Piano di recupero in zone urbanizzate, di Paolo Urbani

Con sentenza 1° settembre 2023, n. 8141, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che i piani di recupero urbanistico sono strumenti pianificatori attuativi che assolvono ad una funzione “riparatoria” del tessuto urbano, fronteggiando una situazione creatasi in via di fatto e tenendo conto, oltre alla esigenza di recupero dei nuclei abusivi, anche delle generali esigenze di pianificazione del territorio comunale. In particolare, i piani di recupero costituiscono lo strumento individuato dal legislatore per attuare il riequilibrio urbanistico di aree degradate o colpite da più o meno estesi fenomeni di edilizia “spontanea” e incontrollata, legittimati, appunto, ex post. L’esistenza di una edificazione disomogenea non solo giustifica la previsione urbanistica che subordina la modifica dei luoghi alla emanazione del piano di recupero, ma impone che questo piano vi sia e sia concretamente attuato, per restituire ordine all’abitato e riorganizzare il disegno urbanistico di completamento della zona. Ne deriva che non è possibile ipotizzare una deroga all’obbligo dello strumento attuativo anche nelle zone significativamente urbanizzate.

I ricorrenti sono proprietari di un fabbricato. Il suolo su cui sorge il fabbricato, realizzato in assenza di titolo abilitativo, ricade in zona AR1 (Comparti di recupero urbanistico) come indicato dall’attuale PRG.

Gli appellanti inoltravano al Comune, ai sensi dell’art. 36 D.P.R. 380/2001, una richiesta di permesso di costruire in sanatoria.

Il Comune rigettava l’istanza motivando che “trattasi di edificio con destinazione d’uso residenziale e relative pertinenze ricadente in zona Z.T.O. AR1 – Comparti di Recupero Urbanistico, la cui edificazione è subordinata alla redazione dei Piani di Recupero ex l. n. 47/85”. Pertanto, l’Amministrazione concludeva che, in assenza di detti piani, il PRG vigente consentiva solo: “interventi di recupero sull’esistente e divieto assoluto di edificazione sulle rimanenti aree esistenti”.

I ricorrenti impugnavano tale provvedimento innanzi al TAR, che respingeva il ricorso.

I ricorrenti hanno proposto appello.

Giova premettere che i piani di recupero urbanistico sono strumenti pianificatori attuativi che assolvono ad una funzione “riparatoria” del tessuto urbano, fronteggiando una situazione creatasi in via di fatto e tenendo conto, oltre alla esigenza di recupero dei nuclei abusivi, anche delle generali esigenze di pianificazione del territorio comunale (Cons. St., sez. II, sent. n. 6762/ 2020). In particolare, i piani di recupero costituiscono “lo strumento individuato dal legislatore per attuare il riequilibrio urbanistico di aree degradate o colpite da più o meno estesi fenomeni di edilizia “spontanea” e incontrollata, legittimati, appunto, ex post. Essi, cioè, hanno sì l’obiettivo di “recupero fisico” degli edifici, ma collocandolo in operazioni di più ampio respiro su scala urbanistica, in quanto mirate alla rivitalizzazione di un particolare comprensorio urbano” (cfr. Cons. Stato, sez. II, 17.05.2021, n. 3836).

L’esistenza di una “edificazione disomogenea” non solo giustifica la previsione urbanistica che subordina la modifica dei luoghi alla emanazione del piano di recupero, ma impone che questo piano vi sia e sia concretamente attuato, per restituire ordine all’abitato e riorganizzare il disegno urbanistico di completamento della zona (cfr., Consiglio di Stato sez. V, n. 5078/2014; Consiglio di Stato, sez. IV, n. 2470/2012).

Per tutto quanto esposto, non è possibile ipotizzare una deroga all’obbligo dello strumento attuativo anche nelle zone significatamene urbanizzate. In giurisprudenza, infatti, si è condivisibilmente affermato che il piano di recupero configura “lo strumento per attuare il riequilibrio nelle aree degradate e non è ipotizzabile che in tali aree, pur compromesse da fenomeni di urbanizzazione spontanea e incontrollata, il piano attuativo possa essere eluso con titoli edilizi singoli per costruire, pur attenendo questi ultimi a lotti prospicienti su aree urbanizzate e interclusi”, in quanto lo stesso “attiene non soltanto al recupero fisico degli edifici, ma anche e soprattutto rappresenta un’operazione complessa a scala urbanistica, che deve puntare alla rivitalizzazione di un comprensorio urbano”, con la conseguenza che “il piano attuativo è necessario non solo per i lotti interclusi insistenti in zone urbanizzate, ma anche per le aree (…) già compromesse da fenomeni di urbanizzazione spontanea e incontrollata”, e l’imposizione di una previa scelta di pianificazione urbanistica che condiziona e a cui sono subordinati gli interventi edificatori singoli trae la propria giustificazione (meglio sarebbe a dire la propria necessità) “proprio in considerazione del fatto che la zona in questione, in quanto già compromessa sotto l’aspetto urbanistico, ambientale e paesistico, abbia bisogno di necessari interventi di riqualificazione ambientale e paesistica” (cfr. Cons. St., Sez. V., 14.10.2014, n. 5078).

In particolare, “Il Piano di recupero può essere effettuato anche in zone di completa edificazione (…)”, posto che “la previsione della necessità di un piano di recupero mira proprio a far sì che tutte le modifiche della zona individuata si ispirino a criteri omogenei e a una ordinata modifica ed equilibrato sviluppo e assetto del territorio, per migliorare la vivibilità degli abitanti e per evitare uno sviluppo incontrollato senza attenersi alle regole volte al miglioramento dell’area. Come ha già rilevato questo Consiglio, l’esistenza di una ‘edificazione disomogenea’ non solo giustifica la previsione urbanistica che subordina la modifica dei luoghi alla emanazione del piano di recupero, ma impone che questo piano vi sia e sia concretamente attuato, per restituire ordine all’abitato e riorganizzare il disegno urbanistico di completamento della zona” (cfr., Cons. St., n. 5078/2014).

Pertanto, l’appello è stato respinto.