L’URBANISTICA: OLTRE IL CULTO DEI PIANI di Paolo Urbani

di 22 Dicembre 2019 Articoli, Rivista

Tratto dalla Rivista Giuridica dell’Edilizia

OLTRE IL CULTO DEI PIANI Articolo integrale

 

1. Il governo del territorio.

A distanza di 75 anni dall’approvazione della l.1150 del 1942 e a cinquant’anni dalla l. ponte 765 del 1967 è forse il caso di trarre unbilancio, o meglio, di dare un quadro del nuovo scenario che si presenta al cultore della materia che voglia affrontare i problemi del governo del territorio nel nostro paese. Tema già affrontato dall’AIDU nel convegno di Pescara nel 2003.

Ho usato il termine “governo del territorio” proprio perché – rispettoall’urbanistica intesa come disciplina di conformazione dei suoli – la questione della pianificazione del territorio non è più solo prerogativa degli enti primari ma coinvolge da tempo altri soggetti portatori di particolari interessi pubblici cui spetta – attraverso strumenti di pianificazione sovraordinata di contenuto o di ambito variabile – la tutela di quei particolari interessi.

Non si vuole qui mettere in dubbio che il territorio costituisca uno deglielementi “reali” degli enti locali – oltre alla comunità di cui l’ente èespressione – poiché questo è il luogo in cui la comunità vive, ed èradice e garanzia dell’autonomia stessa1.

E l’urbanistica ha proprio la funzione di disciplinare gli usi del territoriocomunale, soddisfare gli interessi plurimi pubblici e privati, e ordinarli armonicamente sul territorio pianificato.
Ma qui occorre prendere atto – una volta per tutte – che esiste una gerarchia degli interessi che sul territorio si esprimono attraverso piani di settore – di talchè appare oggi inutile discettare tra gerarchia degli interessi e gerarchia dei piani – che ormai sono entrati a regime – superando la disciplina frammentata delle tutele attraverso l’apposizionepuntuale dei cosiddetti vincoli ricognitivi – per interessare ampie parti del territorio nazionale ai fini della preservazione delle risorse naturali, dellatutela paesaggistica e delle acque, in una parola dell’ambiente.

In breve, non si può nemmeno più sostenere che il “governo” delterritorio sia solo un auspicio, un obiettivo, una finalità dato proprio daltermine “governo” che esprime una dinamicità di rapporti tra diversi livellidi governo e autorità portatrici d’interessi superlocali, poiché al di là della difficoltà di collaudare lo strumentario del principio di collaborazione necessaria tra amministrazioni, esso comunque è divenuto una realtà oggettiva.

Nè a mio avviso, a fronte di questi accadimenti, si può condividerel’assunto che in tal modo si lede l’art.118 cost. che attribuisce ai comuni le cosiddette funzioni “proprie” poiché non è in discussione la competenza urbanistica al centro delle potestà comunali.

Si vuole solo affermare che proprio in rapporto alla gerarchia degliinteressi quest’ultima si ridimensiona nei contenuti rispetto al prevaleredella disciplina delle materie del 117 2 co lett. s).
Direi anzi che non è nemmeno più il caso di parlare di “pianificazioni parallele” ovvero di quelle pianificazioni che corrono parallelamenteall’urbanistica. Non si può più parlare di pianificazioni parallele poichè l’imbricazione tra le discipline è tale che – pensiamo alla posizione della giurisprudenza amministrativa che da tempo afferma che il potere di gestione in chiave urbanistica del territorio proprio perché comprende trai suoi fini anche la protezione dell’ambiente, quale fattore condizionantele relative scelte può ben indirizzarsi verso valutazioni discrezionali che privilegino la qualità della vita – non si possa più parlare di mondiseparati, il primo l’urbanistica che si occupa dell’edificabilità dei suoli, il secondo che mira a preservare i suoli dalle trasformazioni incompatibili con la tutela. Che senso avrebbe allora parlare di gerarchia degliinteressi li dove per gerarchia s’intende un sistema, asimmetrico, di graduazione e organizzazione delle cose, rapporto implicante un reciproco rapporto di supremazia e subordinazione di tipo piramidale, se si dovesse continuare a sostenere la separatezza delle discipline?

Ne di “panurbanistica” può più parlarsi allorquando s’introdusse l’art.80del dpr 616/77 che dava alla nozione di urbanistica uno spettro amplissimo, sia perché la giurisprudenza della Corte Costituzionale si preoccupò subito della delimitazione giuridica delle frontiere più volte sollecitata da Giannini quando vide gli sgorbi del dpr 616 rispetto a quanto aveva proposto la sua commissione, condannando quelle norme con la lapidaria frase Del lavar la testa all’asino. In realtà in quelladefinizione si annidava l’equivoco di attribuire all’urbanistica unamplissimo potere conformativo sottacendo che ad altri soggetti era attribuito lo stesso potere con altri strumenti di conformazione dei suoli anche attraverso la pianificazione differenziata.

Nè possiamo pensare all’urbanistica come ad un animale che tenta ditogliersi di dosso una zecca li dove quest’ultima riguardi un vincolo sulbene oggetto di tutela sovraordinata.

Peraltro l’entrata a regime delle pianificazioni differenziate – piano di assetto idrogeologico, piano paesaggistico – ridimensiona quel dibattito mai sopito circa il conflitto tra la competenza delle assemblee elettive degli enti primari nel conformare la proprietà immobiliare attraverso il piano urbanistico e analogo potere attribuito ad un organo dell’amministrazione sovraordinata, poiché oggi i piani di tutela esistenti seguono il “giusto procedimento” di adozione e approvazione da partedei consigli regionali, ovvero di assemblee elettive cui spetta la cura di interessi superlocali.

Occorre quindi prendere atto che se l’urbanistica è indiscutibilmente potere di conformazione dei suoli, quest’ultimi non sono solo oggettodella disciplina del prg, ma che questo potere di conformazione è appannaggio di altri soggetti pubblici, e subisce vincoli, restrizioni, dimidiazioni, schiacciamenti2 e quindi il territorio non è solo uno degli elementi reali degli enti locali ma la sua conservazione o trasformazionerisponde specialmente oggi all’esercizio di diritti collettivi – per riprendere le parole di un grande giurista Donati parlando del rapporto tra Stato e territorio3 – che superano la dimensione spaziale del territorio locale perspaziare su tutto il territorio nazionale.

Ma è altrettanto indiscutibile che il potere di conformazione dei suoli da parte dei comuni – inteso come ordinato assetto degli interessi locali che in quella comunità si esprimono e che perciò stesso implica il loro utilizzo e quindi la loro trasformabilità – riguarda il concetto di civiltà che ha la stessa radice di civitas ovvero di coesistenza e convivenza della comunità locale – sia stato nel tempo circondato da “cautele” circal’esercizio della discrezionalità amministrativa che taluni ritengonoancora eccessiva: dapprima attraverso misure (standards urbanistici ed

edilizi), successivamente attraverso l’individuazione di criteri di sostenibilità ambientale, poi attraverso l’obbligo della VAS, oggiaddirittura misurandosi con la necessaria riduzione del consumo di suolo.

2. La riduzione del consumo di suolo nella prospettiva comunitaria.

Proprio quest’ultimo profilo sta pesantemente cambiando il ruolo dell’urbanistica comunale e del suo piano regolatore. Nella prospettiva comunitaria dell’obiettivo del consumo zero al 2050, del tema si èoccupata da tempo la Camera dei deputati che ha approvato un testo su“Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato” 4 il cui obiettivo dovrebbe essere quello di indirizzare il sistema regionale localeverso il riuso dell’edificato in luogo del consumo di suolo inedificato. Della vaghezza e della sostanziale inutilità di questa legge ho già scritto5e in quello scritto ho sottolineato che per raggiungere immediatamentel’obiettivo del “risparmio di suolo consumato” si sarebbe dovutoincardinare il provvedimento nell’art.117 2 co lett.s) – tutela dell’ambiente e dell’ecosistema – avocando quindi al centro le competenze legislativee non nell’ambito della materia del governo del territorio, poichéindividuando in questo un principio fondamentale della materia, il testolegislativo lascia alle regioni la potestà d’interpretare in modo diverso siail procedimento sia il contenuto dei provvedimenti legislativi regionalidiretti ai comuni al fine di rivedere all’interno dei prg le previsioniurbanistiche ai fini del risparmio di suolo. Cosa che sta già avvenendo ancor prima che la legge sia approvata. Prevedere una salvaguardia non superiore a tre anni in attesa che le regioni – ai sensi del art.3 co 8 –

predispongano misure di contenimento del consumo di suolo – un piano regionale, una direttiva non è specificato – ma contemporaneamente fare salvi i procedimenti urbanistici in corso nei comuni alla data di entrata in vigore della legge significa non ritenere che il malato sia in codice rosso ma che si possa rimediare con qualche terapia di lungo corso nella propria residenza.

Ma al di là della complessità dei procedimenti previsti dalla proposta dilegge, c’è sicuramente un imputato: il piano regolatore generale ed il suocontenuto poiché questo è il luogo nel quale si determinano le trasformazioni su tutto il territorio comunale; in breve i responsabili del consumo di suolo sono gli enti primari.

Il consumo di suolo ha posto al centro proprio il tema del contenuto del piano urbanistico e la sua capacità espansiva che non può più assumere il ruolo sovrano di contenitore di tutti gli interessi privati, poiché questidevono misurarsi con l’eccessivo consumo di suolo e soprattutto con gliinteressi espressi da quella comunità locale, ed è per questo che – come accade da anni in Germania – il territorio comunale si divide in territorio urbanizzato e non urbanizzato, li dove il cuore del piano regolatore è la città ovvero il centro abitato e le aree urbanizzate da completare o rigenerare, mentre la soddisfazione e la cura degli interessi che molto spesso non riguardano solo quella comunità ma concernono interventi produttivi, terziari, ad iniziativa di capitali finanziari espressione di interessi extralocali, o la realizzazione di servizi, infrastrutture di area vasta, richiedono per la loro localizzazione nel territorio non urbanizzato il ricorso necessario ad accordi di pianificazione con la regione, la provincia e gli altri attori pubblici.

E qui il procedimento relativo agli interventi sul territorio non urbanizzato al di la di quelli ammessi direttamente dalla legislazione tedesca, che richiedono la concertazione tra diversi attori pubblici, va valutato positivamente poiché in tal modo si ridimensiona la potestà comunale di conformazione dei suoli, troppo spesso esposta alla “cattura del regolatore” da parte degli interessi imprenditoriali che hanno buon gioco nei confronti dell’amministrazione comunale ritenuta contraente debole. 7L’aggravio del procedimento decisionale coinvolge così attori pubblici (laregione, la provincia ad es.) meno coinvolti dalle decisioni locali.

Queste mie affermazioni potrebbero apparire teoriche, se non fosse che sul tema del contenuto del PRG – indotto dal dibattito sulla proposta di legge sul consumo di suolo – sia la Regione Toscana sia l’E.Romagnahanno proceduto a più correttamente anticipare gli obiettivi a lungo termine di quella disciplina statale intervenendo proprio sul contenuto del piano regolatore sancendo entrambe8 la distinzione tra territorio urbanizzato9 e non urbanizzato e per quest’ultimo, oltre ad una serie diinterventi ammessi, rinviando agli accordi di pianificazione sul collaudato modello tedesco nel caso della richiesta di altri interventi ditrasformazione, concentrando maggiormente l’attenzione sullarigenerazione del territorio esistente –sulla ricostruzione del costruitocome direbbe Renzo Piano – nell’ambito del territorio urbanizzato.

Il punto centrale allora, è proprio la potestà comunale di conformazionedei suoli mediante il prg, ed è proprio quest’ultimo il responsabile del consumo di suolo, ove viene determinato il fabbisogno abitativofuturibile, l’edificabilità dei suoli su tutto il territorio comunale.

3. Una nuova concezione del piano regolatore.

Io credo che occorra interrogarsi come giuristi sulla natura il contenuto el’estensione del piano regolatore generale nel quadro della rigenerazione dell’esistente e della riduzione del consumo di suolo.
Entrano in gioco una serie di questioni che non possono essere ignorate e che mi limito solo ad elencare e che potrebbero essere occasione di approfondimento da parte dei giovani studiosi della materia.

Cos’è l’interesse locale? Fino a dove può estendersi la cura di quell’interesse attraverso il piano urbanistico?
Risponde all’interesse locale la localizzazione di un grande impianto produttivo, o la realizzazione di una grande struttura di vendita?

Cosa significa ordinato assetto del territorio riguardo la collettività rappresentata?
Il prg – nella sua logica prescrittiva – deve riguardare ancora l’interoterritorio comunale? O al contrario, deve misurarsi con il principio di coesistenza e convivenza della civitas secondo l’interpretazione che nediede nel 1956 Feliciano Benvenuti?

Come applicare la riduzione del consumo di suolo nelle città metropolitane attraverso il cosiddetto piano strategico della legge del Rio?
Come rivedere in questa nuova ottica pianificatoria il sistema tributario delle aree edificabili?

Ritengo come giuristi che non si possa ignorare questo passaggioimportante dell’urbanistica e limitarci al solo esame del rapporto tra potere conformativo e tutela della proprietà privata poiché gli urbanisti –

che Giannini considerava sempre un passo avanti rispetto ai giuristi –dopo aver ideato il piano strutturale e operativo come superamento necessario della logica prescrittiva del prg in tutte le sue parti, nelconvegno dell’INU che si terrà a dicembre pongono tra i grandi temiproprio quello dei Nuovi confini e limiti delle città a testimoniare che la questione dei contenuti e dei limiti del piano regolatore è entratonell’agenda delle riforme. Rieccheggia in questo titolo la legge del 1865n.2359 sui piani regolatori relativi all’abitato e al loro eventualeampliamento che ancora una volta Benvenuti considerava vecchia ma saggia mentre sulla legge del ’42 affermava “non dirò se saggia o se vecchia”!

Affermazioni che oggi a distanza di più di 60 anni non devono apparire fuor di luogo poiché se andiamo a guardare il caso tedesco sul quale ha indagato con cura Elena Buoso – ad eccezione dei casi delle cosiddette Città stato – Berlino Brema Stoccarda e Hannover – i pianiurbanistici degli altri comuni tedeschi non riguardano l’intero territoriocomunale.

Ognuno comprende però che considerare le regioni più innovative comedirettori d’orchestra di una possibile riforma urbanistica carbonara –come nel caso dello sdoppiamento del piano oggi peraltro in evidente declino12 – significa continuare ad avallare una disciplina del territorio comunale a macchia di leopardo che non sembra più ammissibile. E l’urgenza di una riforma generale coinvolge non solo il prg nei suoicontenuti ma tutto il sistema degli enti locali ove quel principio di uniformità che ancora persiste mina alla radice qualunque riforma. Basti pensare che ancora oggi moltissimi comuni – cito ad es la puglia – pur obbligati al prg dispongono del solo programma di fabbricazione!

Oggi il punto è proprio questo. La differenziazione dei territori, delle realtà sociali e locali, delle esigenze delle collettività rappresentate impone una differenziazione degli enti primari, che si riflette ancherispetto alla tipologia e all’esercizio delle funzioni proprie. Nel caso dell’urbanistica comunale è evidente che ciò dovrebbe riguardare una differente valutazione del contenuto e dell’efficacia del piano urbanistico tagliato sulle esigenze di quelle comunità.

Se questo è vero, occorrerebbe riconsiderare l’impostazione della leggedel 1942 e della l.765/67 che superando la l.2359 del 1865 ha caricato attraverso la zonizzazione il prg di oggetti e contenuti – specie per le cosiddette zone di espansione C D ed F – che per moltissime realtàlocali non hanno più ragion d’essere ed il caso del Comune di Cortina (CdS sent. 2710/2012) lungamente avversato dagli interessi antagonisti tra TAR e CdS giocato proprio in funzione dell’unitarietà dei contenuti delprg, ha messo in evidenza il tramonto della multifunzionalità necessaria del piano e nella riduzione del consumo di suolo il suo elemento qualificante.

4. Il territorio agricolo.

Discorso a parte è quello che riguarda il territorio rurale che nella logica del prg tradizionale è esposto – in caso di varianti o nuove scelte di pianificazione – alla nuova edificabilità ad eccezione dei casi di tutela paesaggistica o naturalistica. E’ qui che si gioca il tema della riduzione del consumo di suolo.

Le leggi regionali delle Toscana e dell’Emilia Romagna qualificano cometerritorio rurale tutto ciò che esterno al territorio urbanizzato prevedendo in base agli strumenti di piano una graduazione di tutele che vanno dalla naturalità ,alla agricoltura, ai profili forestali.

Le esigenze di localizzazione di interventi di trasformazione – come abbiamo visto – sono sottoposte ad un aggravio del procedimento di variazione mediante accordi di pianificazione, nel rispetto dei limitiderivanti dalle esigenze di tutela differenziata. D’altronde, oggi i pianipaesaggistici dedicano particolare attenzione a quelli che vengono chiamati areali agro-naturali sottraendo ai comuni l’esercizio del potereconformativo in quelle aree.

Ma il territorio agricolo è oggetto anche di altra regolazione: ovvero di quella fattispecie che Giannini imputava all’agricoltura produzione poiché in questi casi la sua utilizzazione anche imprenditoriale è oggetto di una disciplina che trova nelle politiche comunitarie un “favor”14 particolare attraverso le politiche comunitarie di sviluppo agricolo che da tempo la dottrina – in primis Morbidelli già nel 1982 15– considera prevalenti rispetto alle scelte del piano urbanistico che in questi casi si appalesa recessivo rispetto alle esigenze delle produzione agricola intesa in senso lato.

Colpisce in questo senso l’art.69 della lr Toscana 65/2014 “disposizione sugli usi agricoli” che lapidariamente afferma che gli strumenti della pianificazione territoriale e gli strumenti della pianificazione urbanistica comunale non possono contenere prescrizioni in merito alle scelte agronomico-colturali anche polinennali delle aziende. A conferma dei limiti conformativi del piano regolatore generale.

Chiudo queste mie provocazioni riprendendo tre affermazioni. La prima di Paolo Stella Richter al convegno di Catanzaro “il giurista deve limitarsi a raccomandare un metodo….in una parola tornare alla pianificazione urbanistica in una forma nuova e adeguata ai tempi”. La seconda di Emanuele Boscolo che proprio a Catanzaro nella sua relazione “Il suolo come bene comune” conclude dicendo “il dirittourbanistico è posto di fronte ad una autentica esigenza di rifondazione disciplinare. È divenuto a un tempo diritto dello sviluppo e della conservazione e deve riuscire ad adeguare in tempi molto rapidi i propri strumenti alla nuova missione della risorsa suolo.

La terza di Feliciano Benvenuti nel 1956 che afferma: sapete che l’abitomentale del giurista è quello del paziente ricostruttore di istituti di diritto positivo sicchè se egli fa critiche al diritto positivo non fa più il giurista ma fa piuttosto politica legislativa. Fa il giurista per il futuro, il giurista che fa le leggi, cioè il legislatore.

A vent’anni dalla nascita dell’AIDU ho la sensazione che occorra intraprendere almeno su questi temi lo spirito riformatore e oggi mi sento più incline a ricoprire questo ruolo!