L’autorizzazione unica per impianti agrivoltaici, di Fabio Cusano

Con sentenza 30 agosto 2023, n. 8029, il Consiglio di Stato, sez. IV, ha affermato che l’impianto agrivoltaico – impianto che combina produzione di energia elettrica e coltivazione agricola – non può essere assimilato ad un impianto fotovoltaico, il quale produce unicamente energia elettrica e non contribuisce alle ordinarie esigenze dell’agricoltura. Contrariamente a quanto accade nei progetti che utilizzano la metodica fotovoltaica, infatti, nell’agrivoltaico le esigenze della produzione agricola vengono soddisfatte grazie alla tecnica utilizzata che consente il recupero dei fondi e la coltivazione. Logico corollario della delineata differenza tra impianti agrivoltaici e fotovoltaici è quello secondo cui gli stessi non possono essere assimilati sotto il profilo del regime giuridico.

La società energetica ha presentato istanza per la realizzazione di un impianto agrivoltaico localizzato nel Comune di Brindisi.

Il Settore Ambiente della Provincia ha dato avvio al procedimento di VIA e ha indetto la Conferenza di Servizi in modalità asincrona per la valutazione del progetto in questione.

Nel corso del procedimento in conferenza di servizi, tra gli altri, sono pervenuti i seguenti pareri, tutti non favorevoli all’intervento: – ARPA; – Servizio Agricoltura della Regione Puglia; – Sezione Tutela e Valorizzazione del Paesaggio della Regione Puglia; – Comune di Brindisi; – Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio.

La Provincia di Brindisi ha pertanto comunicato che non autorizza il rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale per la realizzazione e l’esercizio dell’impianto in questione.

La società ha, quindi, impugnato i predetti atti negativi dinanzi al TAR, chiedendone l’annullamento.

Il giudice di primo grado ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento di diniego, muovendo dall’assunto di fondo della netta distinzione ontologica sussistente tra gli impianti agrivoltaici e quelli fotovoltaici.

Contro tale decisione la Provincia di Brindisi ha proposto appello chiedendo la riforma della sentenza impugnata.

L’agrivoltaico è un settore di recente introduzione e in forte espansione, caratterizzato da un utilizzo “ibrido” di terreni agricoli, a metà tra produzioni agricole e produzione di energia elettrica, che si sviluppa con l’installazione, sugli stessi terreni, di impianti fotovoltaici, che non impediscono tuttavia la produzione agricola classica. In particolare, mentre nel caso di impianti fotovoltaici il suolo viene reso impermeabile e viene impedita la crescita della vegetazione (ragioni per le quali il terreno agricolo perde tutta la sua potenzialità produttiva), nell’agrivoltaico l’impianto è invece posizionato direttamente su pali più alti, e ben distanziati tra loro, in modo da consentire alle macchine da lavoro la coltivazione agricola. Per effetto di tale tecnica, la superficie del terreno resta, infatti, permeabile e quindi raggiungibile dal sole e dalla pioggia, dunque pienamente utilizzabile per le normali esigenze della coltivazione agricola.

Alla luce di quanto osservato, non si comprende, pertanto, come un impianto che combina produzione di energia elettrica e coltivazione agricola (l’agrivolotaico) possa essere assimilato ad un impianto che produce unicamente energia elettrica (il fotovoltaico), ma che non contribuisce, tuttavia, neppure in minima parte, alle ordinarie esigenze dell’agricoltura.

Contrariamente a quanto accade nei progetti che utilizzano la metodica fotovoltaica, infatti, nell’agrivoltaico le esigenze della produzione agricola vengono soddisfatte grazie al recupero, da un punto di vista agronomico, di fondi che versano in stato di abbandono.

Logico corollario della delineata differenza tra impianti agrivoltaici e fotovoltaici è, come correttamente osservato dalla sentenza impugnata, quello secondo cui gli stessi non possono essere assimilati sotto il profilo del regime giuridico, come impropriamente ha fatto la Provincia nel procedimento conclusosi con il provvedimento di PAUR negativo.

In tale direzione è oramai orientata la prevalente giurisprudenza amministrativa di primo grado (cfr., TAR Bari, sent. n. 568/2022; nonché TAR Lecce, sentenze nn. 1799/2022 e 586/22, 1267/22, 1583/22, 1584/22, 1585/22, 1586/22) che ha ripetutamente annullato analoghi dinieghi assunti sulla base di una errata assimilazione dell’agro-voltaico al fotovoltaico.

Nel solco di tali indirizzi intrepretativi della giurisprudenza di primo grado si inscrive anche una recente decisione resa dal Consiglio in sede di appello cautelare (cfr., ord. n. 5480/2022).

Più in generale, il Consiglio non condivide l’assunto, contenuto nel parere negativo della Sezione Paesaggio, secondo cui “Il termine agrivoltaico o agrofotovoltaico non trova alcun riscontro nella normativa nazionale o regionale”, trovando esso una netta smentita sulla base di una attenta analisi del diritto positivo nazionale ed euro-unitario. L’art. 3 Reg. UE 2021/241, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza (attuato dall’Italia con il d. lgs. n. 77/21), pone tra i sei pilastri del Piano di resilienza (cfr. art. 3 lett. a Reg. cit.) la “transizione verde”. Il successivo art. 4 conferma, quale obiettivo del Piano di resilienza, il sostegno alla: “transizione verde, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi climatici dell’Unione per il 2030 stabiliti nell’articolo 2, punto 11, del regolamento (UE) 2018/1999, nonché al raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica dell’UE entro il 2050”. L’All. V al suddetto Reg. UE 2021/241 stabilisce (cfr. punto 2.5) che: “Il piano per la ripresa e la resilienza prevede misure che contribuiscono efficacemente alla transizione verde, compresa la biodiversità, o ad affrontare le sfide che conseguono da tale transizione, e tali misure rappresentano almeno il 37 % dell’assegnazione totale del piano di ripresa e resilienza”. L’All. VI al suddetto Reg. UE 2021/241 pone come coefficiente di calcolo del sostegno agli obiettivi in materia di cambiamenti climatici quello del 100%, cioè la misura massima assentibile.

L’art. 2.11, Reg. UE 2018/1999, sulla Governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima, afferma testualmente: “obiettivi 2030 dell’Unione per l’energia e il clima: l’obiettivo vincolante a livello unionale di una riduzione interna di almeno il 40 % delle emissioni di gas a effetto serra nel sistema economico rispetto ai livelli del 1990, da conseguire entro il 2030; l’obiettivo vincolante a livello unionale di una quota di energia rinnovabile pari ad almeno il 32 % del consumo dell’UE nel 2030”.

Coerentemente con le predette fonti di regolazione, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia ed il Clima (PNIEC) del dicembre 2019 persegue l’obiettivo generale di accelerare il percorso di decarbonizzazione e favorire l’evoluzione del sistema energetico da un assetto centralizzato ad uno basato principalmente su fonti rinnovabili, proponendosi di superare l’obiettivo del 30% di produzione energetica da tali fonti.

Se ne ricava che obiettivo assolutamente prioritario del PNIEC è quello del passaggio a forme di energie green. Ciò sulla base della considerazione che la politica energetica è strettamente correlata all’azione volta a contrastare il noto fenomeno del riscaldamento globale (global warming).

In linea con tali coordinate, il Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza (PNRR) dedica un apposito settore di intervento all’agrivoltaico. Vi si afferma che il Governo punta all’implementazione: “… di sistemi ibridi agricoltura-produzione di energia che non compromettano l’utilizzo dei terreni dedicati all’agricoltura, ma contribuiscano alla sostenibilità ambientale ed economica delle aziende coinvolte”.

A tal fine, il PNRR ha stanziato 2,6 miliardi di euro in favore delle energie rinnovabili, così ripartiti:

– € 1,1 miliardi destinati all’implementazione dell’agrivoltaico;

– € 1,5 miliardi destinati all’installazione di impianti fotovoltaici sui i tetti degli edifici agricoli.

L’attenzione specifica all’agrivoltaico è poi confermata dall’art. 65 co. 1-quinquies, d.l. n. 1/12, che ammette a finanziamento pubblico gli: “… impianti agrovoltaici che adottino soluzioni integrative innovative con montaggio dei moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione”.

Il 27 giugno 2022 il Ministero della Transizione Ecologica ha pubblicato le Linee Guida sull’agrivoltaico, le quali recano le seguenti definizioni:

– “Impianto agrivoltaico (o agrovoltaico, o agro-fotovoltaico): impianto fotovoltaico che adotta soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione” (art.1.1. lett d);

– “Impianto agrivoltaico avanzato: impianto agrivoltaico che, in conformità a quanto stabilito dall’articolo 65, comma 1-quater e 1-quinquies, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, e ss. mm.:

i) adotta soluzioni integrative innovative con montaggio dei moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche eventualmente consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione;

ii) prevede la contestuale realizzazione di sistemi di monitoraggio che consentano di verificare l’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, la continuità delle attività delle aziende agricole interessate, il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici” (art. 1.1 lett. e);

– “Sistema agrivoltaico avanzato: sistema complesso composto dalle opere necessarie per lo svolgimento di attività agricole in una data area e da un impianto agrivoltaico installato su quest’ultima che, attraverso una configurazione spaziale ed opportune scelte tecnologiche, integri attività agricola e produzione elettrica, e che ha lo scopo di valorizzare il potenziale produttivo di entrambi i sottosistemi, garantendo comunque la continuità delle attività agricole proprie dell’area” (art. 1.1 lett f).

Alla luce di quanto sin qui osservato, gli impianti agrivoltaici costituiscono una documentata realtà nell’attuale quadro ordinamentale, al punto che il legislatore statale, a certe condizioni, li ammette a finanziamento pubblico.

Il legislatore statale (cfr. art. 20 co. 1 d. lgs. n. 199/21, recante attuazione della direttiva UE 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili) ha espressamente stabilito che: “Con uno o più decreti del Ministro della transizione ecologica di concerto con il Ministro della cultura, e il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, da adottare entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabiliti principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili. …”.

In particolare, ai sensi del successivo comma 8 lett. c-quater, si prevede che: “Nelle more dell’individuazione delle aree idonee sulla base dei criteri e delle modalità stabiliti dai decreti di cui al comma 1, sono considerate aree idonee, ai fini di cui al comma 1 del presente articolo: … le aree che non sono ricomprese nel perimetro dei beni sottoposti a tutela ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, né ricadono nella fascia di rispetto dei beni sottoposti a tutela ai sensi della parte seconda oppure dell’articolo 136 del medesimo decreto legislativo. …”.

Il successivo art. 22 co. 1 lett. a) stabilisce che: “nei procedimenti di autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili su aree idonee, ivi inclusi quelli per l’adozione del provvedimento di valutazione di impatto ambientale, l’autorità competente in materia paesaggistica si esprime con parere obbligatorio non vincolante. Decorso inutilmente il termine per l’espressione del parere non vincolante, l’amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione”.

È pertanto di tutta evidenza la volontà del legislatore statale di creare un comune quadro normativo di riferimento, nella consapevolezza che soltanto in tal modo la politica energetica – che pure rientra tra le materie di legislazione concorrente – potrà seguire un indirizzo coerente con i sopra descritti obiettivi comunitari di decarbonizzazione e di neutralità climatica.

Dal che discende, anche sotto il profilo da ultimo esaminato, l’erroneità della riconduzione del progetto in esame all’ambito del fotovoltaico puro, come invece hanno fatto la Regione e la Provincia.

Del resto, come puntualmente rilevato nella sentenza impugnata, la stessa Regione Puglia, con DGR n. 1424/18, di aggiornamento del Piano energetico Ambientale Regionale (PEAR), ha dichiarato di voler adottare: “una strategia per l’utilizzo controllato del territorio anche a fini energetici facendo ricorso a migliori strumenti di classificazione del territorio stesso, che consentano l’installazione di impianti fotovoltaici senza consentire il consumo di suolo ecologicamente produttivo e, in particolare, senza precludere l’uso agricolo dei terreni stessi (ad esempio impianti rialzati da terra)” (cfr. All. 2 alla DGR n. 1424/18 cit, p. 76).

Ne discende che il Comitato VIA ha impropriamente ritenuto valutato il progetto agrivoltaico alla stregua dei criteri previsti per gli impianti fotovoltaici, che, per le ragioni evidenziate, mal si conciliano con le caratteristiche proprie degli impianti agrivoltaici.

Sulla base di tali coordinate va pertanto respinto il primo motivo di appello.

La sentenza impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dalla Provincia appellante, non ha affermato l’inapplicabilità dei vincoli previsti dal piano paesaggistico, ma si è limitata ad evidenziare il deficit che ha connotato l’istruttoria della Provincia, che, ad avviso del giudice di primo grado, “mostra di non aver adeguatamente considerato la qualificazione giuridica dell’area nonché la comprensione fattuale del quadro di riferimento”.

Il TAR Lecce ha, a tal proposito, rilevato che le linee guida di cui all’elaborato 4.4.1 (linee guida sulla progettazione e localizzazione di impianti di energie rinnovabili) non sono idonee (in quanto risalenti) a contemplare una tipologia progettuale, quale quella oggetto di esame, di recente sviluppo e implementazione tecnica.

Come puntualmente osservato dal giudice di prime cure, il legislatore statale ha trovato un punto di equilibrio, tra valori costituzionali potenzialmente antagonisti, nell’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003, che disciplina il procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione unica per la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili.

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, la norma richiamata è volta, da un lato, a realizzare le condizioni affinché tutto il territorio nazionale contribuisca all’aumento della produzione energetica da fonti rinnovabili, sicché non possono essere tollerate esclusioni pregiudiziali di determinate aree; e, dall’altro lato, a evitare che una installazione massiva degli impianti possa vanificare gli altri valori coinvolti, tutti afferenti la tutela, soprattutto paesaggistica, del territorio (ex pluribus, sentenze n. 224 del 2012, n. 308, n. 275, n. 192, n. 107, n. 67 e n. 44 del 2011, n. 366, n. 168 e n. 124 del 2010, n. 282 del 2009).

In particolare, il comma 10, del citato art. 12, dispone che le “Linee guida” devono essere approvate in Conferenza unificata, su proposta del Ministro delle attività produttive (oggi Ministro per lo sviluppo economico), di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le attività culturali, al fine di «assicurare un corretto inserimento degli impianti”.

La disposizione in esame prevede che le Regioni possano procedere soltanto alla individuazione dei siti non idonei all’installazione di specifiche tipologie di impianti in attuazione della normativa summenzionata, atteso che la ratio del criterio residuale deve essere individuata nel “principio di massima diffusione delle fonti di energia rinnovabili, derivante dalla normativa europea”.

Le predette “Linee guida” sono state adottate con il d.m. 10 settembre 2010, il quale, all’allegato 3 indica i criteri che le Regioni devono rispettare al fine di individuare le zone nelle quali non è possibile realizzare gli impianti alimentati da fonti di energia alternativa.

La Corte Costituzionale ha affermato (cfr., più di recente, sent. n. 177/2021; 77/2022; 121/2022) che il bilanciamento tra gli interessi in gioco deve essere effettuato in sede di adozione dell’atto di programmazione ai sensi del d.m. 10.9.2010 (ossia mediante l’individuazione delle c.d. aree non idonee).

Nel caso di specie il Progetto non ricade in area non idonea con la conseguenza per cui, nei suoi confronti, non è ravvisabile, a monte, alcun pregiudizio all’interesse paesaggistico, dal momento che la stessa Regione ha ritenuto che la specifica area non fosse caratterizzata da elementi tali da sconsigliare la realizzazione di impianti.

Nemmeno può rilevare, per giungere a diverse conclusioni, la questione della presenza nell’area di altri impianti.

In senso contrario occorre sottolineare che la Provincia muove dall’erronea premessa che valorizza, ai fini della valutazione di che trattasi, non solo gli impianti già realizzati, bensì, e par la maggior parte, impianti in corso d’esame.

L’impostazione della Provincia incontra, invero, l’obiezione per cui ogni nuova istanza verrebbe elisa dalla valutazione di altra istanza e così via.

Alla luce di quanto sin qui osservato emerge l’inconferenza dei richiami, contenuti nel provvedimento negativo di Paur, al fatto che il territorio di Brindisi sarebbe interessato da numerose istanze inerenti a impianti FER ovvero alla presenza di altri campi fotovoltaici (non agrivoltaici) nelle “vicinanze”, ragioni per le quali l’impianto proposto da Columns Energy S.p.A genererebbe un ulteriore “artificializzazione” dei luoghi.

Il principale vizio che inficia la prospettiva della Provincia appellante risiede, ancora una volta, nella ritenuta applicazione meccanicistica di indirizzi e direttive, contemplate dal PPTR in relazione agli impianti fotovoltaici, anche agli impianti agrivoltaici, così elidendone le strutturali differenze di fondo.

Il Consiglio ribadisce che il TAR non ha inteso affermare il principio della non applicabilità delle previsioni del Piano Paesaggistico ai progetti recanti l’utilizzo di tecniche agrivoltaiche, ma si è limitato, per un verso, a rilevare l’insufficienza dell’istruttoria condotta dalla Provincia in relazione alle peculiarità della proposta progettuale, e , per altro verso, a ritenere lo specifico Progetto esterno ai vincoli previsti dal PPTR, in particolare ritenendo che il Progetto proposto dalla società non ricade in area “non idonea”.

Muovendo da tale premessa il TAR ha tratto la ragionevole conclusione per cui, in relazione al progetto in esame, non sono ravvisabili pregiudizi all’interesse paesaggistico.

Ne consegue che, contrariamente a quanto ritenuto nell’atto di appello, la sentenza impugnata non ha disapplicato lo strumento di pianificazione paesaggistica, ma lo ha ritenuto in concreto non ostativo alla realizzazione dell’impianto agri-voltaico di che trattasi.

In relazione al motivo con cui si lamenta la violazione da parte della sentenza impugnata del principio del tempu regict actum, il Consiglio rileva che l’assunto è testualmente smentito dal paragrafo 20 della decisione di primo grado, nel quale si legge che “Fatte queste precisazioni, occorre tuttavia chiarire che il citato art. 20 co. 8 lett. c-quater d. lgs. n. 199/21 è stato introdotto con d.l. 17.5.2022 n. 50, ed è pertanto successivo sia alla presentazione del progetto, sia all’emanazione dell’atto impugnato (17.12.2021). Pertanto, è evidente che di esso non può tenersi conto in sede di esame della legittimità dell’atto impugnato.”.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Provincia, il Giudice di prime cure si è limitato a fare corretta applicazione del consolidato principio di diritto eurounitario secondo cui gli organi giurisdizionali devono, nella misura del possibile, interpretare il diritto interno (a prescindere dal fatto che si tratti di norme precedenti o successive alla direttiva) alla luce del testo e della finalità della direttiva da attuare al fine di raggiungere i risultati perseguiti da quest’ultima, privilegiando l’interpretazione delle disposizioni nazionali che è maggiormente conforme a tale finalità, per giungere così ad una soluzione compatibile con le disposizioni della direttiva (cfr. Cort. Giust. 4 luglio 2006, C-212/04, Adeneler e a.).

Sotto tale profilo va, infatti, ricordato che il citato D.lgs. n. 199/21 costituisce diretta attuazione della direttiva UE 2018/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2018, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, ed è dunque una norma di stretta attuazione di una previsione di diritto eurounitario.

Ed in effetti, diversamente da quanto sostenuto nell’atto di appello, prima dell’introduzione dell’art. 20 co. 8 lett. c-quater, D. lgs. n. 199/21 (per effetto del d.l. 17.5.2022 n. 50) non sussisteva alcun vuoto normativo.

La disciplina di riferimento in materia di fonti di energia rinnovabili era rinvenibile nei D.lgs. n. 387/2003 e n. 28/2011, rispettivamente di attuazione della direttiva 2001/77/CE e della direttiva 2009/28/CE.

Con la riforma del Titolo V della Costituzione l’attività di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” è stata inserita all’interno delle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente di cui all’art. 117, comma terzo, della Costituzione.

Con il D.lgs. n. 387/ 2003, così come modificato più volte a partire dal d.lgs. n. 28/2011, lo Stato, nell’esercizio della suddetta potestà legislativa concorrente, mira a promuovere l’utilizzo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili e a sviluppare impianti, sia di piccole che di grandi dimensioni, anche in zone non facilmente accessibili, prevedendo un costante monitoraggio dello stato di diffusione degli impianti e dei risultati raggiunti in materia di utilizzo delle energie rinnovabili.

Particolare importanza assume, nell’ambito del predetto D.lgs. n. 387/ 2003, l’art. 12 rubricato “Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative”, secondo cui le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili sono di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti, il quale prefigura il cd. “procedimento unico” per la costruzione e l’esercizio di siffatti impianti affidato alla Regione o a soggetto dalla stessa delegato e incentrato sulla convocazione della Conferenza dei Servizi e sul rilascio di un’autorizzazione cd. unica, con la precisazione, contenuta nel comma 6, che siffatta autorizzazione non può essere subordinata né prevedere misure di compensazione a favore delle Regioni e delle Province.

L’importanza che gli impianti in esame riveste per il legislatore è evidenziata nel comma 7 della predetta disposizione nel quale si prevede espressamente la possibilità di collocare gli impianti in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici.

Tra i criteri localizzativi dettati in sede statale, l’art. 12, comma 7, del d.lgs. n. 387/2003, stabilisce che “7. Gli impianti di produzione di energia elettrica, di cui all’articolo 2, comma 1, lettere b) e c), possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici. Nell’ubicazione si dovrà tenere conto delle disposizioni in materia di sostegno nel settore agricolo, con particolare riferimento alla valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità, così come del patrimonio culturale e del paesaggio rurale di cui alla legge 5 marzo 2001, n. 57, articoli 7 e 8, nonché del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, articolo 14”. Secondo il comma 10 della medesima disposizione”.

In coerenza con quanto previsto dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, il legislatore, in sede di recepimento della Direttiva 2018/2001 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, con l’obiettivo di facilitare la pianificazione e l’individuazione delle aree nelle quali collocare gli impianti destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili, ha stabilito, con il D.Lgs. 8 novembre 2021, n. 199, che, con uno o più decreti, il Ministero della transizione ecologica, di concerto con i Ministeri della cultura e delle politiche agricole e d’intesa con la Conferenza unificata, definisce i criteri necessari all’individuazione delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti da fonti rinnovabili. Le Regioni, quindi, nel rispetto dei criteri disposti dai decreti interministeriali, entro 180 giorni dall’entrata in vigore di questi ultimi, identificano con legge le aree idonee. Al comma 5 dell’art.20, D.Lgs. n. 199/2021, viene poi precisato che nell’individuazione delle superfici da ritenersi idonee devono essere privilegiate le soluzioni capaci di ridurre il più possibile l’impatto sull’ambiente e sul paesaggio, tenendo tuttavia a mente che gli obiettivi di decarbonizzazione da raggiungere entro il 2030, devono essere considerati vincolanti.

Al successivo comma 7, si puntualizza che le aree non ricomprese tra quelle idonee non devono per ciò solo essere considerate non idonee. Di talché, in sede di programmazione, le aree non espressamente qualificate idonee potrebbero comunque essere ritenute tali dalle Regioni o dalle Province.

Alla luce di quanto sin qui osservato, la sentenza di primo grado non ha, in definitiva, disapplicato il piano paesaggistico territoriale, ma ha valorizzato le predette fonti di regolazione, interpretandole in maniera conforme alle direttive euro-unitarie.

Dalla documentazione in atti, emerge che il Progetto in esame non ricade sotto alcun vincolo paesaggistico.

Alla luce di quanto precede, nel caso di specie si è in presenza di una fattispecie del tutto sovrapponibile a quella in relazione alla quale, recentemente, il Consiglio ha avuto modo di affermare che “l’impianto (c.d. agrivoltaico) di cui trattasi ricade in una zona: – non interessata da vincoli, ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, e, comunque, non classificata come inidonea ai sensi della disciplina vigente nella Regione Puglia, anche sotto il profilo della valutazione dei c.d. impatti cumulativi; – non interessata, in atto, da colture di pregio” (cfr., Cons. St., IV, ord. n. 5480/2022).

L’assunto in base al quale l’area in esame sarebbe contraddistinta da colture di pregio non trova conferma nelle risultanze istruttorie.

In generale, va rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dalla parte appellante, un impianto agrivoltaico, come già evidenziato, mira proprio ad adottare soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione.

Infine, non coglie nel segno il tentativo della Provincia di revocare in dubbio la natura agri-voltaica del progetto in disamina, in base alla considerazione per cui le linee guida ministeriali prescriverebbero, in relazione agli impianti in esame, una altezza minima dei moduli da terra pari a 210 cm.

In senso inverso va osservato che l’art., 1, lett. d) delle predette linee guida, senza operare alcun riferimento all’altezza minima dei moduli da terra, definisce l’agro-voltaico come “impianto fotovoltaico che adotta soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito di installazione”.

Infine, l’argomentazione della Provincia incorre nell’errore metodologico di considerare, ai fini della valutazione degli impatti cumulativi, anche gli impianti in corso di realizzazione mentre l’allegato VII al Testo Unico dell’Ambiente richiede che tale valutazione sia limitata solo ad “ad altri progetti esistenti e/o approvati”.

Infine, il richiamo, da parte della Provincia, al criterio A di cui alla DGR n. 162/2014 non appare pertinente rispetto al caso di che trattasi, avendo quest’ultima previsione lo scopo di prevenire il consumo di suolo derivante dalla installazione di impianti fotovoltaici a terra. Esso, pertanto, mal si attaglia alla fattispecie di un impianto agro-voltaico che si caratterizza per una decisa schermatura dell’area di riferimento e che, per tale ragione, non implica ulteriore consumazione di suolo, ma avendo come scopo quello di coordinare l’attività di produzione di energia e attività agricola.

Per le ragioni esposte l’appello è stato integralmente rigettato.