Ancora sull’onere della prova dell’ultimazione delle opere abusive in caso di condono, di Fabio Cusano

Con sentenza 5 settembre 2023, n. 8165, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha ribadito che l’ordine di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti previsti dalla legge, per l’esercizio del quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato. L’ordinanza non necessita dunque della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell’art. 7, L. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso. Inoltre, l’onere della prova della data di costruzione dell’immobile grava sul privato che presenta istanza di condono edilizio, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto. Tale orientamento è basato sul principio di vicinanza della prova, secondo il quale al fine di provare un fatto, l’onere della prova incombe sul soggetto che è più prossimo, vicino, alla fonte di prova.

Il ricorrente ha impugnato dinanzi al TAR Napoli le ordinanze con le quali l’Amministrazione comunale ha ingiunto la demolizione di opere abusive nonché dei provvedimenti recanti il rigetto delle domande di condono edilizio delle opere abusive sanzionate con le ordinanze di demolizione.

Il TAR ha respinto il ricorso, per cui il ricorrente ha interposto appello.

Ad avviso del Consiglio, l’appello è infondato.

Quanto ai provvedimenti di diniego del condono, in primo luogo, l’Amministrazione in sede procedimentale ha fatto riferimento a relazioni tecniche, da cui è possibile evincere che la domanda di condono edilizio è stata presentata priva di elementi essenziali come i dati relativi alla superficie oggetto di condono, del volume e della descrizione dell’abuso. Va da sé che, a fronte di siffatte carenze documentali, che non permettono di individuare il contenuto minimo della richiesta, nessun onere istruttorio può individuarsi in capo all’Amministrazione.

Ad ogni buon conto, il diniego è stato fondato anche sul presupposto, di per sé solo idoneo a legittimare l’adozione dell’atto, che le opere non risultano realizzate entro la data del 31 marzo 2003.

L’onere della prova della data di costruzione dell’immobile grava sul privato che presenta istanza di condono edilizio (cfr.: Cgars, 13 marzo 2023, n. 219; Cons. Stato, II, 4 gennaio 2021 n. 80, Cgars n. 8 marzo 2019, n. 225; Cons. Stato, VI, 17 maggio 2018, n. 2995).

Il Collegio, infatti, richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale, per cui grava sul privato l’onere di provare la data di realizzazione e la consistenza originaria dell’immobile abusivo, in quanto solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che possano radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto (cfr., per tutte, Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2019, n. 2115; Sez. VI, 3 giugno 2019, n. 3696; id., 5 marzo 2018, n. 1391).

Tale orientamento è basato sul principio di vicinanza della prova, essendo nella sfera del privato la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza, in quanto, relativamente ad un immobile realizzato in assenza di titoli edilizi, solo l’interessato può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza del carattere di sanabilità di un’opera edilizia, in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime normativo dello ius aedificandi, dovendosi, quindi, fare applicazione del generale principio processuale per cui la ripartizione dell’onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova (Cons. Stato Sez. VI, 25 maggio 2020, n. 3304).

Il Consiglio di Stato, ancora da ultimo, ha ribadito che l’onere di provare la data di realizzazione e l’originaria consistenza di un immobile di cui l’Amministrazione contesti l’abusività spetta a colui che ha commesso il contestato illecito edilizio, cosicché solo la deduzione, da parte di quest’ultimo, di concreti elementi di riscontro trasferisce il suddetto onere di prova contraria in capo all’Amministrazione (cfr. Cgars., 13 marzo 2023, n. 219; Cons. Stato, VI, 13 dicembre 2022, n. 10904).

In definitiva, come nel processo civile, anche il processo amministrativo si fonda sul generale principio desumibile dagli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e, al contempo, chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda., sicché la parte che contesta la legittimità di un provvedimento amministrativo deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.

Nella presente controversia, tale onere non è stato in alcun modo assolto dall’appellante, mentre, viceversa, l’Amministrazione ha sostenuto che i lavori sono stati effettuati dopo la data dell’8 agosto 2004.

Il Comune ha comunicato l’avvio del procedimento volto all’emissione del diniego dell’istanza di condono edilizio e, comunque, la natura vincolata dell’atto determinerebbe l’applicazione alla fattispecie dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, con conseguente non annullabilità dell’atto contestato.

Quanto alle ordinanze di demolizione, per ciò che concerne la mancata comunicazione di avvio del procedimento, è sufficiente ribadire che l’ordinanza di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti previsti dalla legge, per l’esercizio del quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato (cfr.: Consiglio di Stato, sez. VI, 11 maggio 2022, n. 3707, secondo cui: “l’attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell’art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso”; cfr., inoltre, Consiglio di Stato, sez. II, 1 settembre 2021, n. 6181: “al sussistere di opere abusive la pubblica amministrazione ha il dovere di adottare l’ordine di demolizione; per questo motivo, avendo tale provvedimento natura vincolata, non è neanche necessario che venga preceduto da comunicazione di avvio del procedimento”).

In ogni caso, trattandosi di procedimento vincolato, troverebbe applicazione l’art. 21-octies, comma 2, della L. n. 241/1990, posto che il provvedimento non potrebbe avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato, atteso anche che, secondo la costante e condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio, le garanzie procedimentali non possono ridursi a mero rituale formalistico, con la conseguenza che, nella prospettiva del buon andamento dell’azione amministrativa, il privato non può limitarsi a denunciare la lesione delle pretese partecipative, ma è anche tenuto ad indicare o allegare, specificamente, gli elementi, fattuali o valutativi, che, se introdotti in fase procedimentale, avrebbero potuto influire sul contenuto finale del provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 novembre 2022, n. 9541; Id., Sez. VI, 27 ottobre 2022, n. 9183; Id., Sez. VI, 27 aprile 2020, n. 2676; Id., Sez. VI, 29 febbraio 2019, n. 1405).

Per quanto concerne la doglianza relativa alla carenza di motivazione, occorre rilevare come l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 9 del 17 ottobre 2017, ha affermato i seguenti principi: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

Tali principi sono stati costantemente ed uniformemente ribaditi dalla giurisprudenza successiva, secondo cui l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, n. 4649/2023; Cons. Stato, sez. VI, n. 4319/2021), sicché non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico – diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata – idoneo a giustificare l’ordine di demolizione (Cons. Stato, sez. VI, n. 8808/2022).

Tali affermazioni valgono anche nel caso in cui l’ordine di demolizione sia adottato a notevole distanza di tempo dalla commissione dell’abuso, atteso che a fronte della realizzazione di un immobile abusivo non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela.

Per le ragioni esposte, l’appello è stato respinto.