “progetti a rilevanza esterna” erano assistiti da alcuni “pareri consultivi” rilasciati dallo stesso organo ministeriale ai sensi dell’art. 24 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Roma.

La VAS ha adito il TAR per l’annullamento di tale nota.

Il gravame è parzialmente meritevole di accoglimento.

La questione meritevole attiene all’esistenza o meno di un vincolo di tutela paesaggistica interessante il Centro Storico di Roma, ai sensi della Parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio, nel cui perimetro ricade il “Palazzo Bracci”, con la conseguente obbligatorietà (o meno) di subordinare gli interventi edilizi da realizzarsi alla preventiva autorizzazione paesaggistica giusta il disposto dell’art. 146 del Codice.

Ebbene, tale vincolo deve ritenersi esistente.

Come noto, la “tutela del paesaggio” rappresenta un valore presidiato a livello costituzionale (cfr. art. 9 Cost.), quale interesse pubblico dotato di primario rilievo, e trova la propria regolamentazione, a livello legislativo, nella parte III del d. lsg. n. 42/2004 (cd Codice dei beni culturali e del paesaggio).

L’art. 134, co. 1, lett. c) del citato d. lgs. n. 42/2004 stabilisce che “Sono beni paesaggistici (…) c) gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell’articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156”.

Il prefato art. 136 a sua volta prevede, al co. 1, lett. c), che sono sottoposti alle disposizioni del Titolo I della Parte III del Codice (rubricato “Tutela e valorizzazione”, artt. da 131 a 159) “i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici”, in ragione del “loro notevole interesse pubblico”.

Si precisa che la locuzione “inclusi i centri ed i nuclei storici” è stata introdotta ad opera del d. lgs. n. 63 del 2008, con cui il legislatore ha recepito la prassi di porre il vincolo di tutela su interi centri storici, quali “complessi monumentali che vengono tutelati in quanto in essi si fondono mirabilmente l’espressione della natura e quella del lavoro umano, frutto della creatività artistica”, basata su un’ipotesi peculiare “che ha fatto parlare di «beni ambientali urbanistici» come categoria a sé stante, e che, nel tempo, ha portato all’imposizione di centinaia di vincoli aventi ad oggetto interi centri storici” (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 21 giugno 2006, n. 3733, che cita in tal senso la Relazione al Codice dei beni culturali e del paesaggio sub art. 136).

Ai sensi dell’art. 143, co. 1, lett. d) d. lgs. n. 42/2004, è demandata al piano paesaggistico territoriale (P.T.P.R.) la “individuazione di ulteriori immobili od aree, di notevole interesse pubblico a termini dell’articolo 134, comma 1, lettera c), loro delimitazione e rappresentazione in scala idonea alla identificazione, nonché determinazione delle specifiche prescrizioni d’uso, a termini dell’articolo 138, comma 1”.

Il P.T.P.R. adottato, nel dare attuazione alla disposizione di cui al citato l’art. 143, co. 1, lettera d), ha individuato i beni del “patrimonio identitario regionale”, tra cui gli “Insediamenti urbani storici e relativa fascia di rispetto”, includendovi anche il Centro Storico della Capitale.

Quanto sin qui rappresentato sembrerebbe già per sé tranchant al fine di ritenere sussistente un vincolo di tutela paesaggistica sull’intera area de qua, trattandosi di un bene tipizzato ai sensi dell’art. 136, co. 1, lett. c) d. lgs. n. 42/2004 e graficizzato come tale nelle tavole del P.T.P.R. adottato, e dunque centro storico di “notevole interesse pubblico”.

L’argomentazione su cui la Soprintendenza fa leva, nella gravata nota, per negare tale assunto si fonda sul disposto dell’art. 43 delle N.T.A. del medesimo P.T.P.R., dedicato agli “Insediamenti urbani storici e relativa fascia di rispetto”: tale disposizione al comma 15 testualmente prevede(va) che “Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli insediamenti urbani storici ricadenti fra i beni paesaggistici di cui all’art.134 comma 1 lettera a) del Codice, per i quali valgono le modalità di tutela dei “Paesaggi” e alle parti ricadenti negli insediamenti storici iscritti nella lista del Patrimonio dell’Unesco (Roma – centro storico, Tivoli – Villa d’Este e Villa Adriana, Necropoli etrusche di Tarquinia e Cerveteri) per i quali è prescritta la redazione del Piano generale di gestione per la tutela e la valorizzazione previsto dalla “Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale” firmata a Parigi il 10 novembre 1972 ratificata con legge 6 aprile 1977 n. 184 e successive modifiche ed integrazioni”. L’organo ministeriale ne fa derivare la conclusione che “il Palazzo non è ricadente nell’art. 136 del Codice”, disconoscendo, in sostanza, l’esistenza di un vincolo paesaggistico.

Senonché, la disposizione del P.T.P.R. qui in esame tutt’al più va interpretata nel senso di escludere soltanto l’applicabilità, nei confronti dei siti storici urbani UNESCO, tra cui espressamente va annoverato quello di “Roma – centro storico”, delle prescrizioni di tutela dalla medesima contemplate per la generalità dei “centri storici” del Lazio, demandando la relativa regolamentazione ad un atto ad hoc (Piano di gestione).

L’art. 43, comma 15, invece, non può essere inteso nel senso fatto proprio dalla Soprintendenza, ossia quale previsione atta, di per sé, ad escludere in radice l’area di cui trattasi dal vincolo di tutela paesaggistica ai sensi del d. lgs. n. 42/2004. Trattasi, infatti, di un’interpretazione che, in primo luogo, si pone in contrasto con il quadro legislativo di cui si è sopra dato conto, che esprime una chiara scelta di campo nel senso della salvaguardia dei centri storici che presentino un interesse pubblico “notevole”, da leggersi in combinazione con la graficizzazione contenuta nelle Tavole del P.T.P.R., in cui figura anche il Centro Storico della Capitale, con la conseguenza che negare l’esistenza di un vincolo paesaggistico gravante su tale area significherebbe, di fatto, disapplicare tali previsioni e disconoscere un interesse siffatto, laddove, viceversa, questo è stato chiaramente riconosciuto. In secondo luogo, tale lettura si appalesa illogica, abnorme e irragionevole, nella misura in cui esclude dall’operatività del vincolo beni che necessitano di una protezione addirittura rafforzata, quali sono i siti storici inclusi nella Lista UNESCO: trattasi, infatti, di realtà dotate di un pregio culturale, storico e paesaggistico rilevantissimo, tale da travalicare la dimensione “nazionale” per assurgere addirittura a Patrimonio Mondiale, e dunque valore condiviso dall’intera umanità.

Del resto, la ratio dell’esclusione di cui al citato comma 15 va individuata proprio nell’esigenza di approntare specifiche prescrizioni di tutela, diversificate rispetto a quelle “generalizzate” valevoli per la restante parte dei centri storici della Regione, proprio al fine di tener conto della rilevante peculiarità (meglio sarebbe a dire “unicità”) dei siti UNESCO.

A tal proposito soccorre, ancora una volta, la disciplina di fonte primaria contenuta nel Codice dei beni culturali e del paesaggio, come novellata per effetto del sopra citato d. lgs. n. 63/2008: con tale decreto è stato, tra l’altro, modificato l’art. 135 in materia di “Pianificazione paesaggistica”, con l’espressa previsione secondo cui “Per ciascun ambito i piani paesaggistici definiscono apposite prescrizioni e previsioni ordinate in particolare: (…) d) alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio, in funzione della loro compatibilità con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati, con particolare attenzione alla salvaguardia dei paesaggi rurali e dei siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO”.

Emerge in maniera inequivocabile la volontà, da parte del legislatore, di tutelare al massimo grado proprio i beni inclusi nella Lista UNESCO, demandando ai piani territoriali regionali il compito di dettare specifiche prescrizioni d’uso, semmai ancora più stringenti di quelle adottate con riferimento agli ulteriori beni paesaggistici: in tal senso deve essere inteso il riferimento alla “particolare attenzione” da prestarsi in tali ipotesi, e ciò al fine di orientare adeguatamente lo sviluppo del tessuto urbanistico ed edilizio in cui i medesimi si innestano, in maniera tale da evitare il rischio di compromissione di aree che sono dotate di un altissimo pregio paesistico-storico-culturale per il loro eccezionale e straordinario valore identitario, tale da rappresentare un unicum a livello addirittura planetario (l’inclusione della Lista, infatti, costituisce riconoscimento ufficiale di un “Valore Eccezionale Universale” o “Outstanding Universal Value – OUV”).

Tali previsioni derivano da un preciso obbligo internazionale, cogente ai sensi dell’art. 117 Cost., atteso che la “Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale”, firmata a Parigi il 10 novembre 1972 e ratificata dall’Italia con legge 6 aprile 1977, n. 184, obbliga lo Stato di appartenenza ad assicurarne la salvaguardia avvalendosi anche dei contributi economici e tecnici messi a disposizione dall’Unesco (oltretutto, sul piano internazionale è meritevole di menzione anche la Convenzione europea del Paesaggio firmata a Firenze il 20 Ottobre 2000, ratificata con legge 9 gennaio 2006, n. 14, che fa del paesaggio il prodotto della interrelazione tra fattori naturali e umani, qualificandolo come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”, quale “elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della vita quotidiana”).

Del resto, il menzionato d. lgs. n. 63/2008 è stato emanato in attuazione dell’art. 10 della legge delega 6 luglio 2002, n. 167 (come modificato ad opera dell’art. 1 della legge 23 febbraio 2006, n. 51), il quale annovera tra i principi e criteri direttivi proprio l’”adeguamento alla normativa comunitaria e agli accordi internazionali”.

Non può fondatamente ritenersi, dunque, che il Centro Storico di Roma, iscritto nella Lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO, non sia qualificabile quale “bene paesaggistico” ai sensi e per gli effetti della parte III del Codice del 2004, a meno di non voler “sposare” interpretazioni assolutamente devianti rispetto alle coordinate chiaramente tracciate a livello sovranazionale, costituzionale e legislativo.

Alla luce di tutto quanto sopra rilevato il Collegio non può che dare continuità all’indirizzo già espresso da questa Sezione con le sentenze n. 5757 del 29 maggio 2020 e n. 9688 del 22 settembre 2020, che sottolineano anch’esse l’esigenza di una protezione “rafforzata”, sotto il profilo paesaggistico, dei siti UNESCO, con particolare riferimento proprio al Centro Storico di Roma, in considerazione del significato che assume l’inclusione nella Lista del Patrimonio Mondiale.

In particolare, la sentenza n. 9688/2020 precisa che “l’inserimento di un bene nella «lista del patrimonio mondiale» non viene operata d’ufficio dall’UNESCO, ma avviene sulla base della richiesta dello Stato interessato, che, a mezzo del Ministero competente alla tutela dei beni culturali e paesaggistici, sottopone ad un apposito Comitato intergovernativo la richiesta di includere un bene presente nel suo territorio nella predetta lista in considerazione del suo valore «assolutamente eccezionale per l’Umanità intera»”.

Né mai il piano paesaggistico territoriale potrebbe comunque derogare ad una ben precisa scelta legislativa (che si è visto essere peraltro attuativa di obblighi internazionali), quale è quella di salvaguardare i siti rientranti nel Patrimonio Mondiale con imposizione di un vincolo paesaggistico, in ragione della sua collocazione gerarchicamente subordinata nonché della circostanza che tale atto è tenuto a “fotografare” i beni paesaggistici esistenti a livello regionale, ivi compresi quelli “ex lege”, e dunque ha valenza meramente “ricognitiva”.

In tal senso vedasi anche l’obbligo, gravante sulla Regione, di adeguare le perimetrazioni e i contenuti del P.T.P.R. alle previsioni di cui all’art. 143 del Codice, che impongono la “ricognizione” dei beni paesaggistici, come variamente individuati, e la disciplina delle specifiche prescrizioni d’uso (cfr. art. 156 d. lgs. n. 42/2004, nonché art. 26 L.R. n. 24/1998, secondo cui “In caso di contrasto delle perimetrazioni dei PTP o del PTPR (…) con l’effettiva esistenza dei beni sottoposti a vincolo ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettera c) del d.lgs. 42/2004 e successive modifiche, come risultano definiti e accertati dal PTPR, la Regione, nel rispetto degli articoli 143, comma 2 e 156, comma 3 del d.lgs. 42/2004 e successive modifiche, procede all’adeguamento delle perimetrazioni del PTPR secondo le procedure previste dalla presente legge per l’approvazione del PTPR, con i termini ridotti alla metà”): ciò a riprova del fatto che il P.T.P.R. non potrebbe comunque discostarsi dalla fonte normativa.

In conclusione, l’art. 43, comma 18 del P.T.P.R. Lazio adottato nel 2007 non può interpretarsi nel senso di escludere dal vincolo paesaggistico ex art. 136, co. 1, lett. c) d. lgs. n. 42/2004 il Centro Storico di Roma.

Da quanto sopra emerge, conseguentemente, che gli interventi edilizi che si intendano intraprendere su immobili ricompresi in luoghi o siti iscritti nella menzionata Lista UNESCO, tra cui quelli oggetto dell’istanza inoltrata dalla VAS (interessanti l’area cortilizia interna di Palazzo Bracci), devono necessariamente essere subordinati alla preventiva autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 d. lgs. n. 42/2004, quale “atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio” (cfr. comma 4).

Tale provvedimento, come noto, è reso dall’autorità competente dopo avere acquisito il “parere vincolante” della Soprintendenza, ai sensi del comma 5: il disposto normativo, dunque, subordina chiaramente il titolo autorizzatorio all’espressione di un parere preventivo, da rendersi nel termine di legge di 45 giorni, non limitato ad una verifica di mera legittimità ma contenente anche una valutazione di merito in ordine alla compatibilità paesaggistica delle opere progettate, frutto di una “cogestione” del vincolo paesaggistico da parte dell’organo ministeriale e dotato di portata cogente e insuperabile.

Soccorre, ancora una volta, quanto chiarito dalla Sezione con la menzionata sent. n. 9688/2020, in cui è stato precisato che la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Roma è l’organo periferico dell’Amministrazione statale dei beni culturali “competente a rilasciare l’autorizzazione di cui all’art. 146 del d.lgs. 42/2004” per gli interventi edilizi da effettuarsi nel Centro Storico di Roma, autorizzazione necessaria per qualunque opera che interessi beni culturali o paesaggistici o ambientali, e puntualizzando che “il Ministero dei Beni Culturali ha un ruolo decisivo non solo nella fase di «imposizione del vincolo» – formulando la relativa proposta al Comitato UNESCO – ma anche nella fase successiva di «gestione del vincolo», (…) in sede di rilascio dell’autorizzazione di cui agli art. 21 e 146 del d.lgs. 42/2004 (Codice Beni Culturali) e di cui all’art. 25 della LR 24/1998, necessaria per effettuare interventi edilizi rispettivamente sui beni culturali e paesaggisti. Ciò vale sia se tali beni siano di interesse meramente «nazionale», siano essi di rilevanza «mondiale» in quanto iscritti nella lista dell’UNESCO ai sensi della «Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale», firmata a Parigi il 10 novembre 1972 e ratificata con legge 6 aprile 1977, n. 184. Si tratta di un complesso combinato di norme poste da fonti di livello internazionale, nazionale e regionale, che sanciscono un ordine di competenze e di valori che non possono essere modificati né dall’art. 24 co. 19 delle NTA del nuovo PRG del Comune, né dalle Intese siglate dall’Ente Locale e dal Ministero il 8.9. 2009”.

Ne consegue che non può in alcun modo equipararsi a detto parere vincolante quello, meramente “consultivo”, previsto dall’art. 24, co. 19 delle N.T.A. del P.R.G. di Roma Capitale: quest’ultimo, seppure obbligatorio (così espressamente lo qualifica il comma 12 della medesima disposizione, cui rinvia il citato comma 19, con la precisazione che, per la parte di Città storica interna alle Mura Aureliane dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’umanità, la competenza a pronunciarsi non è del “Comitato per la qualità urbana e edilizia”, bensì della Soprintendenza statale per i beni architettonici e per il paesaggio per il Comune di Roma), è sguarnito di forza cogente, potendo essere “disatteso” dall’amministrazione capitolina.

Del resto, che il parere di cui trattasi è privo di tale natura lo testimonia chiaramente il tenore letterale delle note con cui la Soprintendenza, ai sensi della sopra citata previsione urbanistica, si è espressa favorevolmente sugli interventi oggetto delle SCIA presentate dalla controinteressata, evidenziando come “Il presente parere discende esclusivamente dalla valutazione a titolo consultivo della compatibilità dell’intervento con i caratteri storico-architettonici e tipologici dell’edificio in cui esso verrà effettuato e con il contesto della città storica”.

Ne consegue che i suddetti pareri, tra cui i due espressamente richiamati nel gravato provvedimento, non suppliscono al doveroso e vincolante accertamento di compatibilità paesaggistica che la Soprintendenza è tenuta ad effettuare ai sensi della disciplina di tutela dettata dalla Parte III del Codice del 2004.

Peraltro, il gravato provvedimento nemmeno considera il disposto dell’art. 10, comma 2 N.T.A. del P.T.P.R. adottato, che pure era stato espressamente citato nella corposa relazione acclusa all’istanza della VAS, secondo cui “l’autorizzazione paesistica è obbligatoria per i progetti delle trasformazioni dei luoghi ricadenti nei beni paesaggistici tipizzati e individuati dal PTPR e nelle relative fasce di rispetto a decorrere dalla data di pubblicazione sul BURL del PTPR adottato”.

In conclusione, il ricorso è stato parzialmente accolto.