Per un ecologia applicata nel verde

di 23 Febbraio 2004 Ambiente

Relazione di Giuseppe Campos venuti al Convegno "Una città per il verde"
Padova – Febbraio 2004

Verde in città per urbanistica e ambientalismo oggi

Faccio urbanistica da 50 anni: e da sempre mi occupo di ambiente e di verde.
Ma non sempre riesco a coniugare le mie esigenze urbanistico-ambientali con gli urbanisti e con gli ambientalisti.

Il mio presupposto è sempre stato quello che, per ragioni fruitive, paesaggistiche ed ecologiche, il verde in città è un fattore indispensabile in misura decisiva.
Dai conti che faccio ormai da 30 anni, ho constatato che le città tedesche, svedesi ed olandesi, hanno spesso oltre la metà della superficie urbana permeabile, cioè destinata a verde. Mentre le città emiliane, che da questo punto di vista in Italia sono le migliori, non arrivano ad un terzo; con il risultato di non contrastare deguatamente gli inquinamenti atmosferici e climatici, sempre più elevati.
La responsabilità di questa negativa situazione urbanistico-ambientale italiana, è della arretrata cultura dello sviluppo economico in generale, ma anche di una arretrata cultura disciplinare di urbanisti e di ambientalisti. La necessità di contrastare una rendita urbana assai potente, ha spesso suggerito anche ai migliori urbanisti italiani, non tanto compromessi, quanto soluzioni metodologiche sbagliate. Infatti, da un lato, la necessità di fare spazio al verde, ha spinto a concentrare in misura eccessiva l’edificabilità, tollerando tipologie edilizie di dimensioni macroscopiche, socialmente insopportabili. Dall’altro lato, ci si è limitati a pensare esclusivamente all’aspetto fruitivo del verde, previsto quindi soltanto su aree pubbliche; dimenticando invece l’aspetto ecologico ( e paesaggistico ) del verde, la cui realizzazione è altrettanto valida su aree private, aree che non costano alla comunità, per l’impianto come per la manutenzione, oggi assai onerosa.

Suolo agricolo e suolo urbano: una falsa alternativa

La sottovalutazione dell’aspetto ecologico del verde urbano, non solo ha drasticamente ridotto le possibilità di realizzarlo, ma ha creato una linea urbanistica distorta, apprezzata, purtroppo anche dagli ambientalisti, quella che combatte il cosiddetto “spreco di suolo “: cioè che contesta acriticamente il passaggio del suolo dall’uso agricolo all’uso urbano.
Linea questa,oggi doppiamente contestabile. Perché da un lato il valore ambientale di un suolo, dipende dal suo impianto vegetale: che può dare una resa ecologica assai superiore al generico uso agricolo, se ospita un prato permanente e una discreta quantità di alberature. Mentre dall’altro lato, in Italia l’agricoltura – forzata dalla politica agricola comunitaria – è molto idroesigente ( il 60%dell’acqua è impiegata per usi agricoli ); e presenta produzioni assistite, che fanno una indebita concorrenza a quelle dei paesi sottosviluppati, con un devastante risultato sull’economia mondiale.

Il problema, per la destinazione agricola come per quella urbana, è dunque quello della qualità ambientale, urbanistica ed economica e non quello della ideologica preferenza dell’una rispetto all’altra. Per la destinazione agricola, allora, la soluzione auspicabile è quella di produzioni poco idroesigenti ed economicamente non concorrenti con quelle dei paesi sottosviluppati. Per la destinazione urbana, è invece quella di percentuali di verde pari almeno alla metà dell’area totale, senza però che l’edificabilità concentrata sull’area restante superi i limiti di tolleranza sociale e funzionale; stimolando fortemente i privati alla realizzazione di verde condominiale, con una indubbia ricaduta commerciale e con un effetto ecologico assolutamente identico a quello dell’oneroso verde pubblico. I parametri ecologici del verde in città La presenza del verde in città, prescindendo dunque dalla sua caratteristica pubblica o privata, avrà l’obiettivo di raggiungere complessivamente anche nelle città italiane la metà della superficie urbana permeabile, che è in genere garantita nelle città dell’Europa centro-settentrionale. Con il risultato di trasformare fortemente il microclima urbano e di ridurre l’inquinamento generato dalla circolazione automobilistica, dalla produzione industriale, dal riscaldamento invernale e dalla climatizzazione estiva. Voglio ricordare in modo emblematico i parametri relativi alla capacità del verde di contribuire alla riduzione dell’Effetto Serra, con l’abbattimento dell’Anidride Carbonica emessa; ma anche i parametri relativi alla produzione di Ossigeno e di Acqua evaporata e traspirata dal verde in città. Infatti un ettaro di terreno agricolo medio assorbe oltre 2 tonnellate annue di Anidride Carbonica, produce oltre 1 tonnellata annua di Ossigeno e traspira-evapora quasi 7 tonnellate annue di Acqua. Ma allo stesso tempo 1 ettaro di terreno urbano tenuto a prato, con 150 alberature medie ( alberi di 30 centimetri di diametro, indifferentemente a foglia caduca o sempreverdi ), assorbe quasi 30 tonnellate annue di Anidride Carbonica, produce oltre 5 tonnellate annue di Ossigeno e traspiraevapora quasi 33 tonnellate annue di Acqua. Mentre 1 ettaro di bosco urbano con 400 alberi, assorbe quasi 69 tonnellate annue di Anidride Carbonica, produce quasi 9 tonnellate annue di Ossigeno e traspira-evapora quasi 59 tonnellate annue di Acqua.

Ricordando inoltre che oggi un’automobile presenta una emissione media di 170 grammi al chilometro di Anidride Carbonica; mentre la Direttiva 98/69.EC dell’Unione Europea si pone l’obiettivo di ridurre l’emissione a 120 grammi al chilometro. Comunque nella situazione attuale un’auto media, con percorrenza media di 10.000 chilometri all’anno, emette 1,7 tonnellate annue di Anidride Carbonica. Che, supponendo una percorrenza urbana media di 3.000 chilometri all’anno, producono in città una emissione di 0,51 tonnellate annue di Anidride Carbonica.
Sarà anche utile ricordare che una persona, in condizioni di temperatura ambientale e pressione atmosferica media, consuma circa 0,18 tonnellate all’anno di Ossigeno. E che il passaggio dell’acqua dallo stato liquido allo stato gassoso, comporta un’assorbimento di calore pari a 633 kcal/mc. Di conseguenza la temperatura media di una città è di 0,5-1,5 gradi superiore a quella delle campagne circostanti; mentre l’aria soprastante un prato alberato può avere una temperatura inferiore di 5 gradi rispetto ad un terreno agricolo e anche di 15 gradi rispetto ad un marciapiede asfaltato.

Un modello esemplare per il verde in città

Supponiamo che una città di dimensioni medio-grandi, scelga un indirizzo di sviluppo residenziale di 6.000 alloggi per 15.000 stanze da realizzare in 10-12 anni, su aree interstiziali inedificate o edificate-dismesse da riedificare completamente; il che potrebbe introdurre nella città 15.000 nuovi abitanti ( che hanno bisogno di 2.700 tonnellate annue di Ossigeno ) e 8.000 nuove auto ( che in città emetteranno 4.080 tonnellate annue di Anidride Carbonica ).
Per garantire una buona soluzione urbanistica e ambientale degli insediamenti, questi non dovrebbero superare la densità media di 30 alloggi e 75 stanze per ettaro. Ciò significa 3.000 metri quadri lordi per ettaro, a 40 metri quadri di superficie lorda per stanza, da concentrare sul 30% delle aree; ottenendo una densità fondiaria di 10.000 mq.sl/ha., pari a 3 mc/mq. La restante superficie, pari al 70% del totale, andrà lasciata a prato alberato, con 150 piante per ettaro; e potrà restare di proprietà – e quindi manutenzione – privata, salvo nei casi in cui sarà necessario realizzare un parco pubblico per la zona circostante, che andrà ceduto gratuitamente al Comune. Con questi dati la realizzazione dei 6.000 nuovi alloggi, necessiterebbe di 200 ettari di suolo urbano; 140 dei quali sarebbero occupati da prato alberato, privato e pubblico. E se qualche nuovo edificio pubblico sarà costruito nel verde, ciò potrà ridurre modestamente la superficie a prato, ma non deve far diminuire le alberature piantumate.
La qualità degli interventi sarà garantita da pochi indicatori: almeno 90 mq. di area verde a persona e 3,5 alberi ogni alloggio, cioè 1,4 alberi ogni abitante o stanza; nel nostro caso, oltre 100 alberi per ettaro di nuova città.
I parametri ecologici saranno di alta qualità: il verde realizzato assorbirà 4.124 tonnellate annue di Anidride Carbonica, cioè più di quella emessa dalle nuove auto circolanti in città.
Mentre la produzione di Ossigeno del verde – pari da sola ad oltre 1/3 di quella consumata dai nuovi abitanti –, sarà in grado di rigenerare completamente l’atmosfera intorno ai nuovi insediamenti. Dei quali il microclima urbano sarà positivamente trasformato, influendo sulla temperatura e sul grado di umidità.
Se si volesse, invece, ridurre la densità arborea da 150 a 60 piante per ettaro, anche a parità di superficie destinata a prato, per assorbire l’intera emissione di Anidride Carbonica prodotta dalle auto dei residenti, si dovrebbero dimezzare le abitazioni da realizzare. Infatti, riducendo nei 200 ettari la densità edilizia media a 15 alloggi e 37,5

stanze per ettaro, la superficie lorda scenderebbe a 1.500 mq / ha., con una densità fondiaria di 5.000 mq.sl. /ha. E la dimensione dell’edificato scenderebbe a 7.500 stanzeabitanti e 3.000 alloggi, che proporzionalmente ospiteranno 3.600 autovetture. Solo così la densità arborea, ridotta a 60 piante per ettaro, consentirebbe di assorbire con i 140 ettari di prato alberato, 1.957 tonnellate annue di Anidride Carbonica, superiori alle 1.836 tonnellate annue emesse dalle 3.600 auto.
Insomma la densità arborea di 60 piante per ettaro, è sufficiente ad ottenere il pieno risultato ecologico, soltanto negli insediamenti a densità abitativa inferiore ai 40 abitanti-stanza per ettaro. Superando, però, questa densità, la piantagione di 100 e poi di 150 alberature per ettaro, diventa necessaria ad ottenere il pieno risultato ecologico; cioè l’assorbimento completo della Anidride Carbonica emessa dalle auto dei residenti nei loro percorsi urbani. Negli ultimi piani urbanistici ai quali ho lavorato, a Reggio Emilia e a Piacenza, a Ivrea e a Cuneo e perfino a Roma, sono riuscito ad ottenere un indice di permeabilità — cioè un prato alberato — nei nuovi insediamenti, quasi sempre pari al 70% della superficie trasformata; indipendentemente dal fatto che la destinazione finale dell’area verde fosse pubblica o privata. Mentre il tetto auspicabile delle 100-150 alberature per ettaro, ancora non è maturato fra i parametri urbanistico – ambientali dei piani che horicordato.

Interesse pubblico degli interventi privati ambientalizzati

I suoli urbani utilizzati con queste caratteristiche urbanistico-ambientali, hanno densità che non sono certo fuori mercato e l’ambientalizzazione – i prati e gli alberi – presenta costi largamente ripagati dal valore commerciale di un insediamento con tanto verde. D’altra parte, la qualità urbanistico-ambientale della operazione non cambia se utilizza interamente aree edificate dimesse, o aree inedificate periurbane sottratte ad una poco redditizia agricoltura marginale. Perché, come si è visto, i parametri ecologici dei suoli urbani fortemente ambientalizzati, sono molto superiori a quelli di qualsiasi terreno agricolo.
Mentre, senza trascurare l’importanza del verde pubblico di fruizione – specialmente nelle città che ne sono totalmente prive — , il valore ecologico del verde non dipende dalla proprietà dell’area. E in questi tempi di forti difficoltà finanziarie per le Comunità locali, è molto importante garantire gli interventi ambientali senza gravare sulla spesa pubblica, sia per l’impianto che per la onerosa manutenzione. Sembra allora evidente che alla tesi ideologica contro il cosiddetto “ spreco di suolo “, bisogna oggi sostituire quella della “ qualità ambientale degli interventi urbani “: che nasce da regole di grande interesse pubblico — quelle degli obiettivi ecologici –, realizzate dai privati nel quadro dei propri legittimi interessi.

Il verde nel sistema infrastrutturale

Se oggi è assolutamente necessario e possibile garantire trasformazioni e crescite urbane di sicuro valore ambientale, è anche possibile applicare un approccio analogo per i grandi interventi infrastrutturali e per l’intero sistema urbano; perché in entrambe i casi la qualità urbanistica può e deve essere coniugata con i valori ambientali.
Contrastando così la controproducente politica del rifiuto sistematico di qualsiasi intervento, che va di pari passo con la egoistica protesta del “ nimby “( Not In My Back Yard = non nel cortile di casa mia ).
In Italia non sono mai state costruite autostrade ambientalizzate, ma il Ponte sullo Stretto è stato da molti criticato prevalentemente per l’aspetto “ paesaggistico “; che è quanto meno quello più opinabile, mentre quelli della sua gravissima pericolosità sismica e della sua colossale distorsione economico-trasportistica, in un Mezzogiorno clamorosamente privo di buoni collegamenti ferroviari e marittimi, sembrano a taluni meno
importanti da ricordare. E’ dunque necessario, quando un tracciato autostradale viene ritenuto utile, o comunque viene finanziato, che questo sia progettato in termini non esclusivamente ingegneristici, ma sia anche rispettoso degli indispensabili contenuti ambientali, Il che significa da un lato un tracciato che rispetti soltanto le velocità consentite e si inserisca nella planoaltimetria del territorio senza l’abituale violenza; che, tra l’altro fa crescere pesantemente i costi dell’opera. E dall’altro lato un tracciato convenientemente “ambientalizzato “: cioè inserito in una fascia di terreno larga mediamente 50 metri su ciascun lato, nella quale rimodellamenti del suolo e piantumazioni trasformino l’opera di cemento in un “ fiume di verde “, pienamente inserito nel paesaggio, ma anche dotato di proprio valore ecologico.

Sulla base dei parametri già esposti, si può affermare che almeno il 20% dell’Anidride Carbonica prodotta dagli automezzi circolanti nell’Autostrada, potrebbe allora essere assorbita dal verde dell’intervento ambientale. E in alcuni casi – in prossimità dei centri abitati, o in particolari posizioni di interesse paesaggistico — ,sarebbe opportuno arrivare anche ad interventi di compensazione ecologica. Realizzando su aree prossime all’Autostrada veri e propri boschi artificiali. Del resto, quali sono i boschi italiani che non siano stati impiantati dall’uomo, dalle pinete costiere, alle abetaie del Cadore, ai castagneti appenninici? Arrivando in tal modo a garantire l’abbattimento di tutta l’Anidride Carbonica prodotta dagli autoveicoli che percorrono l’infrastruttura. Contribuendo così all’obiettivo del Protocollo di Kyoto sulla riduzione dei gas serra; in attesa di realizzare motori ad emissione ridotta e di trasferire sul ferro una parte del traffico merci su gomma.

Il verde nel sistema urbano

D’altra parte le valutazioni preoccupate sulle caratteristiche economiche ed ecologiche della agricoltura italiana, possono stimolare negli intorni urbani delle città medio-grandi e metropolitane, un processo di trasformazione del territorio agricolo e delle stesse produzioni agricole, che sia capace di contribuire in larga misura al cambiamento delle condizioni ecologiche delle città. Tentando la diffusione di boschi con possibile sfruttamento industriale, di cui proteggere economicamente la lunga crescita produttiva; agevolando la piantumazione privata di filari alberati lungo le strade, le cavedagne e i fossi e favorendo la crescita di boschi e boschetti lungo i fiumi e sugli argini fluviali.
Programmando, infine, con la pianificazione urbanistica la protezione dei cunei di verde agricolo che si insinuano fra le radiali lungo le quali sono cresciute le periferie urbane. Convenzionando i fisiologici interventi dello sviluppo e della trasformazione urbana, alla conservazione compensativa dei cunei verdi e alla loro progressiva

forestazione.
Non esistono città italiane dotate di “ green belt “, così come non esistono città italiane con foreste periurbane; perché nel passato i suoli intorno alle città erano quelli più vocati all’approviggionamento alimentare e quindi investiti dalla rendita agricola; e perché più recentemente quegli stessi suoli sono stati investiti dalla rendita urbana per l’attesa generalizzata della urbanizzazione. Bisogna allora trovare il modo per ostacolare le attuali rendite, favorendo in vario modo gli interessi privati ecologici e mostrando l’interesse pubblico con il ricorso a finanziamenti speciali e defiscalizzazioni.
Perché la condizione precaria dell’ambiente urbano , in particolare nelle città italiane, va certamente affrontata con le politiche energetiche e dei trasporti; ma non potrà essere superata senza una politica del verde totalmente nuova. Che avrà certamente anche ricadute paesaggistiche, ma presenta però prospettive e obiettivi strutturali, decisivi per qualificare in modo radicale il sistema atmosferico e climatico e le vita stessa delle città.