Osservazioni allo schema di decreto legislativo in materia di difesa del suolo e delle acque

 
1. L’oggetto della delega

Gli schemi dei decreti legislativi presentati, per quanto riguarda in particolare la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche, non appaiono aver esercitato compiutamente la delega, in quanto i testi diffusi risultano il disarticolato rimaneggiamento del d.lgs 152/1999, della L.36/1994, oltre che di qualche articolo del TU 1775/1933, della L.183/1989 e di altre leggi.

 

Circa la Dir.2000/60, si osserva che, essa forma oggetto di delega della legge comunitaria 2003 L. 31-10-2003 n. 306, allegato A (GU 15.11.2003); questa legge ha assegnato al Governo 18 mesi per esercitare la delega; quindi la delega risulta scaduta.

Inoltre la L.308/2004 non ha rinnovato la delega al Governo per recepire la dir.2000/60, per quanto attenta possa essere stata la lettura fattane.

Né il limite di dare “piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie…” di cui all’art.1, comma 8 lett.e) L.308/2004 appare aver forza di delega al Governo per recepire la direttiva comunitaria, in quanto il limite è posto per le direttive già recepite e non certamente per quelle non ancora recepite, stante la obbligatorietà della previa delega del Parlamento.

Sul punto appare opportuno che chi di dovere chiarisca questi aspetti, in quanto uno schema di decreto legislativo di recepimento della dir.2000/60 potrebbe essere fermo – ma il fatto non risulta noto- presso le Commissioni parlamentari.

Va comunque osservato che, a conferma di quanto detto, risulta che nel pdl comunitaria 2005, il testo abbia previsto una nuova delega al governo per l’attuazione della Direttiva 2000/60.

2.Inquadramento normativo

La legge delega prevede art 8 che i decreti legislativi si conformano nel rispetto …….delle competenze per materia delle amministrazioni statali e delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali come definite ai sensi dell’art.117 e della legge 59/97 e del 112/98 e del principio di sussidiarietà.

Sulla base di questi presupposti che determinano i limiti della delega la legge 308 elenca i principi e i criteri direttivi cui si devono adeguare i decreti legislativi.

La lett.m) dell’art.8 della legge delega, nell’individuare i principi direttivi, ribadisce “riaffermazione del ruolo delle regioni ai sensi dell’art.117” principio che si applica a tutti i decreti legislativi compreso quello in parola.

L’ancoraggio è quindi l’art.117 Cost (nel testo novellato dalla legge cost.3/2001) e il decentramento di funzioni amministrative del 112/98.

E’ bene chiarire che lo schema di d legisl. “norme in materia di difesa del suolo etc……riguarda la materia della difesa del suolo che in base al nuovo 117 Cost. non rientra nella materia (traversale della tutela dell’ambiente di cui al 117 2 co lett.s) ma secondo orientamento dottrinale e in parte giurisprudenziale nel “governo del territorio” oggetto di disciplina concorrente ai sensi dell’art.117 3 co.

In questa materia il legislatore statale incontra il limite dell’emanazione dei principi fondamentali della materia cui si attengono le regioni nella predisposizione delle proprie discipline regionali in materia. L’inerenza della difesa del suolo al governo del territorio nella quale rientrano il paesaggio, l’edilizia, l’urbanistica, conferma la inscindibilità di qualunque attività di pianificazione precindendo dalla difesa del suolo.

E’ pur vero che lo schema di decreto legislativo affronta anche il tema delle acque sia come difesa dalle acque che come tutela delle acque dall’inquinamento (e questa parte del decreto affronta materia che certamente rientra nella tutela dell’ambiente, competenza esclusiva statale) tuttavia le norme delineate modificano in profondità quanto previsto dal d. legsl.112/98 – cui la legge delega invece intende conformarsi – che ridisegna e redistribuisce tra stato e regioni le funzioni amministrative in materia di difesa del suolo e delle acque confermando compiti di rilievo nazionale e trasferimento di funzioni alle regioni.

3. I contenuti dello schema in materia di difesa del suolo e delle acque: a) competenze legislative ed amministrative. Eccesso di delega.

L’art.1 “finalità” conferma che le disposizioni sono volte ad assicurare la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo, risanamento idrogeologico del territorio etc.

Per il conseguimento di queste finalità la PA svolge azioni di carattere conoscitivo e di programmazione e pianificazione degli interventi ed esecuzione.

Gli art.3 e 4 elencano le attività conoscitive e quelle di programmazione pianificazione e attuazione.

L’art.5 tra le altre indica che con DPCM su proposta del ministero dell’ambiente sono approvati “criteri e metodi direttivi anche tecnici” per lo svolgimento delle attività di cui agli artt.3 e 4.

Tuttavia, nell’elencazione dell’art.4 (programmazione e pianificazione e attuazione) sono elencate attività (rectius funzioni) che sono state trasferite alle regioni in base al 112/98 e per le quali quindi non è ammesso per l’esercizio della funzione alcun criterio o metodo direttivo.

Si segnala :

· lett.i): si tratta di servizi di polizia idraulica e pronto intervento nonché gestione dei relativi impianti trasferiti alle regioni ai sensi dell’art.89 lett.c) 112/98;

· lett. l) art.4: della manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere e degli impianti nel settore e la conservazione dei beni, funzione trasferita (art.89 lett.g) relativa alla polizia delle acque;

· lett.n) art.4 riordino vincolo idrogeologico, funzione trasferita alle regioni con la l.183/89 art.10 comma 6);

· lett.b) c) e) art.4 che riguardano opere di difesa, sistemazione regolamentazione corsi d’acqua; difesa e consolidamento dei versanti etc. funzioni trasferite alle regioni ai sensi dell’art.89 del 112/98 che recita “progettazione, realizzazione e gestione opere idrauliche di qualsiasi natura”.

Vi è quindi un palese contrasto almeno sui punti richiamati tra il contenuto della delega e quello dello schema di decreto legislativo.

Si potrebbe considerare l’emanazione dei “criteri e metodi direttivi anche tecnici” principi fondamentali della materia della difesa del suolo (considerando questa materia concorrente) ma questa scelta non è richiamata né nel testo della legge delega né tantomeno nello schema di decreto legisl. (come invece accade ad es. nel caso del DPR. 380 in materia di TU dell’edilizia ove si afferma che “il presente TU contiene i principi fondamentali della materia) e comunque questo sarebbe in contrasto con la dizione della legge delega che all’art.8 stabilisce di conformarsi al d. legsl 112/98 ove vi è la previsione di numerose funzioni in materia trasferite alle regioni.

L’equivoco viene ribadito nell’art.9 competenze delle regioni ove in più punti si afferma che le regioni “per la parte di loro competenza” predispongono la redazione, approvazione ed esecuzione dei progetti delle opere da realizzare nei distetti idrografici”; analoga affermazione “per la parte di loro competenza” per il servizio di polizia idraulica, di piena e pronto intervento idraulico, gestione e manutenzione delle opere” in contrasto con il d legsl.112/998 dove queste funzioni sono interamente trasferite alle regioni.

Nello stesso art.9 poi commi 5 e 6 si afferma che le funzioni relative al vincolo idrogeologico sono interamente svolte dalle regioni (come previsto dalla l.183/89) ciò in contrasto con quanto sopra previsto all’art.4 e 5 ove si afferma invece che il ministro dell’ambiente detta criteri e metodi.

In generale, attraverso questa tecnica normativa, si opera un tentativo di riappropriazione delle funzioni già esercitate da tempo dalle regioni e dagli enti provinciali cui le regioni hanno anche delegato tali funzioni, creando una confusione dell’azione amministrativa nell’esercizio delle funzioni che potrebbe essere contraddetta dall’emanazione dei criteri e dei metodi.

4. Organi di governo dei distretti. Eccesso di delega.

Tra le competenze delle regioni non rientra quella a far parte delle Autorità di bacino distrettuali (art.6).

L’art.12 della l 183/89 prevedeva invece che nel Comitato istituzionale delle autorità di bacino nazionali fossero presenti di diritto le regioni.

Le autorità distrettuali sono istituite dall’art.11 e con DPCM su proposta del ministro dell’ambiente ne vengono individuati e nominati i componenti sentita la Conferenza stato regioni.

Sono soppresse secondo la dizione dell’art. 11 tutte le autorità di bacino (anche tutte quelle regionali ?) e le relative funzioni sono esercitate dalle autorità di bacino distrettuali.

Se ne ricava che le autorità distrettuali diventano organi (periferici) del ministero dell’ambiente e la loro competenza territoriale copre tutto il territorio nazionale (art.12) essendo trasferiti ai distretti tutti i bacini nazionali interegionali e regionali. Il Ministero dell’ambiente e del territorio si mette così in condizione di svolgere direttamente (quanto impropriamente) le "funzioni di programmazione, finanziamento e controllo degli interventi, come quelle di previsione, prevenzione e difesa del suolo (art 6, n.3). Mentre le Regioni vengono esautorate.

Il tenore letterale della disposizione sembrerebbe imporre la soppressione delle autorità di bacino regionali – organismi tecnici – che hanno assolto in modo più che soddisfacente la copertura di competenze tecniche che andrebbero disperse. Se la norma fosse intesa come principio fondamentale della materia sarebbe precluso alle regioni mantenere le autorità di bacino regionali; ma anche se ciò non fosse ad esse è stato sottratto il territorio di competenza ed eliminato lo strumento di pianificazione (il piano di bacino). Un’ipotesi ragionevole sarebbe invece quella di considerare il piano di gestione come piano direttore articolato per ambiti regionali o interregionali in modo da non distruggere l’esperienza positiva della l.183/89.

Ci troviamo qui in presenza di eclatante caso di eccesso di delega poiché mentre art. 1, comma 9 lett. c) della l.308/04 prevede divalorizzare il ruolo e le competenze svolti dagli organismi a composizione mista statale e regionale” si persegue l’esatto opposto smantellando il principio coperativo Stato-regioni in materia ribadito peraltro dalla Corte Costituzionale. L’autorità di bacino distrettuale istituenda non vede pressoché alcuna partecipazione regionale nella composizione degli organi visto che non esiste più il Comitato Istituzionale. Inoltre, mentre la bozza precedente (settembre 2005) rinviava la individuazione degli organi delle Autorità di bacino alla discrezionalità di un DPCM, dopo le critiche pervenute circa l’llegittimità di affidare interamente al dpcm la composizione dell’organo, il nuovo testo li definisce direttamente: il Segretario generale, la Segreteria tecnico-operativa e il Comitato tecnico, ma non il Comitato istituzionale.

A tale proposito, la recente pronuncia della Corte Costituzionale in materia di nomina dei presidenti delle Autorità portuali (Livorno) ha ribadito che l’intesa prevista con le Regioni, sia una reale partecipazione alla decisione e non un mero prendere atto di una decisione governativa.

5. Gli incerti strumenti di pianificazione e la confusione dei procedimenti di formazione e approvazione.

La schema di decreto legislativo richiama una diversificata tipologia di strumenti di pianificazione per i quali non è individuato alcun rapporto sistematico di coordinamento né tanto meno di tipo gerarchico. Alle autorità di distretto compete la redazione e approvazione:

· piani di gestione anche per stralci (ora termine modificato in piano di bacino)

· PAI (che è un piano stralcio)

· Piani straordinari

· Piani di tutela

In particolare, il punto rilevante e quello che riguarda i rapporti tra piani di bacino, di gestione e di tutela regionale delle acque

Dopo l’uscita del testo di settembre si è operata una correzione sostituendo in tutto lo schema di DLgs la dizione "piani di gestione" (propria della Direttiva comunitaria 2000/60, ma con significato diverso) con "piani di bacino".

Ad esempio, nella sezione dedicata alla tutela delle acque dall’inquinamento (artt 21-87), il piano di gestione del distretto cambia natura e collocazione gerarchica: diventa un piano stralcio del piano di bacino (art 65), come il piano regionale di tutela delle acque (artt 69 e 13,n.3); viene adottato e approvato secondo le procedure stabilite per il piano di bacino distrettuale, rispettivamente dalla Conferenza di servizi e dal DPCM (art 14, nn.2bis e 15).

In realtà, l’insieme degli articoli della sezione ruota attorno ai piani regionali di tutela delle acque, secondo le modalità introdotte dal DLgs 152/99 (art 44) e attribuisce alla singola Regione un ambito territoriale di analisi corrispondente al distretto idrografico, come se essa si identificasse nell’Autorità di distretto, e perciò la Regione è tenuta a rapportarsi esclusivamente al Ministero e all’APAT (art 66).

Come si vede, un gioco di scatole cinesi dai rimandi incrociati che non giova alla chiarezza della disciplina.

In realtà, lo schema del DLGS mette in evidenza una distorsione già introdotta dal DLgs 152/99 sulla tutela delle acque, a lungo sottovalutata, e la generalizza. Infatti, quella norma, se anticipa alcuni aspetti della Direttiva 2000/60, sullo snodo centrale della modalità di formazione dei piani regionali di tutela (art 44) vanifica il governo unitario del bacino idrografico, singolo o coordinato (indispensabile anche nei trasferimenti d’acqua); rende assai problematica la stessa lettura unitaria delle condizioni delle acque, impossibile per confini amministrativi delle Regioni di riferimento del bacino, separatamente l’una dall’altra (si pensi al bilancio idrico); isola ciascuna Regione del bacino, mettendola in relazione contrattualmente debole col Ministero con l’illusione di contare di più. E finisce per far apparire le Autorità di bacino distrettuali soggetti "esterni" alle Regioni di riferimento, quando non superflui, invece che indispensabili organismi propri.

Effetti congiunti: 1) la caduta dell’impegno coordinato delle Regioni per il governo dei bacini, proprio quando viene rilanciato dalla Direttiva comunitaria; 2) la centralizzazione delle competenze e della gestione delle risorse finanziarie.

5.1 Il procedimento di formazione e approvazione: la mancanza del giusto procedimento.

Questi provvedimenti di pianificazione seguono poi procedimenti di formazione e approvazione diversificati e non unitari. (Conferenza di servizi per il piano di gestione; conferenza programmatica per il piano stralcio etc.)

In particolare si prevede il ricorso all’istituto della conferenza di servizi a maggioranza (salvo ovviamente le opposizioni delle amministrazioni portatrici d’interessi differenziati). Si osserva che la conferenza di servizi è strumento per l’esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo. Il piano di bacino è un atto a contenuto normativo, che non può essere il prodotto di una conferenza di servizi. A suffragio della natura normativa del piano di bacino sovviene la nota pronuncia della Corte Costituzionale negli anni 80, in materia di sacrificio dello jus aedificandi che può avvenire, evidentemente, solo ad opera di un atto normativo la cui determinazione non può avvenire in una conferenza di servizi.

Inoltre, il procedimento di formazione e approvazione del progetto di piano deve rispettare il giusto procedimento. Il testo invece oblitera completamente per questi piani la fase del giusto procedimento nonostante questi abbiano contenuto prescrittivo (conformativo della proprietà e prevalenza sulle disposizioni dei piani urbanistici (comma 4 art.13).Questa fase é espressamente prevista dalla l.183/89 e comporta la pubblicazione del piano ai fini di poter presentare le osservazioni da parte dei proprietari incisi dai vincoli idrogeologici, cui l’autorità di distretto è tenuta a motivare il rigetto o l’accogliemento. Si tratta di una fase ineliminabile che impone una sorta di contraddittorio con gli interessi privati proprietari come previsto per i piani urbanistici. D’altronde lo stesso RDL 3267/1923 (ben prima della pianificazione di bacino) prevede per l’apposizione dei vincoli idrogeologici la pubblicazione delle proposte di vincolo ed il contraddittorio con i privati interessati ed i comuni, nonché il ricorso in caso di conflitto al Consiglio di Stato. L’apposizione di vincoli di tale natura direttamente nel piano non elimina la fase della pubblicità e del contraddittorio.

La disposizione dell’art.16 co 1 poi prevede che il “progetto di piano stralcio” (il termine progetto viene qui usato per la prima volta) sia ai fini dell’ ”adozione e dell’attuazione” di una conferenza programmatica alla quale tuttavia partecipano solo le amministrazioni pubbliche locali.

Roma 3 novembre 2005