Il TAR Sardegna afferma la preminenza dell’interesse produttivo-energetico rinnovabile alla tutela del paesaggio, di Fabio Cusano

Con sentenza 6 novembre 2023, n. 844, il TAR Sardegna, sez. I, ha ribadito che occorre dare assoluta preminenza, quanto meno con riguardo agli impianti di piccole dimensioni, alle ragioni di sviluppo di impianti di produzione di energia rinnovabili piuttosto che alle esigenze di tutelare l‘aspetto paesaggistico.

La società energetica ha impugnato il provvedimento del Comune di Carbonia con il quale è stata dichiarata l’irricevibilità della D.I.L.A. – ex art. 4, comma 2-bis, del D.lgs. n. 28/2011 (introdotto dall’art. 12, comma 1-bis, della Legge 27 aprile 2022, n. 34) – per la costruzione e l’esercizio di un impianto fotovoltaico e della relativa linea di connessione alla RTN.

Detto ricorso prende le mosse dal nuovo art. 4, comma 2-bis, del D.lgs. n.28/2011 (introdotto dall’art. 12, comma 1-bis, della Legge 27 aprile 2022, n.34), il quale – per quanto qui rileva – ha previsto che nelle aree idonee identificate ai sensi dell’articolo 20 del D.lgs. n. 199/2021 i regimi di autorizzazione per la costruzione e l’esercizio di impianti fotovoltaici di nuova costruzione e delle opere connesse sono i seguenti: “per impianti di potenza fino a 1 MW: si applica la dichiarazione di inizio lavori asseverata per tutte le opere da realizzare su aree nella disponibilità del proponente”.

L’anzidetta previsione costituisce attuazione dell’affermazione di carattere generale contenuta nel 1° comma del medesimo art. 4, per il quale “Al fine di favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il conseguimento, nel rispetto del principio di leale collaborazione fra Stato e Regioni, degli obiettivi di cui all’articolo 3, la costruzione e l’esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono disciplinati secondo speciali procedure amministrative semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate, sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni singola applicazione”.

La richiamata novella legislativa, dunque, ha introdotto, a seconda delle dimensioni dell’impianto, regimi abilitativi semplificati in materia di energie rinnovabili, sul presupposto – peraltro – che l’intervento ricada in aree considerate (direttamente) dalla legge come “idonee” alla realizzazione di tali impianti.

Al fine di verificare l’applicabilità dell’invocata disposizione legislativa, dunque, incontestato che nella specie si tratti di impianto di potenza fino a 1MW, occorre verificare se il terreno indicato dalla proponente e destinato ad ospitare l’impianto ricada o meno nella categoria delle “aree idonee” ex art. 20 del D.lgs. n. 199/2021.

Il menzionato art. 20 stabilisce al 1° comma (per quanto qui rileva): “Con uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili, tenuto conto delle aree idonee ai sensi del comma 8”.

Il 3° comma precisa: “Ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettere a) e b), della legge 22 aprile 2021, n. 53, nella definizione della disciplina inerente le aree idonee, i decreti di cui al comma 1, tengono conto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualità dell’aria e dei corpi idrici, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, nonché di aree a destinazione industriale, artigianale, per servizi e logistica, e verificando l’idoneità di aree non utilizzabili per altri scopi, ivi incluse le superfici agricole non utilizzabili, compatibilmente con le caratteristiche e le disponibilità delle risorse rinnovabili, delle infrastrutture di rete e della domanda elettrica, nonché tenendo in considerazione la dislocazione della domanda, gli eventuali vincoli di rete e il potenziale di sviluppo della rete stessa”.

Malgrado il decorso del termine di 180 giorni indicato dal legislatore i menzionati decreti attuativi non sono stati ancora adottati.

Ad oggi, dunque, trova applicazione il regime transitorio dettato dal comma 8 dell’art. 20 citato, che ha previsto un regime intertemporale di aree considerate “idonee” ex lege.

In particolare, nell’attuale regime intertemporale, la fattispecie di cui all’art.20, comma 8, lett. c-ter (norma sulla base della quale è stata presentata la D.I.L.A. dalla ricorrente) presuppone espressamente che ai fini della qualificazione di “area idonea” alla installazione di fonti rinnovabili aventi la potenza suindicata sia necessaria la “assenza di vincoli ai sensi della parte seconda del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al Decreto legislativo 22.1.2004, n. 42” (ossia vincoli relativi a “beni culturali”, mentre la norma non menziona espressamente quelli di natura paesaggistica, a loro volta disciplinati dalla “Parte Terza” del D.Lgs. n. 42/04).

Proprio sulla specialità di tale disposizione legislativa si incentra la domanda caducatoria della società che assume di poter beneficiare del regime semplificato della DILA.

Ne consegue, sempre nell’assunto della ricorrente, che il progetto, inerente alla costruzione ed esercizio di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte solare fotovoltaica, di potenza pari a 0,99 MWp, sarebbe sottoposto alla disciplina della DILA e che lo sviluppo di tale progetto non possa essere impedito dal Comune per asserite esigenze di tutela paesaggistica.

Il Collegio ha ritenuto in via istruttoria di indagare la reale situazione dei luoghi sia in ordine alla effettiva presenza nel sito in questione del rio “Sa Benatzu Mannu”, dalla cui esistenza scaturirebbe il vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 143 del D.lgs. 42/2004, giacché l’intervento proposto ricadrebbe nella fascia di rispetto dei 150 metri dalle sue sponde, sia al fine di verificare l’effettiva esistenza nel sito di elementi tali da far ritenere in concreto l’area di pregio sotto il profilo paesaggistico.

Detto approfondimento istruttorio si era reso necessario in quanto, pur trovandoci oggi nel ricordato regime transitorio che tutela espressamente solo i vincoli relativi a “beni culturali”, il 3° comma dell’art. 20 in questione detta il principio generale che i decreti attuativi di identificazione delle zone idonee dovranno tener conto non solo “delle esigenze di tutela del patrimonio culturale” ma anche “del paesaggio”.

Non appare dunque condivisibile, in un corretto coordinamento tra i due commi della medesima disposizione, la tesi della ricorrente secondo la quale in regime transitorio potrebbe completamente prescindersi dal valore paesaggistico dell’area, occorrendo invece – al di là della sussistenza di un vincolo paesaggistico – una valutazione concreta del singolo caso in ordine a particolari evidenze paesaggistiche meritevoli di pregio, fermo rimanendo che l’esistenza di un vincolo paesaggistico nel sito non può costituire in via aprioristica un fattore impeditivo della realizzabilità dell’impianto.

Detta valutazione, nel caso in esame, è del tutto mancata da parte dell’ufficio comunale, che si è limitato alla mera affermazione dell’esistenza del vincolo quale elemento preclusivo al consolidamento della DILA.

Orbene, ad avviso del Collegio, al di là delle contestazioni della ricorrente in ordine alla ritualità della verificazione sia in quanto non tenutasi nel contraddittorio tra le parti, come pure richiesto dal Tribunale, sia in quanto svolta dal verificatore su risultanze cartacee senza un accertamento in fatto mediante sopralluogo, lo stato degli atti, come arricchito anche dalla consulenza tecnica di parte della ricorrente, le cui risultanze vanno rimesse al prudente apprezzamento dell’organo giudicante, conduce all’accoglimento del ricorso.

In primo luogo, infatti, deve osservarsi che allo stato non risulta chiaro se il rio “Sa Benatzu Mannu” scorra effettivamente in prossimità (e dunque entro la fascia di rispetto) del sito indicato dalla ricorrente per la realizzazione dell’impianto o se, come da quest’ultima sostenuto, la cartografia del PPR evidenzierebbe in realtà un piccolo canale di scolo (non pregiudicato dalla realizzazione dell’impianto) confluente nel rio “Sa Benatzu Mannu” che tuttavia scorrerebbe a una distanza ben maggiore dal sito.

In ogni caso la questione non può ritenersi decisiva perché – come detto – il dato testuale della norma speciale del ricordato regime transitorio non considera di per sé preclusiva la sussistenza di un vincolo paesaggistico ma solo quella “di vincoli ai sensi della parte seconda del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al Decreto legislativo 22.1.2004, n. 42” (ossia vincoli relativi a “beni culturali”).

La valenza paesaggistica dell’area, limitatamente agli impianti di piccole dimensioni come quello in esame, è tutelata dal coordinamento con il 3° comma dell’art. 20 che afferma, con riferimento ai decreti attuativi ma con indicazione – come detto – riferibile anche al regime transitorio, la necessità di “tener conto” delle esigenze di tutela del paesaggio, senza dunque che si possa addivenire ad una preclusione del regime semplificatorio individuato per i piccoli impianti in assenza di una concreta evidenza paesaggistica da tutelare.

In altre parole, nell’attuale fase emergenziale il bilanciamento complessivo degli interessi sottesi alla realizzazione degli impianti come quello in esame è stato operato direttamente dal legislatore, per dare assoluta preminenza alle ragioni di sviluppo di impianti di produzione di energia rinnovabili piuttosto che alle esigenze di tutelare l‘aspetto paesaggistico in aree – puntualmente identificate – già pregiudicate o comunque non di particolare pregio sotto tale punto di vista.

Né vi sono elementi per ritenere che la formulazione della norma sia il frutto non di una deliberata scelta legislativa ma di una imprecisa redazione della disposizione di legge, giacché in altre fattispecie disciplinate dallo stesso art. 20, comma 8, la presenza di vincoli di natura paesaggistica assume espressa rilevanza giuridica; in particolare, la distinta fattispecie “c-quater)” stabilisce l’inidoneità delle aree ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del D.lgs. n. 42/2004 (cioè sia tutela paesaggistica sia tutela afferente a “beni culturali”).

Deve dunque ritenersi che in questa fase interinale ed emergenziale il legislatore abbia optato, in virtù della straordinaria contingenza energetica, per dare assoluta preminenza, quanto meno con riguardo agli impianti di piccole dimensioni, alle ragioni di sviluppo di impianti di produzione di energia rinnovabili piuttosto che alle esigenze di tutelare l‘aspetto paesaggistico, quanto meno in aree già pregiudicate sotto tale punto di vista.

Orbene, al di là del rilievo formale evidenziato dal verificatore in ordine alla (contestata) esistenza di un vincolo determinato dalla presenza in prossimità del sito del rio “Sa Benatzu Mannu”, la documentazione fotografica in atti evidenzia una situazione paesaggistica del tutto priva di elementi meritevoli di tutela, non rinvenendosi elementi di pregio ed anzi evidenziandosi la presenza di ruderi di precedenti attività industriali o commerciali in stato di degrado, che oggettivamente deturpano tutta la zona circostante.

Non ricorrono, dunque, nella specie, le particolari evidenze di natura paesaggistica che, a prescindere dall’esistenza di vincoli formali, giustifichino la disapplicazione di un regime semplificatorio che a chiare lettere il legislatore ha voluto introdurre in materia di piccoli impianti di produzione di energia rinnovabili con la novella del 2022.

In conclusione, il ricorso merita accoglimento con annullamento, per l’effetto, del provvedimento impugnato.