L’obbligo di demolizione di opere soggette a SCIA per la tutela del paesaggio di Fabio Cusano

CS_4665_2023

 

Con la sentenza n. 4665 del 9 maggio 2023, il Consiglio di Stato (sez. VI) ha ribadito che le opere abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, quand’anche si dovessero ritenere avere natura precaria o pertinenziale e, quindi, assentibili con mera DIA (SCIA), si considerano comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, il che comporta che l’applicazione della sanzione demolitoria è comunque doverosa, ove non sia stata ottenute alcuna previa autorizzazione paesaggistica. Ciò, in quanto, tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi tecnici e anche se considerate eventuali pertinenze, per ragioni di esigenza di tutela del paesaggio, devono essere sottoposte alla previa valutazione degli organi competenti.

La ricorrente propone appello avverso la sentenza del TAR Campania, che ha respinto il ricorso dalla stessa proposto per l’annullamento del provvedimento con cui il Comune di Barano d’Ischia ha ordinato la demolizione di una serie di opere realizzate in difformità dal permesso di costruire.

L’appellante aveva realizzato alcuni interventi di recupero-adeguamento-ampliamento, assentiti con permesso di costruire, con autorizzazione paesaggistica e relativo parere di compatibilità paesaggistica reso dalla Soprintendenza di Napoli, con autorizzazione sismica.

La ricorrente impugnava l’ordine di demolizione dinanzi al TAR Campania, il quale respingeva il ricorso, assumendo che non vi era stata alcuna violazione delle garanzie partecipative, in quanto l’irrogazione della sanzione demolitoria si configurava quale atto dovuto e strettamente vincolato rispetto ai presupposti di fatto e di diritto. Gli atti impugnati risultavano completi con riferimento all’istruttoria, con descrizione puntuale delle nuove opere, costituenti incremento di superfici e volumi, realizzate in zona vincolata senza autorizzazione paesaggistica né permesso di costruire. Secondo il Collegio di prime cure, ne derivava la corretta applicazione della sanzione demolitoria prevista dall’art. 31 del DPR n. 380/2001, in ragione della qualificazione in termini di “variazione essenziale” delle opere realizzate su immobili sottoposti a vincolo paesistico, non essendo compatibile la diversa sanzione pecuniaria prevista dall’art. 34 del DPR n. 380/2001.

L’odierna appellante ha impugnato la suddetta pronuncia.

Ad avviso del Consiglio, l’appello non è fondato.

L’indirizzo condiviso della giurisprudenza amministrativa ritiene che i provvedimenti aventi natura di atto vincolato, come l’ordinanza di demolizione, non devono essere preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista la possibilità per l’Amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene. L’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto e, in quanto tale, non deve assicurare le garanzie partecipative, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di diposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge; pertanto, trattandosi di un atto volto a reprimere un abuso edilizio, esso sorge in virtù di un presupposto di fatto, ossia l’abuso, di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (Cons. Stato n. 6490 del 2021; Cons. Stato n. 4389 del 2019; Cons. Stato n. 2681 del 2017). In sostanza, l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, non risultando pertanto rilevanti le supposte violazioni procedimentali che avrebbero precluso un’effettiva partecipazione degli interessati al procedimento, non potendosi in ogni caso pervenire all’annullamento dell’atto alla stregua dell’art. 21 octies l. 7 agosto 1990, n. 241 (Cons. Stato, n. 1958 del 2023).

Stante la natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e indirizzo, l’ordinanza di demolizione non richiede una motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso, né alcuna comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né il decorso del tempo può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso (Cons. Stato, n. 998 del 2022).

Con riferimento alla conformità delle opere abusive agli strumenti urbanistici, va evidenziato che gli interventi edilizi sanzionati non risultano supportati neppure da una DIA, così come sono del tutto sprovvisti della autorizzazione paesistica. L’art. 27 del d.P.R. n. 380 del 2001 (nella specie ha trovato applicazione l’art. 31 del d.P.R. cit.) non distingue tra opere per cui è necessario il permesso di costruire e quelle per cui sarebbe necessaria la semplice DIA in quanto impone di adottare un provvedimento di demolizione per tutte le opere che siano, comunque, costruite senza titolo in aree sottoposte a vincolo paesaggistico.

In sostanza, le opere abusive realizzate in zona sottoposta a vincolo paesistico, quand’anche si dovessero ritenere, come sostiene l’appellante, avere natura precaria o pertinenziale e, quindi, assentibili con mera DIA, si considerano comunque eseguite in totale difformità dalla concessione, il che comporta che l’applicazione della sanzione demolitoria è comunque doverosa, ove non sia stata ottenute alcuna previa autorizzazione paesaggistica. Ciò, in quanto, tutte le opere realizzate sull’area sottoposta a vincolo, anche se trattasi di volumi tecnici e anche se considerate eventuali pertinenze, per ragioni di esigenza di tutela del paesaggio, devono essere sottoposte alla previa valutazione degli organi competenti (Cons. Stato, n. 8785 del 2022).

Come correttamente precisato dal Collegio di prime cure, nella specie, trova applicazione l’art. l’art. 31 del DPR n. 380 del 2001, che sanziona con la demolizione le opere abusive in zone vincolate. L’ultimo comma dell’art. 32 del DPR n. 380 del 2001 stabilisce chiaramente che gli interventi abusivi su beni vincolati sono considerati come eseguiti in ‘totale difformità’ dalla concessione, rappresentando una variazione essenziale e, in quanto tale, sono suscettibili di essere demoliti ai sensi dell’art. 31, comma 1, e dell’art. 32, comma 3, del DPR n. 380.

Da siffatti rilievi consegue che, in presenza di opere edificate senza titolo edilizio, e a maggior ragione in zona vincolata, l’ordinanza di demolizione, sia essa ai sensi del citato art. 31, di cui si è fatta applicazione nel provvedimento impugnato, che dell’art. 27 DPR n. 380 del 2001, è da ritenersi provvedimento rigidamente vincolato. Oltre al fatto che nel vagliare un intervento edilizio consistente in una pluralità di opere, come qui accaduto, deve effettuarsi una valutazione globale delle stesse, atteso che le opere vanno considerate nel loro complesso (Cons. Stato, n. 1350 del 2021); infatti, la considerazione atomistica dei singoli interventi non consente di comprendere l’effettiva portata dell’operazione (Cons. Stato n. 4142 del 2021). In caso di abuso edilizio non è dato scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante, bensì dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni (Cons. Stato n. 7426 del 2021).

Infine, come sopra specificato, l’ordine di demolizione è un atto dovuto e vincolato e, in quanto tale, non necessita di una motivazione aggiuntiva, oltre all’indicazione dei presupposti di fatto e alla individuazione degli abusi edilizi, che nella specie non è in contestazione. Nell’adozione di un ordine di demolizione, l’Amministrazione è tenuta a giustificare la sussistenza dei presupposti del provvedere, descrivendo l’entità e la consistenza delle opere edili, nonché contestando la loro abusività, stante l’integrazione dell’illecito civile in contestazione (Cons. Stato, n. 7027 del 2022).

Nella fattispecie, a seguito dell’accertamento operato sui luoghi dalla Polizia Municipale di Barano d’Ischia, è stata contestata all’appellante la realizzazione di opere in zona vincolata senza autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire.

Ne consegue la legittimità del provvedimento sanzionatorio, tenuto conto che “l’ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato, con la conseguenza che essa è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività” (Cons. Stato, n. 903 del 2019).

In definitiva l’appello è stato respinto.