ph credits Maria Tomassetti
L’Aquila 2019, ri – generazione urbana.
La faglia che generò la scossa distruttiva della città di L’Aquila in una notte come tante, traccia oggi idealmente una netta divisione tra la ricostruzione pubblica e privata del capoluogo abruzzese.
A dieci anni dal sisma le domande che ci poniamo oggi sono ancora molte: ricostruire dove era e come era o assecondare il cambiamento? La ricostruzione strutturale che ha restituito alla città il 70% degli edifici privati ed una percentuale nettamente inferiore dei beni pubblici è frutto dell’economia materiale – e morale – non solo della città ma dell’Italia intera.
L’Aquila senza dubbio rappresenta una cornice perfetta al dibattito attuale sulla necessità impellente della semplicità delle procedure amministrative che ad oggi appaiono come chimere per i privati cittadini ma soprattutto per le amministrazioni pubbliche.
Gli appalti e le opere pubbliche stentano a decollare a causa dell’incertezza – e spesso del timore – che genera la disciplina, più volte rivisitata dal legislatore che tuttavia mai ha concesso alla norma quella chiarezza necessaria che le permetta di essere applicata senza esitazione.
Alcune chiese e palazzi del centro storico sono finalmente passati dall’ombra delle impalcature alla luce del sole ma le scuole sono ancora inagibili ed i ragazzi che frequentano questi luoghi non hanno ancora la consapevolezza di cosa significhi ritrovarsi nel cortile della scuola o darsi appuntamento in un posto della città dove è li che si trascorrerà il pomeriggio o la sera.
Il 6 aprile 2009 avevo 15 anni. Frequentavo il Liceo Classico a Palazzo Quinzi in via Bafile e trascorrevo quasi tutto il pomeriggio a studiare nella Biblioteca Provinciale di Piazza Palazzo. La mia prima assemblea di istituto si tenne all’ex istituto magistrale a Villa Gioia. Prima ancora avevo frequentato, come i ragazzi di quartiere, la scuola Media Patini e non la prestigiosa Carducci e mi allenavo a pallavolo nella scuola Media Mazzini. Infine, per tornare all’inizio, la mia scuola materna ed elementare portavano il nome della dolce Mariele Ventre. La struttura del Liceo Cotugno in Via Leonardo da Vinci, che ha ospitato i ragazzi per diversi anni dopo il sisma, oggi è chiusa perché in parte inagibile.
A dieci anni dal terremoto l’unica fra queste, ed altre, scuole ad un buon punto nella ricostruzione è la scuola elementare Mariele Ventre. Le strutture provvisorie da emergenziali sono diventate ordinarie, alcune di queste esattamente dieci anni dopo iniziano ad essere abbattute. La notte del 6 Aprile portai con me una sola cosa, il vocabolario di Latino. Presi solo IL perché ero sicura che il giorno dopo saremmo andati a scuola e la versione programmata sarebbe stata tradotta. A distanza di dieci anni sorrido a quel pensiero per l’inconsapevolezza giovanile che non mi fece rendere conto pienamente della tragedia che si sarebbe concretizzata nei giorni a venire. Tuttavia quella convinzione – seppur apparentemente superficiale – era il frutto della consapevolezza che a scuola ci si sarebbe andati – perché si sa, qualsiasi cosa accada la scuola c’è sempre – e che le sue attività sarebbero proseguite regolarmente nell’aula che ci era stata assegnata all’inizio dell’anno, perché la scuola è una costante nella vita di ogni ragazzo.
Si ravvisa particolarmente in questa città – ma di fatto in tutta Italia – l’esigenza di procedure più snelle che permettano di superare la confusione generata dal poco chiaro codice degli appalti, sempre nel pieno rispetto del principio di legalità. Il decreto legislativo 50/2016 avrebbe dovuto rappresentare uno strumento di innovazione e modernizzazione e l’autorità nazionale una custode posta a presidio della legge ma non una guardia pronta a punire a suon di pareri e procedimenti l’incerto amministratore.
La rigenerazione urbana, altro importante tema dei tempi moderni, potrebbe essere in parte la risposta alle tante domande accumulate dal 2009 al 2019. La città da sempre è il palcoscenico di due scenari distinti: quello fisico, rappresentato dalla città come struttura e quello “metafisico”, rappresentato dai caratteri che le generazioni che si susseguono imprimono alla città. Tuttavia al di là della differenza sostanziale, i due elementi diventano imprescindibili e si valorizzano a vicenda.
Siamo in un momento in cui bisogna rispondere con soluzioni innovative che razionalizzino il sistema di protezione sociale e che immettano risorse – non solo economiche – pubbliche e private per realizzare con grande impegno un progetto comune in un quadro di idee e valori condivisi. Da qui parte una nuova generazione o ri – generazione urbana.
Questo articolo, tutt’altro che scientifico, vuole essere uno spunto di riflessione da cui poter ripartire o proseguire, un monito per ricordare a chi ha fatto tanto che ancora c’è tanto da fare, per quelle generazioni di persone che hanno deciso di rimanere, per quelle che hanno deciso di tornare e soprattutto per quelle che la notte del 6 aprile 2009 non hanno scelto di andare via.